Dalle strade di Roma ai palcoscenici della Serie A, la storia di Gaucci è stata un’epopea. Imprenditore audace, presidente visionario e personaggio controverso, ha incarnato un’era irripetibile del pallone nostrano.
Nato nel 1938, questo romano dalle umili origini iniziò la sua ascesa proprio nella Città Eterna, dove il giovane Luciano, rifiutando il destino di piccolo proprietario terriero che sembrava attenderlo, si reinventò come autista di autobus per l’ATAC. Ma l’ambizione di Gaucci era troppo grande per accontentarsi del volante di un mezzo pubblico, e con un’audacia che sarebbe diventata il suo marchio di fabbrica, partecipò a un concorso interno dell’azienda, guadagnandosi una scrivania in un comodo ufficio.
Tuttavia, nemmeno questa posizione poteva soddisfare la sua sete di successo. Con un colpo di genio tipicamente gaucciano, fondò “La Milanese”, un’impresa di pulizie con sede a Roma. Il nome fu scelto con astuzia: “Non avrei mai ottenuto un contratto in Nord Italia se avessero saputo che la compagnia veniva da Roma“, spiegò Gaucci con un sorriso sornione. Questa mossa si rivelò vincente, aprendo le porte a contratti sia nella capitale che nel settentrione del paese.
La scalata di Gaucci nel mondo degli affari fu rapida e inarrestabile. La sua abilità nel fiutare le opportunità e la sua spregiudicatezza nel coglierle lo portarono presto a espandere i suoi interessi ben oltre il settore delle pulizie. Era solo l’inizio di un’avventura imprenditoriale che lo avrebbe portato a toccare i vertici del successo economico e della notorietà pubblica.
Il salto nel mondo dell’ippica
Ma era nel mondo dell’ippica che Gaucci avrebbe fatto il suo primo, clamoroso balzo verso la ricchezza e la notorietà. Con i proventi de “La Milanese”, acquistò un cavallo irlandese dal manto nero come l’ebano: Tony Bin. Il nome del destriero aveva un’origine curiosa, legata a un incontro fortuito al Louvre con un povero pittore italiano di Parigi.
Gaucci raccontava spesso di come, durante una visita al celebre museo parigino, avesse notato un artista intento a copiare la Gioconda. Incuriosito, si era avvicinato e aveva iniziato a chiacchierare con lui. Il pittore, di nome Tony, lo aveva invitato nel suo modesto attico, dove Gaucci aveva acquistato uno dei suoi quadri per un milione di lire. Colpito dalla storia e dal talento dell’artista, Gaucci decise di dare il suo nome al cavallo appena acquistato.
Nel 1988, Tony Bin stupì il mondo vincendo il prestigioso Prix de l’Arc de Triomphe e il Gran Premio del Jockey Club. Gaucci, che aveva pagato il cavallo appena 7 milioni di lire, lo rivendette a una scuderia giapponese per l’astronomica cifra di 5 miliardi di lire, a cui si aggiunsero i 3,4 miliardi vinti nelle corse. In una notte, Luciano Gaucci si trasformò da uomo benestante a miliardario.
Nasce il Perugia di Gaucci
Con le tasche piene e l’ego alle stelle, Gaucci cercava nuove sfide. La risposta arrivò il 7 novembre 1991, quando divenne presidente del Perugia, all’epoca militante in Serie C1.
Fin dall’inizio, lo stile di gestione di Gaucci fu qualcosa di mai visto prima, specialmente nelle serie minori italiane. Il suo obiettivo era chiaro: far parlare di Perugia a tutti i costi. E ci riuscì, convincendo Giuseppe Dossena, campione del mondo nel 1982, a giocare per la sua squadra. Fu il primo di una serie di colpi di mercato che avrebbero caratterizzato l’era Gaucci.
L’arrivo di Dossena a Perugia fu un vero e proprio terremoto mediatico. Un campione del mondo che scendeva in Serie C era qualcosa di inaudito, e improvvisamente tutti i riflettori si accesero sulla piccola squadra umbra. Gaucci aveva ottenuto esattamente ciò che voleva: visibilità.
Ma non si fermò qui. Il suo piano era di portare il Perugia in Serie A entro cinque anni, e per farlo era disposto a tutto. Iniziò a investire pesantemente nella squadra, portando giocatori di calibro sempre maggiore e allenatori di nome. La sua gestione era un mix di intuizione, audacia e, talvolta, pura follia. Ma funzionava.
Tra scandali e promozioni
Il cammino verso la Serie A non fu privo di ostacoli. Nel 1993, il Perugia conquistò la promozione in Serie B dopo uno spareggio con l’Acireale, ma la gioia durò poco. Emerse uno scandalo che coinvolgeva Gaucci e un arbitro appassionato di cavalli: squalifica del presidente per tre anni e nella retrocessione della squadra.
Lo scandalo era tipico dello stile Gaucci. Si scoprì che l’arbitro Emanuele Senzacqua, grande appassionato di cavalli, era amico di Gaucci. I due pranzavano spesso insieme e, durante uno di questi pranzi, fu concordato l’acquisto di uno dei cavalli di Gaucci da parte del suocero dell’arbitro. Quando interrogato dagli investigatori, Gaucci tentò di spiegare che quei pranzi non avevano nulla a che fare con le partite, ma l’arbitro, sotto pressione, ammise tutto.
Ma Gaucci non era tipo da arrendersi. Nonostante la squalifica, continuava a presentarsi allo stadio ogni domenica, pagando multe salate. La sua presenza in tribuna, in barba alle regole, divenne un’immagine iconica di quegli anni, simbolo della sua sfida costante all’autorità calcistica.
Nel 1996, il Perugia raggiunse finalmente la Serie A, con giocatori del calibro di Marco Materazzi, Gennaro Gattuso e Massimiliano Allegri. Dopo una retrocessione e un’immediata risalita, il club si stabilì nella massima serie, pronto a stupire l’Italia intera.
La politica dei colpi ad effetto
La stagione 1998-99 fu emblematica della filosofia di mercato di Gaucci. Non potendo competere con i club più ricchi per i talenti sudamericani o europei, il Perugia si concentrò su mercati inesplorati, cercando potenziali talenti in ogni angolo del mondo.
Hidetoshi Nakata fu il simbolo di questa strategia. Acquistato per 3,5 milioni di dollari dallo Shonan Bellmare, il giapponese esplose a Perugia, per poi essere rivenduto alla Roma per una cifra dieci volte superiore. Era il Tony Bin del calcio, l’ennesimo colpo da maestro di Gaucci.
L’acquisto di Nakata non fu solo un successo sportivo ed economico, ma anche un capolavoro di marketing. Il Giappone si innamorò del Perugia, le maglie della squadra umbra iniziarono a vendersi a Tokyo come il pane, e una folla di giornalisti nipponici si trasferì in pianta stabile a Perugia per seguire le gesta del loro beniamino.
Ma non tutte le scommesse si rivelarono vincenti. Per ogni Nakata c’erano giocatori come Mika Lekhosuo, Iván Kaviedes o Ma Mingyu, che lasciarono poche tracce del loro passaggio. Eppure, era proprio questa imprevedibilità a rendere il Perugia di Gaucci una delle squadre più affascinanti e chiacchierate d’Italia.
Lucianone non si limitava a cercare giocatori sconosciuti. Il suo fiuto per il marketing lo portava a puntare su nomi che potessero far parlare di sé, indipendentemente dal loro valore calcistico. Fu così che arrivarono a Perugia personaggi come Rahman Rezaei dall’Iran, o addirittura Saadi Gheddafi, figlio del leader libico Muammar.
Il “Perugia dei Miracoli” e la fine di un’era
Il culmine dell’avventura perugina arrivò nel 2003, quando la squadra guidata da Serse Cosmi vinse la Coppa Intertoto, guadagnandosi l’appellativo di “Perugia dei miracoli”. Fu un trionfo inaspettato, che portò la piccola squadra umbra a confrontarsi con il calcio europeo.
Il Perugia di Cosmi giocava un calcio spumeggiante, fatto di pressing asfissiante e ripartenze fulminee. Era una squadra che non aveva paura di nessuno, capace di battere le grandi del campionato e di tenere testa alle corazzate europee. I tifosi perugini vivevano un sogno ad occhi aperti, con il loro club che si imponeva all’attenzione internazionale.
Tuttavia, la stagione successiva si concluse con una dolorosa retrocessione, segnando la fine dell’epoca d’oro del club umbro. Fu un epilogo amaro per una squadra che aveva fatto sognare un’intera città e che aveva portato il nome di Perugia sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
I guai giudiziari
Il tramonto dell’era Gaucci fu tanto tumultuoso quanto lo era stata la sua ascesa. Nel 2005, il castello di carte costruito con audacia e spregiudicatezza iniziò a crollare. Il Perugia, il gioiello della corona di Luciano, dichiarò bancarotta, trascinando con sé il suo vulcanico presidente.
Le autorità, che da tempo tenevano d’occhio le mosse di Gaucci, si mossero rapidamente. L’accusa era pesante: associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta. Non era solo Luciano nel mirino degli inquirenti, ma anche i suoi figli Riccardo e Alessandro, coinvolti nella gestione del club.
Di fronte a questa tempesta giudiziaria, Gaucci fece ciò che aveva sempre fatto quando si era trovato con le spalle al muro: stupì tutti. Invece di affrontare i tribunali italiani, scelse la via della fuga, trovando rifugio nella Repubblica Dominicana. Era il 2005, e iniziava così l’esilio dorato del “Re di Perugia”.
Da latitante sotto il sole caraibico, Gaucci continuò a far parlare di sé. In un colpo di scena degno della sua carriera, riuscì a patteggiare una pena di tre anni per bancarotta fraudolenta e reati fiscali. Ma, come in una partita di calcio dove tutto può succedere fino all’ultimo minuto, un indulto cancellò quella condanna prima che potesse essere scontata.
Nel 2009, con i reati ormai estinti, Gaucci fece una breve apparizione in Italia, come una star del calcio che torna per un’ultima passerella. Ma il richiamo dei Caraibi era troppo forte. Presto, l’ex presidente fece nuovamente le valigie, scegliendo di stabilirsi definitivamente a Santo Domingo.
Lì, lontano dai campi di calcio che lo avevano visto protagonista di mille battaglie, Luciano Gaucci trascorse gli ultimi anni della sua vita, fino alla morte sopravvenuta nel febbraio 2020. Era la fine di un’epoca, il sipario che calava su una delle figure più controverse e affascinanti del calcio italiano.
Le storie più bizzarre del calcio italiano
L’eredità di Gaucci nel calcio italiano non si misura solo in termini di risultati sportivi, ma anche nelle storie surreali che ha generato. Come quella di Jung–Hwan Ahn, attaccante sudcoreano acquistato nel 2000 e poi cacciato due anni dopo per aver segnato il golden goal che eliminò l’Italia dai Mondiali del 2002. “Sono un nazionalista“, tuonò Gaucci, “e con il suo comportamento ha ferito il mio orgoglio italiano“.
La vicenda di Ahn fu forse la più eclatante dimostrazione della natura imprevedibile e spesso irrazionale di Gaucci. Il giocatore, che aveva mostrato lampi di talento durante la sua permanenza a Perugia, si ritrovò improvvisamente ostracizzato per aver fatto semplicemente il suo dovere con la nazionale. Anni dopo, Ahn avrebbe rivelato in un’intervista alla televisione sudcoreana il trattamento ostile che aveva ricevuto nello spogliatoio, con compagni di squadra che lo emarginavano e insulti razzisti da parte di Marco Materazzi.
O come l’acquisto di Ma Mingyu, centrocampista cinese che si presentò paragonandosi a Michelangelo, ma che finì per giocare solo pochi minuti in Coppa Italia, trascorrendo il resto del tempo a guardare DVD sottotitolati e ascoltare musica cinese d’epoca. Ma Mingyu divenne una sorta di leggenda urbana a Perugia, con i tifosi che lo cercavano in città senza mai riuscire a vederlo. Il suo allenatore, Serse Cosmi, una volta disse di lui: “Ha qualità, ha visione di gioco, è a tanto così dal farmi smettere di mandarlo in tribuna ogni domenica“.
Ma forse l’episodio più surreale fu l’ingaggio di Saadi Gheddafi, terzogenito del leader libico Muammar. Accolto come un capo di stato, Gheddafi giocò solo 15 minuti in tutta la stagione, prima di passare all’Udinese e poi alla Sampdoria. L’arrivo di Gheddafi a Perugia fu un circo mediatico senza precedenti, con giornalisti da tutto il mondo che si accalcavano per vedere il figlio del dittatore giocare in Serie A. Ma le sue prestazioni in campo non furono mai all’altezza delle aspettative, e la sua carriera calcistica si concluse rapidamente.
Gaucci non si fermava davanti a nulla quando si trattava di attirare l’attenzione. Fu lui a proporre di inserire una donna nella rosa della sua squadra, suscitando un dibattito acceso nel mondo del calcio. E fu sempre lui a nominare Carolina Morace, ex calciatrice della nazionale italiana, come allenatrice della Viterbese, società satellite di Gaucci, facendone la prima donna a guidare una squadra maschile professionistica in Italia.
Queste storie, al limite tra il comico e il surreale, sono diventate parte integrante del folklore calcistico italiano. Hanno contribuito a creare un’aura di mistero e fascino attorno alla figura di Gaucci, trasformandolo in una sorta di personaggio mitologico del calcio italiano.
Il “Perugia dei miracoli” rimane nella memoria dei tifosi come una squadra unica, capace di alternare prestazioni sublimi a capitomboli clamorosi, sempre pronta a stupire e a far parlare di sé. E dietro tutto questo c’era lui, Luciano Gaucci, l’uomo che aveva iniziato come autista di autobus per diventare uno dei personaggi più iconici del calcio italiano.