Gigi Radice e il difficile avvio con l’Inter

Ingaggiato dopo l’esonero di Rino Marchesi, l’allenatore visse una parte iniziale molto complicata della stagione 1983/84.

Durò appena una stagione la parentesi di Rino Marchesi sulla panchina dell’Inter. Il tecnico di San Giuliano Milanese, che nel 1981 aveva sfiorato lo scudetto con il Napoli, venne esonerato dalla società nerazzurra dopo la sconfitta contro la Juventus nel Mundialito ‘83, torneo che l’Inter chiuse a zero punti dopo la sconfitta anche nel derby contro il Milan di Ilario Castagner, neopromosso dalla serie B.

Preso il testimone da Eugenio Bersellini, autore di un quinquennio nerazzurro concluso con la conquista della Coppa Italia ‘82, Marchesi guidò l’Inter in un campionato dove l’andamento migliore la squadra lo fece registrare in trasferta. Delle quattro sconfitte stagionali, infatti, tre furono interne. Il terzo posto finale, a cinque punti dalla Roma campione e ad uno dalla Juve seconda, sembrò comunque un buon risultato, sufficiente a garantirgli la conferma. Sensazioni suffragate anche dall’andamento in Coppa delle Coppe, dove l’Inter venne eliminata dal Real Madrid soprattutto per alcuni svarioni arbitrali, mentre in Coppa Italia il cammino si fermò in semifinale contro la Juventus, la squadra che avrebbe poi alzato il trofeo battendo il Verona in finale.

A Marchesi venne imputato un debole equilibrio interno e la mancata soluzione del problema legato alla coesistenza della coppia BeccalossiMüller. Il flop nel Mundialito fu la goccia che fece traboccare il vaso. La società nerazzurra, presieduta da Ivanoe Fraizzoli, optò per Gigi Radice.

Il tecnico di Cesano Maderno era reduce dalle fallimentari esperienze alla guida del Milan (esonerato nel gennaio ‘82, con la squadra invischiata fino al collo in zona retrocessione) e del Bari, retrocesso in C nel 1983. Sulla panchina dei pugliesi, Radice era subentrato a Catuzzi nelle ultime tredici giornate, concluse con un bilancio di 3 vittorie, 5 pareggi e 5 sconfitte.

La campagna acquisti dell’estate ‘83 portò in nerazzurro il belga Ludo Coeck, eleganza, tecnica e fantasia in dosi elevate, reduce da un buon Mondiale spagnolo; il rientro di Carlo Muraro dall’Ascoli e del duo “prestato” al Milan: Pasinato e Serena. Dal Cesena giunse Angelo Recchi, portiere che avrebbe dovuto fare da chioccia al giovane Walter Zenga, erede di Ivano Bordon, ceduto alla Sampdoria. Salutò la maglia nerazzurra anche Gabriele Oriali, altro campione del mondo e reduce dello scudetto interista ‘79/80. Il brasiliano Juary, infine, si accasò all’Ascoli mentre Canuti passò al Genoa. Venne confermato, invece, il secondo straniero in rosa, il tedesco Hansi Müller su cui così si era espresso Evaristo Beccalossi l’anno prima: “E’ meglio giocare con una sedia che con Müller, perché con la sedia quando gli tiri la palla addosso ti torna indietro”.

Gigi Radice a Milano era a caccia di rivincite dopo il suo esonero dal Milan l’anno prima. Arrivato sulla panchina milanista, da lui ambita da un punto di vista strettamente romantico, avendo vestito da calciatore la maglia rossonera, l’esperienza si era conclusa con un totale fallimento dopo mesi d’inferno passati senza mai un sorriso né un giorno tranquillo. Un periodo a base di incomprensioni, veleni e rabbia che aveva distrutto l’immagine dell’allenatore.

“Ogni episodio di quella stagione è stato strumentalizzato e ingigantito – disse Radice al Guerin Sportivo ricordando la sua esperienza da tecnico del Milan 1981/82 – e lo sbaglio d’un giorno veniva indicato come errore continuo. Mi è stata appiccicata un’etichetta e me la sono portata dietro. Gli errori, comunque, servono e i miei son serviti a insegnarmi tante cose. Ma c’ero rimasto male perché Milano è la mia città e il Milan la mia squadra. Avevo voglia di far bene e invece sono caduto. Ma additarmi tutte le colpe, come fossi un pazzo da ricoverare in manicomio, mi è sembrato troppo. Un linciaggio strano, incomprensibile”.

Erano ancora ben presenti nella memoria di tanti le scene di giubilo di giocatori e giornalisti dopo il suo esonero, inneggiando ad una “Milanello liberata”. Un’esperienza che faceva parte del passato. Radice si disse certo di vincere subito la diffidenza nerazzurra. Fu lui l’ultima sorpresa uscita dal cappello a cilindro del presidente Fraizzoli, il vero colpo del calciomercato interista.

Al nuovo allenatore chiesero una scossa alla squadra dopo l’epilogo nettamente calante della gestione Marchesi, fino all’esonero definito da Luca Argentieri (Guerin Sportivo) “improvviso, sconcertante e forse perfido”. Il nuovo allenatore, ovviamente, non aveva alcuna colpa sulla cacciata del suo collega. Così, dopo aver temporeggiato in seguito ad una proposta del Palermo, era giunta la telefonata dell’Inter che lo riportava nel giro calcistico di maggior prestigio. Il presente si colorava di nerazzurro e Radice sapeva di dover riconquistare terreno.

La stagione partì con il raduno della squadra fissato il 28 luglio ‘83. “Sono tornato in un grosso club, da sempre ai massimi livelli, che punta sempre in alto. Voglio una rivincita verso me stesso e verso gli altri, cancellando la sequela di luoghi comuni che mi tormenta: il sergente di ferro, l’uomo di polso. Dirò ai giocatori di aspettare a giudicarmi, prima mi conoscano, ascoltino le mie proposte, provino a crescere con me e poi traggano le conclusioni”, aggiunse Radice consapevole di avere la strada subito in salita, con una squadra non scelta da lui.

Puntualizzò di avere una grandissima stima nella coppia d’attacco Altobelli-Serena (“E’ la più interessante della prossima serie A”), di Coeck (“Quello che ci vuole per dare il passo giusto a centrocampo”) e di non credere all’incompatibilità tra Beccalossi e Müller (“I campioni sanno trovare da soli lo spazio”).

L’undici titolare che emergeva dalla rosa a disposizione del nuovo allenatore interista vedeva Zenga tra i pali, quattro campioni del mondo (Bergomi, Collovati, Marini e Altobelli), giocatori dall’elevata affidabilità e forza (Beppe Baresi e Bagni), un attaccante reduce da un’ottima annata in B (Serena) oltre ai citati Müller, Beccalossi e Coeck. Gigi Radice ebbe come secondo in panchina il fedele Romano Cazzaniga, dodicesimo nel Toro scudettato del ‘76.

Il giorno del raduno interista, il presidente del Milan, Giuseppe Farina, rilasciò dichiarazioni al vetriolo contro il nuovo tecnico interista. A tutta pagina la Gazzetta dello Sport titolò “Farina scatenato provoca Fraizzoli”. Il massimo dirigente rossonero dichiarò: “Con Radice o vinci lo scudetto o vai in serie B”.

Dopo le partite amichevoli, arrivarono per l’Inter i primi impegni ufficiali in Coppa Italia. Sembrò l’inizio di un nuovo calvario calcistico per l’allenatore. L’esordio nel girone della prima fase fu negativo: a Cesena, contro una compagine di B, Bonesso castigò i nerazzurri nel finale. Battuto l’Empoli in casa (3-1), l’Inter s’impantanò sul campo della Sambenedettese di Clagluna che il 28 agosto ‘83 centrò una vittoria epocale grazie alla doppietta di Faccini. Dopo il successo contro l’Avellino (3-1, con Altobelli decisivo nel finale), il pareggio sul campo del Parma sancì l’eliminazione dei nerazzurri.

In campionato andò peggio. Alla prima giornata, a San Siro, davanti ad un pubblico delle grandi occasioni, l’inglese Trevor Francis ribaltò il gol di Bini con una doppietta annunciata con grande enfasi da Sandro Ciotti dai microfoni di Tutto il calcio minuto per minuto. Anche l’esordio in Coppa Uefa si chiuse con una sconfitta, a Trebisonda contro il Trabzonspor, vittorioso grazie ad una rete nel finale.

Andò peggio alla seconda di campionato: all’Olimpico, contro la Lazio guidata da Morrone, i nerazzurri fecero naufragio. Giordano, Cupini e Laudrup sancirono il 3-0 finale per i biancocelesti, lasciando a Radice l’amaro calice delle dure critiche. Sandro Mazzola confermò piena fiducia nell’allenatore: “La società è con il tecnico che non è in discussione”. Lo 0-0 casalingo contro il Torino dell’ex Bersellini accrebbe i dubbi sull’Inter che reagì in Uefa, tre giorni dopo, qualificandosi grazie al 2-0 nel ritorno contro i turchi.

Dalla gioia europea ai dolori italiani. Battuta ad Ascoli, il 2 ottobre ‘83 l’Inter toccò il fondo della classifica: ultima in solitudine con un punto in quattro partite. Allo stadio Del Duca fu decisivo un autogol nel primo tempo del ventenne Riccardo Ferri. La Stampa scrisse: “Sconfitti anche ad Ascoli, i nerazzurri navigano mestamente in fondo alla classifica con un solo punto dopo quattro giornate di campionato”.

Fraizzoli, deluso e costernato, parlò di una squadra in stato confusionale. “Che volete che vi dica, – affermò il presidente interista – siamo ultimi in classifica, roba da non crederci. Eppure è così. Speriamo di risollevarci alla svelta”. Ascoli fu nuovamente indigesta per Radice, come nel novembre ‘81 quando una sconfitta contro i bianconeri marchigiani portò la sua squadra (Milan) all’ultimo posto.

L’incontro casalingo contro il Napoli di Pietro Santin, altra delusione d’inizio stagione, ebbe le caratteristiche dell’ultima spiaggia per l’allenatore nerazzurro. In caso di mancata vittoria contro i partenopei, il tecnico sarebbe stato esonerato. Alla vigilia della partita, l’ex Rino Marchesi criticò apertamente Radice dalle pagine della Gazzetta dello Sport. “Macché ultimo posto, ho lasciato a Radice una squadra da scudetto. Fossi rimasto, sarei andato ben oltre il terzo posto dell’anno scorso. Bagni con me è diventato un campione e Altobelli ha disputato la sua più bella stagione”. Marchesi, tuttavia, pronosticò tempi migliori per i nerazzurri: “Nonostante tutto, alla distanza la squadra verrà fuori lo stesso”.

La zampata decisiva di Altobelli contro il Napoli

Contro il Napoli venne escluso dai titolari Coeck. Il belga accettò senza batter ciglio: “E’ giusto che il mister provi delle alternative”. Clamorosa fu anche l’esclusione di Collovati. A salvare la panchina di Radice provvide Altobelli con un gol ad una decina di minuti dalla fine. Una rete arrivata dopo alcuni errori in zona gol di Hansi Müller e alcune prodezze di Castellini, guardiapali del Napoli, che avevano fatto disperare i tifosi nerazzurri. Spillo interruppe un’astinenza da marcature durata 395’. Un dato ad ulteriore conferma del pessimo inizio stagionale dell’Inter. L’abbraccio tra Radice e Altobelli sancì la fine del momento più difficile. L’Inter rompeva finalmente il ghiaccio.

Altobelli su Radice: “Noi lo abbiamo difeso ma soprattutto lo volevamo salvare perché sapevamo che non aveva alcuna colpa”

Quella vittoria venne salutata come il risveglio da un vero e proprio incubo. “Ringrazio i tifosi per l’affetto e la vicinanza dimostrata nei miei confronti e dei giocatori, – disse Gigi Radice a fine gara – adesso dobbiamo continuare su questa strada”. Dopo due pareggi esterni contro Udinese e Pisa arrivò il derby d’andata, preceduto dalla corroborante qualificazione europea a spese degli olandesi del Groningen, battuti 5-1 sul neutro di Bari.

Il 6 novembre ‘83, in un San Siro a prevalenza interista, la squadra di Radice perforò due volte la porta difesa dal milanista Ottorino Piotti. Dopo 6’, in mischia, l’ex Fulvio Collovati sbloccò le marcature (per alcuni l’ultimo tocco fu di Serena), al 18’ il raddoppio del tedesco Müller mise il risultato al sicuro. Milan battuto nettamente. “Questa squadra comincia a dare un’idea delle proprie possibilità ma ci sono ancora sbavature da eliminare. – disse Mazzola il giorno dopo quella stracittadina – Penso che saranno necessarie ancora tre o quattro giornate per essere veramente a posto”.

Inter-Milan 2-0: la rete di Collovati nel derby scaccia-crisi

I rossoneri riconobbero la superiorità avversaria. Al presidente Farina non servì dormire, a Milanello, nel letto dove si riposava Nereo Rocco. Si consolò con il fatto di non dovere pagare premi partita ai suoi giocatori. Gigi Radice si sentì risollevato. “Le difficoltà del passato sembrano scomparse, l’Inter cresce. Ma non eravamo in crisi”, commentò il tecnico interista. Perso il treno dell’Uefa agli ottavi di finale, contro l’Austria Vienna, Radice si concentrò sul campionato che l’Inter concluse al quarto posto e con la migliore difesa (23 reti al passivo). Un piazzamento che rese soddisfacente l’annata nerazzurra, con annessa qualificazione in Coppa Uefa per la stagione successiva. L’allenatore non venne confermato: il nuovo presidente, Ernesto Pellegrini, scelse l’ex milanista Ilario Castagner.

Dopo la sua scomparsa – il 7 dicembre 2018 – Radice è stato ricordato con grande affetto dagli ex giocatori interisti. “L’unico allenatore per cui ho pianto nella mia carriera è stato Gigi Radice – ha dichiarato Beppe BergomiLui andava matto per i giovani e io con lui avevo un rapporto davvero speciale”.

Per Evaristo Beccalossiè bastato solo un anno per stimarlo e apprezzarlo come allenatore e come uomo. Ricordo quell’incontro con il Napoli: qualcuno voleva esonerarlo e noi vincemmo con un gol di Altobelli, con tutta la squadra che corse ad abbracciarlo. Un gesto che valse più di mille parole. Ci diceva spesso: parte il treno, chi vuole salire, salga fino alla fine. E noi eravamo saliti tutti, nessuno doveva toccare l’allenatore”.

Per Salvatore BagniRadice era come Bersellini: ma quale sergente”. Fulvio Collovati ha ricordato: “C’era grande rispetto tra noi due, lui stravedeva per me. Mi chiamò dopo il gol di Hateley, nell’ottobre ‘84, e mi disse che al ritorno dovevo prendermi la rivincita sull’inglese”. Riccardo Ferri ha sottolineato un particolare: l’aver trovato spazio in squadra grazie a Gigi Radice. Infine, Alessandro Altobelli, autore del gol che evitò l’esonero dell’allenatore ad inizio campionato. “Prima di affrontare il Napoli a San Siro, Mazzola e Beltrami riunirono la squadra dicendoci che senza la vittoria contro i partenopei Radice sarebbe stato esonerato. Noi lo abbiamo difeso ma soprattutto lo volevamo salvare perché sapevamo che non aveva alcuna colpa”.