GIGI RIVA – LA STORIA DI ROMBO DI TUONO

Capitolo Quindicesimo


Eravamo campioni d’Europa, non lo siamo più. Usciamo dalla competizione a testa bassa. Si lanciano feroci accuse a Valcareggi, lo si invita a dimettersi, si chiede il ringiovanimento della squadra a tutti i costi. All’arrivo a Linate, il ct. deve sfuggire alla contestazione da un’uscita secondaria. E sotto scorta. Riva, che affronta la folla con gli altri giocatori è dileggiato. Qualcuno gli lancia ortaggi e uova marce ma non coglie il segno. A stento, in taxi, riesce a farsi largo. Eppure Gigi è fra i meno colpevoli.
Riva concentra tutte le sue forze sulla classifica cannonieri. Anche se là Juventus non è più a portata di tiro, Gigi si batte al masimo. Segna un gol con la Sampdoria (3-1) e ne segna un altro a Mantova dove il Cagliari perde (1-2). I rossoblu finiscono quarti, Riva si piazza ad una lunghezza da Boninsegna. C’è aria di separazione tra Scopigno e il Cagliari.
Il divorzio tra il Cagliari e Scopigno avviene a metà giugno. Riva si oppone: vuole andarsene anche lui e chiede a Scopigno di portarlo con sè. «Dovranno rendere conto, i dirigenti, delle loro responsabilità» tuona Riva. Per un banale infortunio non prende parte alla tournée balcanica con la Nazionale, a Bucarest e a Sofia, dove Valcareggi, affiancato da Carraro, neo presidente del settore tecnico federale, innesta forze nuove con qualche buon risultato. C’è l’esperimento di Burgnich libero ed è il momento del «blocco» Juve, campione d’Italia. Ma si registra pure l’esordio di Chinaglia, l’alfiere della Lazio che sta per tornare in serie A, contro la Bulgaria.
Per una curiosa ironia del destino, il Cagliari assume Fabbri. L’ex ct. azzurro era stato licenziato a metà stagione dal Bologna ma Arrica ha fiducia. Fabbri cerca in tutte le maniere di «legare» con Gigi, di fargli dimenticare che nel 1966 non aveva creduto in lui. Ammette pubblicamente di aver preso un «granchio» quando era responsabile della Nazionale.
Riva dimentica, tanto più che le sue soddisfazioni e le sue rivincite se l’è prese con tutti gli interessi. Gli preme soltanto che il Cagliari funzioni. I sardi, intanto, hanno restituito Vitali al Lanerossi Vicenza in cambio del «vecchio» Maraschi. Il Cagliari è da ricostruire. Ci vuole tempo. Fabbri trova l’intesa con Riva ma Cagliari non è il suo ambiente: avrebbe bisogno di seminare per raccogliere; da lui invece si pretendono i miracoli. La squadra non gira e precipita sempre più in basso. Riva segna poco, la difesa è una frana. Dopo dieci giornate il Cagliari è ultimo in classifica e Fabbri viene contestato dai tifosi più accesi. Vogliono la sua testa ma lui non ha grandi colpe. Riva lo difende: «Faremo di tutto per salvarci e per aiutare il nostro allenatore». Si fa in quattro per contribuire a far risalire la dura china ad una squadra ormai logora. Il Cagliari si salva piazzandosi all’ottavo posto, Riva mette a segno appena dodici gol ma più che quell’oscuro campionato sono amarezze di vario genere a rendere più travagliata la sua stagione. Con le amarezze ci sono anche le gioie e riguardano, tutte, la Nazionale.
La stagione azzurra era cominciata con l’amichevole di Torino con la Jugoslavia il 20 settembre 1972. E’ la partita dell’ultima «staffetta» tra Mazzola e Rivera. Questa la formazione di partenza: Zoff; Spinosi, Marchetti; Agroppi, Rosato, Burgnich; Causio, Mazzola, Chinaglia, Capello, Riva. Jugoslavia: Maric, Krivokuca, Stepanovic D., Pavlocic M., Paunovic B., Katalinski, Petkovic, Nikezic, Santrac, Acimovic, Dzajic. Mazzola va in campo per primo e ce la mette tutta: gioca bene e non segna per mera sfortuna. Poi entra Rivera e gli azzurri passano. Va in gol proprio Riva, raddoppia Chinaglia. Vukotic riduce le disianze e Anastasi, subentrato a Chinaglia, segna il terzo gol. Quello di Vukotic, a 17 minuti dalla fine, è l’ultimo pallone che Zoff raccoglie in fondo al sacco prima della sua lunghissima serie-record di imbattibilità.
Dopo la partita Riva non si sbilancia. Salomonicamente riconosce di essersi trovato bene sia con Mazzola che con Rivera. Naturalmente Rivera e Mazzola giocano insieme in Lussemburgo (il 1 ottobre), nella prima gara del girone eliminatorio dei mondiali di Monaco74. In un clima da sagra paesana, con il piccolo stadio pieno di emigrati italiani, gli azzurri si impongono facilmente sui dilettanti del granducato. Due gol di Riva, uno di Chinaglia e uno di Capello (4-0). Le formazioni. Italia: Zoff; Spinosi, Bellugi; Agroppi, Rosato, Burgnich; Mazzola, Capello, Chinaglia, Rivera, Riva. Lussemburgo: Zender, Da Grava, Hoffmann J., Flenghi, Jeitz, Roemer, Dussier, Weis, Martin, Philipp, Bamberg.
Il 21 ottobre l’Italia gioca a Berna contro la Svizzera, considerata l’antagonista più temibile per Monaco. Ci scappa uno striminzito 0-0. Riva alla fine impreca con la mala sorte per una parata fortunosa del bravo Prosperi. Gli azzurri schierano la stessa formazione del Lussemburgo. La Svizzera oppone: Prosperi, Ramseier, Hasler, Kuhn, Boffi, Mundschin, Balmer, Odermatt, Müller., Chapuisat P., Jeandupeux.
Tre mesi dopo (il 13 gennaio 1973) incontriamo la Turchia a Napoli. Gli ottomani, allenati da Özari con la consulenza del brasiliano Didi, si rivelano meno sprovveduti di quanto si pensasse. Gli azzurri allineano alcune novità. Italia: Zoff; Spinosi, Marchetti; Agroppi, Bellugi, Burgnich; Causio, Capello, Chinaglia, Rivera, Riva. Turchia: Sabri, Mehmet II, Özer, Muzaffer, Zekeriya, Ziya, Fuat, Bülent, Mehmet I, Cemil, Metin. Chinaglia fallisce una buona occasione, Riva si accentra troppo. Nella ripresa Chinaglia cede il posto ad Anastasi. I turchi non oltrepassano la metà campo e Sabri para tutto. Lo 0-0 viene accolto con i fischi. Alcuni giornali scrivono che l’Italia è incappata in una seconda Corea. Ora dobbiamo vincere a Istanbul, altrimenti rischiamo l’eliminazione. Riva dice che non ricorda una partita cosi iellata ma viene accusato di insipienza tattica, di egoismo, di non voler faticare. Lo definiscono un elemento del folklore sardo, una «macchina da gol» scarica. Accuse pesanti. Lo mettono alla berlina. C’è chi chiede lo si lasci a casa.
Arriva il retourmatch (25 febbraio) di Istanbul. Si va sulle rive del Bosforo per giocare una carta che può costare la testa di Valcareggi e la nostra eliminazione. Riva rimane dubbio per un paio di giorni: ha un leggero dolore muscolare ma circola la voce che Valcareggi sia indeciso se utilizzarlo o meno. Alla vigilia della partita, Gigi non riesce a chiudere occhio. Fuma, si rode, pensa, studia l’avversario, ripassa l’azione, …segna dei gol. Nel cuore della notte sveglia il medico federale. Finalmente si calma un po’, ma non è facile. Sente troppo la responsabilità del momento: sa che se l’Italia non vincerà buona parte della colpa ricadrà su di lui.
Valcareggi imposta la squadra con sette bianconeri. In difesa torna Facchetti che era stato giubilato dopo Bruxelles nel quadro della «smessicanizzazione». Non c’è Rivera e rientra Mazzola. Italia: Zoff; Spinosi, Facchetti; Furino, Morini, Burgnich; Causio, Mazzola, Anastasi, Capello, Riva. Turchia: Sabri, Mehmet II, Özer, Muzaffer, Zekeriya, Ziya, Metin, Cemil, Mehmet I, Fuat, Bülent. Per fortuna gli azzurri segnano con Anastasi il punto decisivo. Monaco è vicina. Riva salva il posto e il prestigio e si sfoga contro coloro che avevano chiesto la sua estromissione. Di colpo le cose sono cambiate. Riva è sempre il punto fermo della squadra.
Ora cominciano le soddisfazioni. Il 31 marzo l’Italia riceve il Lussemburgo a Genova. Vince 5-0. Italia: Zoff; Sabadini, Facchetti; Benetti, Spinosi, Burgnich; Mazzola, Capello, Anastasi (Pulici), Rivera, Riva. Lussemburgo: Zender, Kirsch, Da Grava, Hansen, Jeitz, Fandel, Dussier, Philipp, Braun, Trierweiler, Langers. Riva segna gol a raffica e supera Piola nella classìfica dei cannonieri di tutti i tempi; supera cioè il giocatore a cui l’hanno paragonato. Ma Riva è più forte di Piola, non solo sul piano statistico. C’è ancora Meazza che resiste.
A Genova, Gigi ha uno sfogo. Ringhia, la sua rabbia non si è ancora placata. E’ come un mare in tempesta. «Nel Cagliari non è più possibile giocare — dice senza perifrasi —. Se sta bene alla società cedermi, sta bene anche a me». E’ sfiduciato, soprattutto verso i dirigenti che prima gli hanno allontanato l’amico-trainer Scopigno, poi non hanno operato sul mercato con la necessaria lungimiranza. I quattro gol di Marassi rappresentano una riabilitazione per Riva. Ne seguiranno altri, non meno importanti.
La Federcalcio ha in programma due amichevoli, con Brasile e Inghilterra, per festeggiare il giubileo della sua fondazione. A Roma, il 9 giugno, c’è il confronto con i campioni del mondo. Manca Pelé. Non è certo la rivincita di Città del Messico, ma le due squadre si battono con Impegno. Gli azzurri sì schierano con: Zoff; Sabadini, Facchetti; Benetti, Bellugi, Burgnich; Mazzola, Capello, Pulici, Bivera, Riva. Brasile: Leao; Zé Maria, Marco Antonio; Clodoaldo, Luis Pereira, Piazza; Jairzinho, Rivelino, Leivinha, Paulo Cesar, Edu. Riva gioca malgrado sia in non buone condizioni. Fa in tempo a segnare il gol che gli consente di raggiungere Meazza sul tetto dei goleadores azzurri; poi, per non aggravare una lesione muscolare, cede il posto a Chinaglia mentre Marchetti subentra a Facchetti. L’Italia raddoppia e chiude (2-0) con un gol «fantasma» di Capello.
La comitiva azzurra si trasferisce a Torino ma Riva non può giocare con l’Inghilterra. Riva mi dice che, se proprio dovrà cambiare squadra, gradirebbe giocare in maglia bianconera. Boniperti legge su «La Stampa» le dichiarazioni di Riva ed esulta: la Juventus ha appena riconquistato sul filo di lana lo scudetto ed ha perso onorevolmente la finalissima di Coppa dei Campioni con l’Ajax a Belgrado. Può soddisfare le ambizioni di Riva.
Succede, invece, che gli azzurri battono gli inglesi per la prima volta, con reti di Anastasi e Capello. Quel 14 giugno è una data storica per il calcio Italiano. Riva va a Leggiuno, non vede neppure la partita. Quando torna in Sardegna, tutti parlano del suo trasferimento alla Juventus. La reazione dell’isola è feroce e commovente. Riva riceve migliaia di testimonianze di affetto e anche qualche minaccia. «Guai a te se te ne vai!», gli dicono. Ormai è tempo di mercato. All’Hilton si parla solo di Riva. Il Cagliari è disposto a cederlo ma chiede in cambio sei giocatori per una valutazione complessiva di due miliardi e trecento milioni: Cuccureddu, Bettega, Musiello, Gentile, Butti e Ferrara da una parte, Riva dall’altra.
«Mi vergogno per chi ha fatto queste valutazioni — si lamenta Riva —. Io contro sei. E’ immorale. Non mi sento di valere sei persone. Poi c’è il problema della responsabilità. Uno che viene valutato due miliardi, deve poi rendere per due miliardi».
E’ la «rivoluzione» di Riva al sistema di cui è prigioniero e che lo mette all’asta come un oggetto qualsiasi. Però, se davvero si opponesse, rischierebbe di non giocare più al calcio. Il suo conto in banca è una garanzia per un avvenire sicuro ma non potrebbe appendere le scarpe al chiodo. La verità viene a galla: la Juventus non ha mai offerto quella cifra. Tutto rimane come prima. Sfuma il trasferimento del secolo.
Finiscono le vacanze. Il Cagliari ha fatto qualche acquisto, tutta gente giovane. Domenghini, Maraschi e Cera sono stati ceduti. Chiappella è subentrato a Fabbri. Il Cagliari paga lo scotto del rinnovamento. I giovani devono fare esperienza. In campionato, per parecchie giornate, segna solo Gigi e la squadra vince raramente. E’ una annata di transizione, di assestamento. Riva non ha più lo scudetto come traguardo. Pensa alla classifica-cannonieri ma soprattutto pensa ai «mondiali» di Monaco: è dalla finalissima di Città del Messico, con il Brasile, che medita la sua grande rivincita.
«A Monaco — dice Riva — dovrei arrivare più fresco e quindi tri grado di giocare all’altezza delle mie possibilità. In Messico era diverso. Vi ero approdato dopo una stagione tirata, allo spasimo, al culmine della carica agonistica, dopo tuia sessantina di partite. Mi mancava la voglia di giocare».
Il rodaggio degli azzurri verso Monaco — anche se l’Italia deve ancora superare la Svizzera per avere la certezza della qualificazione — comincia a San Siro il 29 settembre 1973 contro la Svezia, in un’amichevole che conta. C’è una grossa novità nello staff azzurro: Italo Allodi come, general manager. Gli azzurri giocano con: Zoff; Spinosi, Facchetti; Benetti, Morini, Burgnich; Mazzola, Capello, Anastasi, Rivera, Riva. Svezia: Hellström, Olsson, Andersson B., Tapper, Karlsson, Nordqvist, Svensson, Torstensson, Edström, Bo Larsson, Sandberg.
L’Italia vince (2-0). Anastasi sblocca il risultato con una prodezza e Riva raddoppia. Questo gol consente a Gigi di superare Meazza e di entrare nella leggenda del calcio. Ora, con 34 reti, è il più grande goleador azzurro di tutti i tempi. «Non avrei mai pensato di arrivare a tanto ma se mi soffermo a pensarci troppo ho già perso… il posto — dice Riva mentre tiene ben saldo il pallone del suo 34° gol —. Questo gol mi dà una grande gioia. E’ un gol che ho voluto più degli altri. Guardando questo pallone, fra qualche anno, forse avrò dei rimpianti. Per ora sono felice».
Un mese dopo c’è lo scontro decisivo con la Svizzera a Roma. E’ il 20 ottobre. Gli schieramenti: Italia: Zoff; Spinosi, Facchetti; Benetti, Morini, Burgnich; Mazzola, Capello, Anastasi, Rivera (Causio), Riva. Svizzera: Deck, Wegmann, Hasler, Schild, Chapuisat P., Kuhn, Vuilleumier, Odermatt, Müller K., Blaettler, Jeandupeux. Vinciamo 2-0 con Riva protagonista. Il bomber provoca il calcio di rigore, che Rivera trasforma sul finire del primo tempo, e raddoppia nella ripresa. E’ il suo 35° gol in Nazionale, con 39 presenze: un «palmares» eccezionale. Andiamo a Monaco.
La squadra azzurra si è aperta la strada verso Monaco, ancora una volta con i gol di Gigi, e si toglie un’altra grossa soddisfazione: quella di battere l’Inghilterra in casa sua, nel maestoso stadio imperiale di Wembley, il 15 novembre 1973. Una memorabile vittoria, con un gol di Capello, a tre minuti dalla fine. Un gol in contropiede ottenuto da una squadra che, proprio nella consapevolezza di non essere irresistibile, trova le risorse per speculare gioco e imporsi. Zoff e la difesa resistono agli assalti dei «bianchi», Capello li trafigge. Le formazioni: Italia: Zoff; Spinosi, Facchetti; Benetti, Bellugi, Burgnich; Causio, Capello, Chinaglia, Rivera, Riva. Inghilterra: Shilton; Madeley, Hughes; Bell, McFarland, Moore; Currie, Channon, Osgood, Clarke, Peters.
Riva non brilla a Wembley. Si sacrifica per la squadra, arretra, dà una mano ai centrocampisti e alla retroguardia. E’ anche merito suo se si è vinto ma molti non lo capiscono. Gigi non se la prende. La gente tornerà a rimpiangerlo qualche mese dopo, quando l’Italia, con Chiarugi all’ala sinistra, (Riva è infortunato) rimedia uno squallido 0-0 con la Germania Ovest nella amichevole di Roma. Tutti capiscono che Riva è insostituibile. Ma Riva, questa volta non va a Monaco con l’etichetta di «salvatore della Patria». Preferisce essere uno dei tanti, non il sorvegliato speciale di tutte le difese, come era successo in Messico. A Monaco, Riva non troverà più Pelé che ha rinunciato ai Mondiali.
«Ha rinunciato — dice Gigi parlando della “Perla nera” — perché, di fronte a se stesso non si sentiva più all’altezza. Secondo me ha avuto torto, ma lo capisco. Il giorno in cui mi guardassi allo specchio e concludessi di non essere più Riva, avrei il coraggio di prendere la decisione che ha preso lui: non potrei mai continuare a giocare in Nazionale difendendomi con il mio passato. Un giorno o l’altro potrei chiedere di fare il “libero” per allontanare il mio tramonto. Ma so che non lo farò. Sono nato attaccante e finirò attaccante, tra tre o quattro anni».
Il campionato va in archivio. Lo scudetto è appannaggio della Lazio che lo strappa meritatamente alla Juventus concludendo in scioltezza lo sprint finale con due punti di vantaggio sui campioni uscenti. Il Cagliari termina al decimo posto. Capocannoniere è Giorgione Chinaglia con una discussa rete in più di Boninsegna. Riva, nella sfida dei bombers, ha fatto la sua parte (considerando la modesta forza della squadra ed un paio di seri infortuni) piazzandosi quarto, a pari merito con Clerici, con quindici centri. Anche se non ha vinto, è sempre il «principe dei goleadores». Riva preferisce restare nell’ombra. Vuole che si parli poco di lui con la speranza che si parli molto delle sue imprese a Monaco.
Pur chiamandosi Riva ed essendo considerato un «campionissimo» è un giocatore che non dice «io», ma parla di «squadra». Non è più ossessionato dall’idea di essere «una macchina da gol». E’ sereno. La sua serenità, però, è di breve durata. Il 25 maggio si presenta ad Appiano Gentile, per l’inizio delle «grandi manovre» azzurre, debilitato dagli antibiotici che gli sono stati somministrati per curare un granuloma ad un premolare. Prima che lo portino dal dentista per l’estrazione del dente, salta un paio di allenamenti.
Nel frattempo si ritrova al centro delle trattative di uno dei più colossali affari calcistici. Non c’è la Juventus in ballo ma il Milan. Boniperti ha già rinunciato all’acquisto di Riva ritenendo l’operazione troppo onerosa e sapendo che il giocatore non intende lasciare la Sardegna. Il Milan, invece, insiste. Albino Buticchi, faraonico presidente rossonero, vuole Riva a tutti i costi ed è disposto a trattarlo sulla base di due miliardi (il «pacchetto» comprende centinaia e centinaia di milioni e tre giocatori: Sabadini, Calloni e Libera). I negoziati sembrano sul punto di concludersi. Il Cagliari, in gravi difficoltà finanziarie, ha deciso di accettare: manca solo il sì di Riva.
A Cagliari i tifosi sono in fermento. Portano la statua di Gigi in processione, come un’icona, in una specie di delirio collettivo. Sono scene che si ripetono da almeno sette anni, poi tutto finisce in una bolla di sapone. Questa volta, però, Arrica fa sul serio. Riva non ci vuole credere ma è nervoso, infastidito. «Bisognava parlarne con calma, prima. Adesso è troppo tardi», s’indigna.
«Non sarò mai un oggetto da baratto — esclama Gigi con brutale sincerità —. Preferisco rimanere a Cagliari e non solo per i miei interessi di calciatore. Ma non fraintendetemi. Non ho problemi per la mia privacy. Milano sarebbe come Cagliari Se non mi rispettassero finirebbe a cazzotti: spaccherei o mi spaccherebbero. No, non è questa la ragione. Non ho paura di prendere le mie responsabilità. Non ho certo voglia di scappare sull’Aspromonte per fare il latitante a scapito della mia carriera. Il discorso è un altro. E’ un discorso serio che investe la mia dignità di uomo. Se fossi trasferito per i miliardi che dicono mi sentirei un fenomeno da baraccone: tre gol a partita sarebbero un fatto normale. La gente aspetta soltanto il mio gol ed io sono obbligato a darglielo: finisce per non gustarlo e non farmelo gustare. Rifiuto Milano o Torino perché sarebbe come timbrare il cartellino. Non mi sono mai sentito una primadonna o un fenomeno: lascio agli altri la passerella dell’Hilton. Quando facevo loro comodo mi strumentalizzavano per discorsi politici, invece capita che se non vado via i conti della società non quadrano più. Non ci sto».
Quando Arrica ed il consigliere delegato, avvocato Delogu, gli telefonano alla «Pinetina» per avere il suo consenso, Riva li tratta duramente. Ma l’incertezza sulla sua sorte permane ancora per qualche giorno. Poi il giallo si risolve e Gigi tira un sospiro di sollievo. «E’ finita questa storia», mormora con un mezzo sorriso. Ma i guai continuano. Un dolorino spunta dietro la coscia sinistra: stiramento muscolare. Ha forzato in allenamento a Varese ed ora ne paga le conseguenze. Riva ha avuto una stagione difficile, disseminata da contrattempi: prima una sciatalgia, poi la sospetta lesione al menisco, fortunamente scongiurata. Ora un nuovo stop, un trauma muscolare da cui si può guarire ma che compromette la sua condizione atletica.
Dopo 48 ore di riposo trascorse in Sardegna, Riva si presenta a Coverciano per l’ultima fase della preparazione, prima della spedizione in Germania. Non si allena: i medici azzurri annunciano che non potrà giocare a Vienna, nell’amichevole con l’Austria, tappa conclusiva in vista della grande kermesse tedesca. Si cerca, nel Club Italia, di minimizzare la portata dell’infortunio per non turbare la squadra (c’è già del malcontento tra le riserve ad agitare le acque) che confida nei gol di Gigi. E’ facile intuire che Riva non potrà dare il meglio di sé. Ci vuole più di una settimana per guarire da uno stiramento e la forma se ne va. Forse sarebbe più opportuno lasciare Riva a casa.
Alla vigilia della partenza per Vienna, il Cagliari emette un sibillino comunicato nel quale si puntualizza che la mancata cessione di Riva — dipesa unicamente dal suo rifiuto — ha impedito al club di portare avanti in pieno il programma di rinnovamento che era stato cominciato nella precedente stagione. Il Cagliari, in altre parole, si libera di ogni responsabilità e le scarica sul giocatore. Riva replica con durezza. Il dissidio con Arrica si inasprisce. E’ la prima avvisaglia di un clamoroso braccio di ferro che terrà banco per tutto il mese di agosto e si concluderà in settembre con un compromesso che costringerà Riva ad accettare un decurtamento dell’ingaggio.