BATISTUTA Omar: il Re Leone

La favola calcistica di Gabriel Batistuta inizia con una scommessa. Marzo ’91, Buenos Aires quartiere Florida. Il procuratore Settimìo Aloisio, a quei tempi tutto baffi e pancia, lancia una sfida al suo giovane talento di Reconquista: «Tra una settimana inizia la Coppa America, se vuoi coronare il tuo desiderio di giocare nel calcio italiano devi segnare almeno sei gol. Scaraventa quei palloni dentro e io ti regalo il tuo sogno“. Bati non era ancora Re Leone. Anzi, nel calcio argentino era soprannominato «El Camion» per la sua potenza. Un’etichetta non tra le più nobili.

La sua carriera, del resto, era scivolata via senza lampi. Il debutto è con il Newell’s, dove l’attaccante argentino «scopre» Marcelo Bielsa. Una figura che avrà un ruolo importante. Forse decisivo nella sua crescita. Bielsa è un duro. Un Sacchi sudamericano. I giocatori lo odiano o lo amano. «Dopo venti giorni d’allenamento una volta rientrando negli spogliatoi pensai che per colpa sua non avrei fatto il calciatore». Invece è l’esatto contrario. Bielsa vede in quel ragazzone dai capelli biondi e dagli occhi spaesati qualcosa di speciale.

In campo lo massacra di lavoro, fuori dal campo gli impone una dieta che gli fa perdere una decina di chili. «Dove i miei compagni avevano muscoli, io avevo grasso». La ricetta funziona. Batistuta comincia lentamente a trasformarsi. E Bielsa, un giorno, si presenta nella sua camera con una scatola di alfajores, biscotti tipici argentini e con una stecca di cioccolata. Il primo esame era superato. Il Newell’s è una bella famiglia. Ma, a un certo punto, bisogna provare a crescere, E così Bati riempie la valigia e riparte.

Il salto è grande: dalla provincia, a Buenos Aires. La capitale, la vetrina più luminosa per chi vive dì calcio. A scommettere su questo attaccante dai piedi ruvidi ma dal cuore grande è il River Plate, la Juve del Sudamenca. L’allenatore Merlo gli concede fiducia e Gabriel lo ripaga con un campionato importante. Ma, come in un ottovolante, dopo pochi mesi la vita sportiva del bomber di Reconquista torna in picchiata. Il mitico Daniel Passatella diventa l’allenatore del River e, nel primo allenamento, nel gennaio del ’90, Bati si ritrova subito tra le riserve. Bocciato senza un perché.

E’ passata una vita da quel pomeriggio triste nel ritiro di Mar de Plata eppure ancora oggi Gabriel non riesce a capire il perché di quella clamorosa e totale stroncatura. Una ferita che non si è mai rimarginata. Il divorzio e inevitabile. Un gioco di prestigio del suo procuratore Settimio Aloisio (che acquista la metà del suo cartellino) permette a Batigol di trasferirsi nel Boca, la storica rivale del River. Dall’inferno, al paradiso.

Gabriel ha sempre avuto due miti calcistici nel cuore: il Boca e Diego Armando Maradona. In qualche cassetto della sua fazenda, a Reconquista, c’è ancora un poster del Pibe de Oro che il piccolo Gabriel aveva appeso, con orgoglio, sopra il suo letto. Il Boca non è una squadra, è un mondo. Bati dimentica Passarella. Il risultato? Una maglia da titolare. Anche la vita privata funziona a meraviglia visto che il fuoriclasse argentino corona una stona d’amore d’altri tempi sposando il 28 dicembre del 1990, nella chiesa di San Roque, la dolce Irina.

L’anno si chiude con una coda velenosa: una doppietta in Coppa Libertadores al Monumental contro il suo vecchio River. Dopo ogni rete Bati passa davanti alla panchina avversaria guardando fisso negli occhi il suo “nemico” Passarella. Una dolce vendetta. E torniamo all’inizio della storia. Alla scommessa con Settimio Aloisio. La Seleccion di Alfio Basile sbarca in Cile senza avere l’etichetta di nazionale da battere. Bati conquista a sorpresa una maglia da titolare. E inizia la sua «scalata all’Italia».

Due gol al debutto contro il Venezuela poi la sfida contro i padroni di casa. Una guerra. L’Argentina arriva allo stadio accolta da una sassaiola che spacca due vetri del pullman e obbliga i giocatori a ripararsi sotto i seggiolini. In campo c’è lo stesso clima, ma Gabriel non e il tipo che si spaventa. Anzi. A dieci minuti dalla fine realizza il gol decisivo: scambio volante con Caniggia, tre difensori cileni saltati in velocità e tocco diabolico sull’uscita del portiere. Palo e rete. Una prodezza. E dopo ogni gol sempre lo stesso siparietto con il centravanti argentino che cerca con lo sguardo Aloisio e gli urla: «Quante reti mi mancano per andare in Italia?».

Bati va a segno anche contro il Paraguay e contro il Brasile: e siamo a cinque. L’ultima partita del girone finale è contro la Colombia. È una notte da inverno nelle Ande. Freddo, acqua, gelo. In più c’è l’uragano Gabriel. L’Argentina vince 2 a 1 e Bati realizza il gol decisivo. Sei centri e la Coppa America alzata al cielo. la sfida è vinta. Settimio Aloisio se la ride sotto i suoi baffoni: pochi giorni dopo Bati firma il nuovo contratto con la Fiorentina della famiglia Cecchi Gori. Soldi e prestigio, la fiaba può cominciare.

Il 18 agosto 1991 Gabriel sbarca a Firenze portando nella mente e nel cuore il messaggio del suo mito Maradona: «Vai tranquillo, con le tue caratteristiche in Italia sfonderai sicuramente». E se lo dice Diego… Bati viene subito portato allo stadio Franchi dove la squadra viola sta disputando una partita amichevole. Ma gli occhi, naturalmente, sono tutti per la nuova stella argentina. Una mano anonima consegna a Gabriel un pallone dicendogli: «Fai due palleggi». Lui esegue anche se la tecnica non è la sua arma migliore.

Chissà se in quel momento, con gli occhi di quarantamila persone puntati addosso, ha ripensato anche solo per un attimo a una battutaccia che gli aveva scaricato addosso uno dei suoi primi allenatori, tale Mastroianni, vedendolo in difficoltà nell’addomesticare il pallone: “Batistuta, a Reconquista palleggiavi con i cocomeri?». L’esibizione comunque funziona e Gabriel tocca con mano la passione del suo nuovo «popolo». In campo, invece, l’inizio è faticoso.

L’allenatore della Fiorentina è il brasiliano Lazaroni e il leader della squadra è un altro brasiliano, Carlos Dunga. Il nuovo arrivato rischia di far saltare gli equilibri dentro lo spogliatoio, non a caso i due attaccanti Borgonovo e Branca si alleano con Dunga per tenere ai margini l’acclamato bomber di Reconquista. Dopo cinque giornate di campionato salta Lazaroni e arriva Radice. Ma per Bati la situazione non cambia di molto. Riserva era prima, riserva resta.

L’amore di Irina e l’affetto di pochi amici lo aiutano a restare a galla. Poi. arriva la svolta. Il 26 febbraio 1992 sbarca allo stadio Franchi la Juve. Per i tifosi viola è “la partita». Un Boca-River in salsa italiana. Bati va a segno con un colpo di testa ravvicinato. È la fine di un incubo. Batistuta diventa Batigol e Firenze si innamora perdutamente di questo angelo argentino. Il giorno dopo la Gazzetta invita i tifosi viola a spedire un fax con un messaggio per il campione di Reconquista. La redazione viene travolta da una montagna di carta. Cinquemila messaggi in meno di due giorni. Una travolgente dichiarazione d’amore.

Gabriel segna a raffica. Chiude con 13 centri, senza l’aiuto dei calci di rigore. Bilancio positivo. Meno bene, invece, va la Fiorentina che finisce in una zona anonima della classifica. Si riparte e la famiglia Cecchì Gori fa le cose in grande. Arrivano Baiano, Brian Laudrup, Effenberg. La squadra viola sogna di inserirsi in zona scudetto invece sprofonda in serie B. La società cambia ben tre allenatori. Ma va sempre peggio. Bati chiude il torneo con 16 reti. Cifre importanti. Tutto inutile.

Il campione di Reconquista viene corteggiato da club importanti. Anche il Real Madrid scende in campo con un’offerta interessante. Ma Gabriel è uno che non fugge. «C’era un’immagine che dovevo cancellare dai mìei occhi: il vecchio presidente Mario Cecchi Gori costretto a lasciare lo stadio dentro un cellulare della polizia. Volevo bene al presidente. Aveva investito nella Fiorentina tanti soldi e tanta passione. Non potevo lasciare la squadra in serie B». Bari decide di restare e si consola vincendo un’altra Coppa America, battendo 2 a 1 il Messico. Gol? Di Batistuta, naturalmente. Una doppietta.

La serie B è un inferno. In panchina arriva Ranieri che lega subito con il fuoriclasse argentino. La promozione arriva domenica 8 maggio 1994. Fiorentina-Ascoli 5 a 1, due gol di Gabriel. La promessa è mantenuta: Bati ha riportato la squadra in serie A e il primo pensiero è per Mario Cecchi Gori, scomparso a novembre per un attacco cardiaco. «Voleva bene alla Fiorentina e non doveva morire con la sua squadra in serie B. La vita, a volte, è ingiusta».

La «sua» Fiorentina lo aiuta a dimenticare. L’inizio di campionato è travolgente. Gabriel segna sempre. Micidiale, implacabile. Una serie magica che inizia contro il Cagliari e prosegue contro Cremonese, Lazio, Padova… Insomma con dieci reti nelle prime nove giornate Batistuta arriva a un passo dal record realizzato da Ezio Pascutti, mitico bomber del Bologna, nel campionato 1962-63. L’argentino non si ferma più e entra nella storia del calcio italiano domenica 27 novembre 1994 andando a segno, per l’undicesima volta consecutiva, contro la Samp.

«Quando vedo entrare la palla dentro il primo pensiero è per mia madre Gloria». L’altra donna della sua vita, insieme alla moglie Irina. Firenze impazzisce e conia il soprannome che accompagnerà Bati per tutta la sua carriera: Re Leone. La squadra viola non riesce a centrare la qualificazione per le coppe, ma Gabriel chiude il campionato con 26 reti conquistando il titolo di capocannoniere. Era da trent’anni (con Orlando) che la Fiorentina non vinceva questo trofeo. Le foto del Re Leone che festeggia le sue prodezze mettendosi in posa accanto alla bandierina del calcio d’angolo sono esposte in quasi tutti i bar della città. E qualche mese dopo i tifosi della Fiesole esporranno in curva una statua che immortala il fuoriclasse argentino in questo gesto.

La Stagione 1995-1996 é sicuramente la più importante tra quelle del ciclo Bati-Firenze. Con Ranieri in panchina e l’amico Rui Costa alle spalle il Re Leone trascina la squadra viola al terzo posto. Ma non è finita. Il 17 maggio 1996 arriva anche il primo titolo. La Fiorentina batte per 2 a O l’Atalanta e conquista la Coppa Italia. E una notte magica. Gabriel e compagni trovano quarantamila tifosi ad aspettarli allo stadio Franchi. È un delirio. «Sbucando dal tunnel con la Coppa in mano mi sono sentito, per un attimo, il padrone del mondo».

Non e finita. Tre mesi dopo il Re Leone mette in ginocchio il Milan nella sfida di Supercoppa italiana. Si gioca a San Siro ma ci sono almeno diecimila tifosi viola al seguito. Bati va subito a segno beffando con un delizioso numero in palleggio Franco Baresi. Poi, quando ormai la partita sembra destinata ad andare ai supplementari inventa una magia su calcio di punizione. Un destro violento, avvelenato, con la palla che si infila tra palo e portiere. Una scossa di adrenalina attraversa il corpo del campione di Reconquista che, travolgendo tutto e tutti, va a cercare, a bordo campo, una telecamera della Rai. L’urlo: «Te amo Irina» entra nelle case degli italiani. E, via internet, farà il giro del mondo. «Volevo solo dividere con la donna della mia vita un momento magico della mia carriera». Particolare curioso: la signora Batistuta in quel momento era in vacanza a Viareggio con il televisore rotto. Ma, un attimo dopo, scoprirà attraverso una valanga di telefonate di amici il gesto d’amore di Gabriel.

La stagione successiva va avanti tra alti e bassi. Uno dei momenti più belli è la sfida nella semifinale di Coppa delle Coppe contro il Barcellona. Il Re Leone realizza il gol dell’1 a 1 con un siluro da fuori area che piega le mani a Vitor Baia. Bati festeggia quell’incredibile gesto tecnico portando l’indice alla bocca. Come dire: “Tutti zitti, parla Batistuta”. E cala il gelo sui 110.000 tifosi presenti al Camp Nou. Nella gara di ritorno, però, Bati non c’è, perché squalificato e il Barca conquista la finale. Proprio Barca e Real Madrid lo corteggiano in maniera pressante ma il campione di Reconquista continua a credere nel progetto Cecchi Cori. Una fiducia che si materializza a suon di gol: 21 in 32 gare nel campionato 1997-98 e 17 in 17 partite nella stagione 1998-99.

Sulla panchina viola c’è il vecchio Trap e la Fiorentina chiude il girone d’andata al comando della classifica. Il Re Leone sembra padrone del campionato ma, all’improvviso, si infortuna. La stessa domenica in cui la sua prima alternativa, il brasiliano Edmundo, decide di partire per una vacanza in Brasile in concomitanza con il carnevale di Rio. La Fiorentina vede sfuggire dì mano il titolo ma si consola con la qualificazione in Champions. E in Europa Bati lascia ancora il segno. La sfida e Arsenal-Fiorentina, a Wembley. Il campione viola realizza Il gol decisivo con una conclusione micidiale. Una magia. Ma è anche la fine di una storia.

In estate entra in scena la Roma del presidente Sensi. Bati ha 31 anni, vuole vincere un titolo e qualcosa si è incrinato nella sua «favola» con Firenze e i fiorentini. Alla fine Vittorio Cecchi Con si arrende e lo cede per 70 miliardi di vecchie lire. Una montagna di soldi. Nessuno nella storia della Fiorentina ha segnato di più. Nuovi colori ma stessa storia. Il Re Leone crea subito un feeling perfetto con Totti. Il braccio e la mente. Il campione di Reconquista segna 20 reti.

Numeri che faranno la differenza. La Roma conquista il suo terzo scudetto e Bati entra a pieno titolo nella storia del calcio italiano. I tifosi glallorossi ricordano bene la rete nel derby, la tripletta contro il Brescia, i due gol contro il Parma. Tappe fondamentali nella corsa scudetto. All’Olimpico il Re Leone sente di aver chiuso un ciclo come lui aveva sognato. Da ragazzino sconosciuto, a uno dei più forti calciatori del mondo.

Bati prova a lasciare il segno anche in nazionale. Ma con la Seleccion non funziona. L’Argentina esce male dai mondiali in Giappone e Corea. Il Re Leone chiude con la nazionale consolandosi con il record di reti. Lui primo e il suo mito Diego Armando Maradona dietro. Ormai siamo alle ultime pagine della storia. Le caviglie massacrate dai difensori avversar! e da qualche spregiudicato dottore argentino lo fanno soffrire.

Bati a gennaio 2003 lascia la Roma e si trasferisce all’Inter. Altro club che lo aveva corteggiato a suon di miliardi ai tempi di Firenze. Ma, ormai, il Re Leone non graffia più e dopo pochi mesi decide di chiudere la sua carriera nel dorato Qatar. Dove guadagna un’altra montagna di soldi e realizza gli ultimi gol. Ma anche da quasi pensionato continua a vincere. E pazienza se ad innamorarsi di lui sono solo alcuni sceicchi.