Il «Diavolo» è tornato (con la vittoria sul Foggia) ai vertici della classifica: parliamo, allora, con il leader rossonero in un momento di distensione. Parliamo della sua vita di padre e di calciatore in una squadra che vuole lo scudetto della stella
Me lo vinci, …papà?
MILANELLO – Dalle cucine arriva un intenso profumo di arrosto. Nella saletta, dalla quale si scruta fino agli spogliatoi, Nereo Rocco beve un bicchiere di bianco friulano mentre commenta le ultime novità col babbo di Capello. Un’atmosfera idilliaca. E’ giornata d’allenamento. Il Milan ai vertici della classifica, in piena solitudine, rende tutti un po’ su di giri. E l’aria è ancora dolce, mitigata dai tepori dell’autunno.
« Fra un po’ – dice Albertosi appoggiato al bancone del bar – il campo gelerà e la mattina si respireranno ghiaccioli».
Gianni Rivera, salutato Liedholm, arriva calmo, risalendo il leggero pendio che porta alla sala da pranzo. Si è cambiato dopo gli allenamenti di stamani e ora indossa una tuta rossa.
– Allora – gli chiedo – questo Milan in vetta alla classifica?…
«Beh, non lasciamoci andare! – esclama – Il campionato per ora è agli inizi. Bisogna aspettare ancora qualche mese per poter dire qualcosa di definitivo, o quasi, sulla classifica. Prendiamo quello che viene. Giochiamo domenica per domenica, senza fasciarci la testa coi ma e coi se. Una volta si gioca bene, un’altra meno bene… ».
– Ma tu, che cosa dici? Come ti senti? Pochi minuti fa ho sentito Rocco e diceva che se il Milan è in testa con un Rivera non ancora in forma perfetta, che cosa potrebbe succedere quando tu entrerai in azione in pieno?
« Non so che cosa potrebbe succedere – risponde – Fisicamente mi sento a posto. Sto bene. Sono tranquillo e sereno. Non ho problemi. E’ chiaro, non si può essere sempre al massimo. Però, ripeto, mi sento bene ».
– E psicologicamente? Come ti senti, con questo Milan in testa, dopo il campionato disastroso dell’anno scorso?
« Diciamo subito che quello di quest’anno, almeno per ora, è un campionato normale, per una squadra come il Milan. Semmai quello passato è stato un campionato incredibile. Un’annata che sarà, a mio avviso, irripetibile. Come condotta di gara infatti e più logica quella di quest’anno».
– In passato – gli dico – sei stato accusato d’essere uno che parlava troppo. Hai fatto spesso delle dichiarazioni abbastanza azzardate.
«Questo della mia loquacità è un problema che non mi tocca e che non mi sono mai posto. E d’altra parte, le opinioni degli altri non m’interessano, in questo senso. Cerco di condurre la mia vita, possibilmente senza dare fastidio a nessuno. Un atteggiamento abbastanza civile, non ti pare? E ciascuno è libero di esprimere le sue opinioni. Per questo, credo, anch’io debbo essere lasciato libero di esprimere le mie. Siamo in democrazia, o no? Lo so, a volte le mie parole hanno dato fastidio. E’ così che uno si crea dei nemici ».
– Perché tu ne hai molti?
« Penso ».
– Che effetto ti fa?
« Non sono un problema così grave. Si vive lo stesso».
Rivera abbozza un sorriso.
– Quale definizione vorresti fosse data di te? Che sei bravo, che sei intelligente?…
« Qualsiasi definizione è sempre relativa. Non esiste un termine solo per descrivere una persona nella sua completezza. Non esiste quindi un’espressione che spieghi chi è Rivera, o il tale o un altro ancora. E quando qualcuno si è azzardato a dare una definizione di me, ha preso dei granchi, perché non mi conosceva bene. E’ difficile conoscere una persona. Che cosa vorrei si dicesse di me? Non lo so, francamente. Importante, comunque, è che io sia me stesso e non qualcun litro che scimmiotto o al quale m’ispiro ».
– Perché giochi al calcio?
« Mi piace. Forse non potrei vivere senza il gioco del calcio. Perché è un gioco. Mi trovo bene in campo. Coi miei amici, quando corro dietro al pallone o quando assisto all’azione di un compagno ».
– Vorresti passare alla storia del calcio come il giocatore più grande di tutti i tempi? O il più sfortunato? O il più fortunato?
« Non vorrei proprio passare alla storia! Eppoi non ci credo alla storia, come fatto obbiettivo. Ci son passati a malapena personaggi come Napoleone o Galileo, figuriamoci se ci potrei stare io! Forse nell’elenco dei miti… Ma anche quello non esiste più, casomai fosse esistito un tempo. No, credo proprio che non passerò mai alla storia».
–
Dunque non esistono i miti ma tu, non sei già un mito?
« No. Credo poco anche a questo. Forse c’era un certo divismo, in passato, ma i ragazzi d’oggi sono diversi. A parte qualche simpatia non ci vedono come degli esseri superiori sul piedistallo. Una volta c’era qualcuno che ancora tendeva a identificarsi coi migliori. Ma oggi è acqua passata. I giovani non sono così superficiali».
– Eppure, mai come oggi il calcio è stato così in auge, ha interessato tanto le folle.
« Sì, è vero anche questo. Oggi il calcio è Io sport principe. Ma l’interesse del pubblico è rivolto al gioco, non ai miti che potrebbero scaturirne. Oggi il calcio è spettacolo, un divertimento ».
– Prima hai detto che il gioco ti diverte e ti riempie la vita. Eppure c’è stato un momento in cui hai pensato di smettere. E forse hai già preso la tua decisione ed hai fissato la data d’addio?
« Sì. c’è stato un momento in cui avrei voluto lasciar perdere tutto quanto e ritirarmi. E’ stato un brutto periodo. Ero fermo da parecchio tempo, non sentivo più il fisico rispondere alle sollecitazioni come avrei voluto e in quelle condizioni ritenevo impossibile un mio reinserimento nel tessuto della squadra. Allora, ho pensato seriamente di smettere. Ma ho superato quel brutto momento. Ho ripreso a giocare ed anche fisicamente sono tornato a posto. Oddio, non voglio andare avanti fino alla vecchiaia sia chiaro! Ormai, per me non si parla più in termini di anni, ma di mesi. Saranno dieci, o dodici, o diciotto? Chissà. MI sono ripromesso tuttavia di non smettere finché il mio fisico reggerà. Solo quando non ce la farò più fisicamente smetterò di giocare ».
– Lasciare lo sport significa cominciare una nuova vita. Hai già pensato che cosa fare quando non sarai più un giocatore?
« Sì, ogni tanto ci faccio un pensierino. Ma non in maniera ossessionante. Per il momento non mi assillo con questo problema. Ho tanti amici, qualcuno mi darà una mano a intraprendere qualche attività. La regola dei grandi sogni da ragazzino per me non vale. Prima di tutto perché non ci credo, eppoi perché il mio sogno, che era di giocare, si è realizzato. Penso che il mio futuro, quello del dopo-calcio, lo penserò strada facendo ».
– Ti reputi un uomo d’affari?
«No. Non credo proprio. Però non si può mai dire. Chissà che cosa ci riserva la vita. Magari un giorno mi ritrovo a fare l’industriale… ».
– E da qualche mese sei anche papà…
«Sì, sono diventato padre. Beh, ogni volta che me lo sento dire mi stupisco. Ce n’è talmente tanti di papà! Uno in più non dovrebbe destare tanta sensazione».
– Diciamo che è stato il modo e che ha influito anche la notorietà dei genitori a far sì che Nicole, tua figlia, diventasse tanto importante. Comunque qual è il tuo rapporto di padre?
« Mi pare un po’ presto per parlarne. Nicole è ancora troppo piccola. Aspettiamo che cresca. In ogni caso non cercherò di essere un padre ossessivo ed apprensivo. Sarà lei a impostare la sua vita. Per lei non ho fatto alcun programma ».
– Si è parlato tanto anche di matrimonio. Era stato detto che tu ed Elisabetta Viviani eravate sposati segretamente; poi che non lo eravate più; infine che vi sareste sposati prestissimo…
«C’è stato un periodo in cui mi divertivo molto a leggere i giornali. Ognuno tirava a indovinare. Oppure metteva in pratica quanto la politica del giornale suggeriva. Inutilmente ho detto chiaro e tondo che io ed Elisabetta non eravamo sposati! Ed è là sola verità».
– Ma c’è, nei vostri progetti, il matrimonio?
« No. Per il momento non se ne parla. Ma debbo dire che questa situazione, creatasi da sola, si sta rivelando la migliore. Una situazione, peraltro, normalissima. Non capisco perché continui a destare tanto scalpore».
Dalla sala da pranzo giunge il richiamo di Rocco. Gli altri giocatori sono già a tavola. E’ spuntato anche il sole e la nebbiolina del primo mattino se n’è andata. Rivera si alza, mi saluta e, ringraziando, se ne va nell’altra stanza. A me rimane l’aroma dell’arrosto e il brusio dei commensali.