GAETANO SCIREA – Intervista gennaio 1981

Antidivo per vocazione e per temperamento. gentleman del calcio per indole, sembra timido e introverso in realtà ama la discrezione e le buone maniere in un ambiente dove, spesso, ha più successo chi gioca meglio con le parole che con i piedi.

Insostituibile anche in azzurro Scirea

Gaetano Scirea è uno dei «liberi» più forti del mondo ma quando glielo si fa notare abbassa gli occhi e abbozza un sorriso imbarazzato. Ha sempre rifiutato il «cliché» del personaggio importante. Eppure Enzo Bearzot non ha voluto rinunciare a lui per l’avventura in Uruguay anche se aveva un buco, suturato con tre punti, nella caviglia destra. Trapattoni, malgrado il difensore accusasse un leggero stiramento, ha fatto di tutto per recuperarlo con la Roma. In questi ultimi tre anni Scirea è diventato un elemento indispensabile sia in nazionale che nella Juventus.

In famiglia è un «pantofolaio» che ama sedersi davanti alla televisione o sentir musica, che legge poco i giornali sportivi (magari preferisce un buon libro) e che, quando può, gioca a tennis, il suo «hobby» sportivo in alternativa a quello di calciatore, una professione che ama profondamente e per la quale ha dovuto interrompere le magistrali al terzo anno. E’ fra i pochi giocatori che consentono alla moglie, Mariella, di lavorare («l’ha sempre fatto, anche prima di sposarci, non la obbligo»), precisa, come impiegata presso una Saub di Torino. Il lunedi, giorno di vacanza, i coniugi Scirea si recano in Liguria, a trovare il loro bimbo. Riccardo di tre anni e mezzo, che in questo periodo invernale soggiorna presso i nonni materni.

scirea-intervista-1981-err-wpHa la testa sul collo e, pur non avendo ancora compiuto 28 anni, è in piena maturità come uomo e come atleta. Serietà e saggezza si trasferiscono dalla vita privata agli spogliatoi e sul campo dove fa sentire la propria personalità. «Cerco di compiere sempre il mio dovere, in gara debbo comandare i compagni di reparto e mi faccio rispettare, così come se c’è da discutere su un problema non sto zitto e intervengo», chiarisce per smentire coloro che, conoscendolo superficialmente, lo immaginano con la sordina incollata sulle labbra.

Erede di Salvadore prima, di Facchetti poi, viene indicato adesso come il successore dei Beckenbauer e dei Krol. Anzi Zoff dice che è il Krol italiano. Li definisce due grandi maestri ma, pur essendosi ispirato a loro (in Italia il suo modello è stato Cera) non ha mai cercato di imitarli. «Cerco di essere me stesso ma vorrei avere già ora la loro esperienza: c’è sempre da imparare, nessuno è perfetto», fa umilmente notare. In Nazionale ha disputato 39 partite (due gol all’attivo) mentre in Serie A. senza contare le 38 in B con l’Atalanta. ne ha giocate 209 (189 nella Juventus) con 9 reti. Il periodo più brutto risale alla stagione ’77-78 quando, in seguito ad un grave incidente al ginocchio rimediato in uno scontro con Oriali in Coppa Italia, temette di veder ridimensionata la propria carriera. «Tirai avanti per mesi e mesi soffrendo, poi riacquistai la piena integrità fisica», ricorda.

Proprio al «Mundial» argentino ebbe la conferma di essere guarito («fu quello il periodo più importante ed esaltante, indimenticabile») e rivaleggiò in bravura con l’argentino Passarella e con Krol, ricevendo la consacrazione internazionale. Nessuno rimpianse più il grande Facchetti, come era accaduto quel martedì 30 dicembre ’75 a Firenze, quando Scirea venne lanciato da Bearzot e Bernardini in maglia azzurra contro la Grecia, in amichevole: «Non fu un esordio molto positivo, per l’emozione non resi al meglio anche se Facchetti mi aveva incoraggiato, come del resto i tecnici e i compagni». Diventò titolare inamovibile due anni dopo, quando Facchetti di cui Scirea era tifoso da ragazzo, quando simpatizzava per l’Inter chiuse a Wembley con l’Inghilterra. Adesso è il milanista Franco Baresi, talento naturale e «libero» di classe, a trovarsi in lista d’attesa come accadde a Scirea con Facchetti.

Prima di giostrare alle spalle della difesa, Scirea aveva svolto compiti di mezz’ala (16 partite con l’Atalanta in B) ma come «libero» si sente realizzato e non cambierebbe ruolo per nessuna ragione. Rimpiange la mancata finalissima agli «europei» con la Germania Ovest («se l’arbitro non ci avesse negato un rigore con il Belgio sarebbe toccato a noi misurarci con i tedeschi e chissà se avrebbero vinto») e spera di rifarsi in Spagna nell’82. «Saranno l’Argentina di Maradona e la Germania Ovest di Rumenigge a far faville ma l’Italia non è inferiore», assicura. C’è tempo per la Coppa del Mondo. Adesso è in programma Juventus-Napoli. Nel torneo scorso fu proprio lui al «Comunale» a segnare il gol vincente. Domenica ci riproverà (ne ha già fatti quattro in questa stagione, due in campionato, uno in Copa Uefa e uno in Nazionale). «Siamo reduci da due pareggi esterni ed è una partita da vincere anche se il Napoli è in serie positiva ed ha i nostri punti: non possiamo perdere questa occasione» conclude. Ha parlato anche troppo.