EDUARDO GALEANO: Splendori e miserie del gioco del calcio

Il calcio per sognare. Il calcio come arte, religione e bellezza. Il calcio come linguaggio comune, modo per riconoscersi e ritrovarsi. Il calcio, figlio del popolo, che non deve cedere alle lusinghe dei potenti, di chi vuole trasformarlo in strumento per produrre denaro, uccidendo la fantasia e l’innocenza.

Eduardo Galeano, grande scrittore uruguayano, tifoso appassionato e calciatore mancato («Come tutti gli uruguagi, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte mentre dormivo; durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese»), ci guida, con il suo «Splendori e miserie del gioco del calcio» (Sperling & Kupfer), nel mondo magico del football.

Con un’avvertenza: non fidatevi dell’enfasi retorica intorno al pallone, non fidatevi dei dittatori quando vi vogliono illustrare, con la complicità di un Mundial, il finto benessere del loro paese.Galeano cita la Coppa del mondo in Argentina nel 1978, nel tempo triste e crudele di Videla, dei desaparecidos, delle mamme di piazza di Maggio: «Parteciparono dieci paesi europei, quattro americani, Iran e Tunisia. Il Papa inviò la sua benedizione. Al suono di un amarcia militare, il generale Videla decorò Havelange durante la cerimonia di inaugurazione nello stadio Monumental di Buenos Aires. A pochi passi da lì era in pieno funzionamento la Auschwitz argentina, il centro di tortura e di sterminio della Scuola di meccanica dell’esercito. E alcuni chilometri più in là, gli aerei lanciavano i prigionieri vivi in fondo al mare».

Il Sudamerica è il continente delle laceranti contraddizioni: bene e male, miseria e nobiltà, oro e fango, tutto e niente. Dove il football, per davvero, diventa metafora della vita: sentimenti e ribellioni si celano dietro un dribbling, un gol, un gesto estetico. I grandi scrittori sudamericani hanno spesso utilizzato il pallone per raccontare i disagi del quotidiano, per denunciare le malefatte di politici e militari senza scrupoli, per mettere a nudo, con malinconica ironia, il malessere della società.

Maestro, in tal senso, è stato il sempre più compianto Osvaldo Soriano. L’autore di «Triste solitario y final», giocatore di buon livello in Patagonia («Quando ero adolescente, l’unica cosa che mi interessava era giocare a calcio. Nessuno mi disse mai che avrei potuto essere un buon giocatore, ma i miei compagni di squadra confidavano nella mia indole di goleador»), ha criticato l’Argentina del potere militare facendo scendere in campo i suoi improbabili, straordinari assi, sottili fustigatori del regime grazie a un calcio di rigore, a un match impossibile. Come dimenticare, ad esempio, la partita Argentina-Inghilterra a Puerto Argentino all’epoca della guerra delle Malvinas, oppure il figlio di Butch Cassidy arbitro di un match tra comunisti e socialisti nella Terra del Fuoco?

Il calcio, dunque, è in grado di diventare simbolo della giustizia, mezzo per esprimere il disagio di vivere, per condannare la violenza e l’oppressione. Gli scrittori sudamericani si sono impossessati, con letteraria abilità, del pallone. «Perché – avverte il brasiliano Edilberto Coutinho – lo scrittore scrive sempre delle sue passioni. E l’uso che in certi casi le dittature fanno del calcio non invalida il gioco, la forza magica della sua bellezza e della sua emozione, che continuano a prevalere. Perché il calcio, come la letteratura, se ben praticato, è forza di popolo. I dittatori passano. Passeranno sempre. Ma un gol di Garrincha è un momento eterno».

Eduardo Galeano raccoglie tutte queste denunce, tutti questi concetti in «Splendori e miserie», muovendosi su due piani narrativi: da una parte, il pallone come mistero agonistico e galleria di assi; dall’altra, il pallone come fenomeno culturale e sociale, come territorio ambito dai potenti per le loro ciniche scorribande politiche e finanziarie. Lo scrittore effettua una sintesi perfetta dei varimondifin dalle prime pagine, ipotizzando la possibilità di una salvezza: «La storia del calcio è un triste viaggio dal piacere al dovere. A mano a mano che lo sport si è fatto industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare per giocare. In questo mondo di fine secolo, il calcio professionistico condanna ciò che è inutile, ed è inutile ciò che non rende. E a nessuno porta guadagno quella follia che rende l’uomo bambino per un attimo, lo fa giocare come gioca il bambino con il palloncino o come gioca il gatto col gomitolo di lana. Il gioco si è trasformato in spettacolo, con molti protagonisti e pochi spettatori, calcio da guardare, e lo spettacolo si è trasformato in uno degli affari più lucrosi del mondo, che non si organizza per giocare ma per impedire che si giochi. La tecnocrazia dello sport professionistico ha imposto un calcio dipura velocità e forza, che rinuncia all’allegria, che atrofizza la fantasia e proibisce il coraggio. Per fortuna appare ancora sui campi di gioco, sia pure molto di rado, qualche sfacciato con la faccia sporca che esce dallo spartito e commette lo sproposito di mettere a sedere tutta la squadra avversaria, l’arbitro e il pubblico delle tribune, per il puro piacere del corpo che si lancia contro l’avventura proibita della libertà».

E ce ne sono, di sfacciati con la faccia sporca, di campioni senza età e senza tempo, nel libro di Galeano: come Artur Friedenreich (uno degli idoli di Jorge Amado) o come lo stesso Diego Armando Maradona che «giocò, vinse, pisciò, fu sconfitto». Ma la grandezza dello scrittore uruguagio sta nel fatto di schierare, in un ideale campo che è poi la vita, personaggi così diversi tra loro, ma uniti da quel filo conduttore che è ilpallone: Salvador Allende e Humphrey Bogart, Roberto Baggio e Henry Kissinger, Pier Paolo Pasolini e Marilyn Monroe, Karl Marx e Benito Mussolini, René Higuita e Adolf Hitler.E al termine del match, resta il calcio, mistero senza fine bello. Come ci indica Galeano: «Per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto. Dove meno te l’aspetti salta fuori l’impossibile, il nano impartisce una lezione al gigante, un nero allampanato e sbilenco fa diventare scemo l’atleta scolpito in Grecia».

Eduardo Galeano
Splendori e Miserie del Gioco del Calcio
Limina, 2002
pp. 252