Gaetano Scirea: Campione di semplicità

Il 3 settembre 1989, Gaetano Scirea moriva nel rogo di un auto, su un’anonima strada polacca, dopo aver visionato per la Juve il Gornik Zabrze. Era il campione che si raccontava nei lunghi silenzi, in quel sorriso impercettibile e semplice…

3 settembre 1989, una domenica d’estate declinante e di calcio che rinasceva. Seconda giornata di campionato, spedito in orbita prima causa Mondiale. La Juventus che Zoff forgiò a sua immagine e somiglianza, silenziosa, umile, però severa eruppe in una fragorosa vittoria a Verona: 4-1 doppietta di Schillaci, Daniele Fortunato e Marocchi. Missione compiuta.

Nel frattempo lontano, lungo la strada che unisce Varsavia a Cracovia, la città santa, Gaetano Scirea ex capitano, promosso aiutante in campo, tornava da una missione di cosiddetto “ spionaggio”. Aveva visionato il Gornik Zabrze modesta squadra polacca che avrebbe affrontato la Juve in Coppa Uefa. Su una vecchia Fiat 125, insieme con gli orgogliosi dirigenti del club dei minatori, Gaetano non vedeva l’ora di tornare a casa dalla sua Mariella e Riccardo che l’aspettavano al mare, nella casa di Andora. Li aveva chiamati dalla Polonia all’ora di pranzo: «Vado a messa, stasera torno».

E proprio nel momento di uno dei tanti trionfi juventini il destino s’impadronì della vita di quell’uomo buono. Un sorpasso azzardato, lo schianto frontale contro un furgone, poi il rogo innescato dalle taniche di benzina stipate nel bagagliaio. Così sulla dissestata strada di Skierniewice imprigionati dentro la bara di fuoco morirono Gaetano, l’autista e l’interprete si salvò solo il dirigente del Gornik sbalzato dall’auto in fiamme. Così calava un lugubre tramonto di quel giorno infame. Se i giorni vengono distinti fra loro la notte ha un solo nome. E sul far della notte la notizia deflagrò nel modo più crudele, annientò Mariella e Riccardo davanti alla tele visione e i giocatori della Juventus al rientro a Torino. Aspettavano il loro capitano per raccontargli di Verona…

gaetano scirea

Tanti anni sono passati da quel giorno infame eppure la figura di Scirea continua a stagliarsi, esempio di grandezza. Gaetano è stato il campione infinito che Trapattoni definì : «Leader con il saio» e Bearzot: «Giocatore unico, grandissimo, un angelo. Se mai c’è stato uno per cui bisognava ritirare la maglia quello era lui». Prima dell’avvento di Del Piero uno dei tre capitani massimi con Scirea e Boniperti, era stato lo juventino più juventino di sempre. Fedelissimo alla Signora le aveva regalato tutto in Italia, in Europa nel mondo. E in cima al mondo portò anche la Juvitalia, offrendo a Tardelli l’occasione dell’urlo nella notte magica di Madrid, 11 luglio 1982.

E intanto gli anni continuano a passare da quel giorno infame che sottrasse alla vita, agli affetti, alla gente un grandissimo uomo prima ancora di immenso giocatore espressione inarrivabile dl ruolo ricoperto sul campo. Un posto dove un passero in una gabbia per aquile è libero. E Scirea libero grande è stato per davvero, più degli altri sommi perché lui ha saputo essere immenso difensore in difesa, grande centrocampista in mezzo, sofisticato attaccante in avanti. Gli altri, absit iniuria verbis, sapevano (tutt’al più) soltanto avanzare.

gaetano scirea

Era il 1974 quando quel ragazzo cresciuto a silenzi e calcio dall’oratorio di Cernusco sul Naviglio eppoi nell’Atalanta amica si presentò al cospetto di Boniperti per raccogliere “l’eredità” di Saldavore che fu uno dei sommi. Gaetano entrò e non uscì più, prima compagno di Cuccureddu e Morini, due simpatici “tipacci”. Poi a comandare una difesa in cui comparivano “Monumento” Zoff, “Gheddafi” Gentile, “Carabina” Cabrini comparve lui il mite Gai. Già grandissimo, eppure chiedeva a chi (presumeva) ne sapesse più di lui se si poteva sganciare. Nel sabaudo rispetto dei ruoli. Come accadde in un derby che il Toro tremendista stava comandando e lui ribaltò con due gol di pura rabbia ed esultanza palesata, strana per lui così misurato.

Sempre. Nel gesto atletico, nella forma, nel rispetto dell’avversario mai considerato nemico. Ligio, riconoscente rinunciò nel nome della juventinità a un importantissimo ruolo nella Roma. Quando sbocciò dalla Primavera eppoi nella prima squadra dell’Atalanta fu incoraggiato a far pressione sugli avversari, essere più cattivo: previo guiderdone. Mai Gaetano avrebbe derogato tant’è che terminò l’infinita carriera senza un’ammonizione. Gai e il Monumento vivevano in simbiosi.

Zoff adottò subito quel ragazzo uomo intuendo di che pasta era fatto, dapprima baluardo, bastione, maestro d’eleganza al limitar dell’area eppoi in panchina con lui per continuare a percorrere la strada d’una calcio romatico destinato a perdersi. Gaetano e Dino parlavano con lo sguardo e bastavano i loro gesti solenni. Vivevano, diffondendolo, un fragoroso silenzio. E se la parola è una chiave, il silenzio è il grimaldello. Maledetto quel giorno: tre settembre millenovecentottantanove…

gaetano scirea

LA SCHEDA

Gaetano Scirea e’ nato a Cernusco sul Naviglio (MI) il 25-5-1953. E’ cresciuto nell’ Atalanta che lo fece esordire in A il 24-9-1972: Cagliari-Atalanta 0-0. Nell’ estate del ‘ 74 passo’ alla Juve, con cui ha vinto 7 scudetti, 2 Coppe Italia, coppa Intercontinentale, Supercoppa, coppa Campioni, Coppa Coppe, coppa Uefa. Vanta il record di presenze nella Juve: 563 partite, tra campionato e coppe. In serie A ha giocato 396 partite, segnando 28 gol. Esordi’ in nazionale il 30-12-1975 (Italia-Grecia 3-2): 78 presenze, 3 gol. Fu grande protagonista nel trionfo mondiale in Spagna, nel 1982. Ha partecipato anche ai mondiali del 1978 e del 1986. In 16 anni di carriera, non e’ mai stato espulso o squalificato.


IL RICORDO

Boniperti: « Qualità fuori dal comune»
«Il mio fuoriclasse era Scirea. Parlava poco, eppure aveva carisma. Era un piacere stare con lui e in qualsiasi occasione, non soltanto sul campo, ti faceva fare bella figura. Il giorno in cui ho preso Scirea, per la prima e unica volta, Achille Bortolotti (presidente dell’ Atalanta) mi ha detto: “Gaetano te lo porto io a Torino. Perché questo ragazzo è diverso da tutti gli altri”. Quando Gai ha smesso di giocare, io volevo che diventasse un punto fermo della Juventus. Prima come osservatore, poi come allenatore, ma lo vedevo benissimo anche come uomo di pubbliche relazioni. Aveva qualità fuori dal comune: li riconosci subito i giocatori che hanno qualcosa in più: li vedi da come si muovono in campo e da come leggono il gioco un secondo prima degli altri; se poi sono dotati di spessore umano e pulizia morale hai davanti agli occhi un fuoriclasse anche nella vita. E Scirea lo era. Io gli volevo bene»

Zoff: «Una persona vera Non un personaggio»
«Gaetano? Un uomo straordinario e un calciatore straordinario. Un esempio di stile e classe sia in campo sia fuori. Con lui abbiamo condiviso tanti momenti, in ritiro stavamo sempre nella stessa stanza. Ricordo che durante i Mondiali di Spagna, Tardelli non riusciva a prendere sonno la notte prima delle partite. Per rilassarsi veniva in camera nostra; la chiamava la “Svizzera” perché era il posto più tranquillo del ritiro. Nel nostro modo di stare insieme, del resto, non avevamo bisogno di troppe parole, quasi sempre bastava uno sguardo. Sarebbe stato un ottimo allenatore, se ne avesse avuto l’opportunità: sapeva convincere, gli piaceva insegnare. Il calcio di oggi gli sarebbe piaciuto, anche se non era il tipo da rincorrere miraggi di protagonismo. Non sarebbe mai diventato un personaggio da copertina, ma avrebbe saputo farsi ascoltare da tutti»

Furino: «Non aveva bisogno di urlare»
«Si è detto tanto su Gaetano in questi giorni, ed è un bene. Perché è un bene ricordare le persone che hanno operato nel mondo dello sport con grande serietà e competenza senza mai andare sopra le righe. Ricordare una persona come Gaetano, visti i tempi che corrono, diventa ancora più importante: adesso va di moda urlare, sbraitare pur senza porre l’accento sui valori. Ecco, Scirea era un ragazzo che non urlava, ma invece era pieno di valori: insomma, un esempio per tutti. Lo era allora e lo sarebbe ancora di più adesso. Un ricordo su tutti, per l’essenza di Gaetano: non rammento che partita fosse, ma a un certo punto, ad inizio gara, Scirea subì un pestone al piede destro. Non è uscito, ha continuato a giocare tutta la partita pur non potendo usare il piede: ha calciato tutto il tempo con il sinistro. Questo episodio, secondo me, la dice lunga su che tipo di persona fosse Gaetano»

Tardelli: «Forti come lui non ce ne sono più stati»
«Era uno dei giocatori più forti del mondo, ma era troppo umile per dirlo o anche solo per pensarlo. Il suo essere silenzioso e riservato forse gli toglieva qualcosa in termini di visibilità, ma certamente gli faceva guadagnare la stima, il rispetto e l’amicizia di tutti. Questo non significa che fosse un debole o che non avesse niente da dire: al contrario, era dotato di una grande forza interiore e sapeva parlare anche con i suoi silenzi. Io e lui avevamo caratteri completamente opposti, ma stavamo bene insieme. Una volta venne a trovarmi al mare e giocammo insieme a nascondino. Una cosa strana per dei professionisti, invece faceva parte del nostro modo di stare insieme e di divertirci in maniera semplice. Nel calcio d’oggi credo che si sarebbe trovato un po’ spaesato, ma solo a livello personale. Diciamo che personaggi con il suo carattere nel mondo del calcio non ce ne sono più»

Causio: «La sua serenità mi faceva arrabbiare»
«Arrivò a Torino che era ancora giovanissimo, mentre io ero alla Juventus già da anni. Si può dire che l’ho visto crescere: ragazzo, fidanzato, marito, padre modello. Era timido e buono, forse persino troppo. Spesso gli dicevo di reagire, di essere un po’ più cattivo con gli avversari: quella sua serenità mi faceva persino incavolare. E lui sapete che cosa mi rispondeva sempre? “Non ci riesco”. Lo diceva con il sorriso sulle labbra, era disarmante.Non l’ho visto una sola volta arrabbiarsi, diceva che non ne valeva la pena, e a posteriori devo ammettere che aveva ragione lui. Abbiamo passato insieme i migliori anni della nostra vita, abbiamo vinto tanto, abbiamo condiviso gioie bellissime. Quando sono andato via dalla Juventus siamo comunque rimasti molto legati. Era impossibile non volergli bene, era impossibile parlare male di lui. Gli volevo molto bene»