GIGI RIVA – LA STORIA DI ROMBO DI TUONO

Capitolo Quinto


Nei saloni del «Gallia», dove si tiene il calcio-mercato, si parla soltanto di Riva. E’ stato valutato circa mezzo miliardo, una cifra enorme per quei tempi. Ma l’equilibrio di Gigi non subisce turbamenti. Al raduno degli azzurri, ad Asiago, gii chiedono che cosa prova a sentirsi più caro dell’oro. Risponde: «Vorrà dire che avrò un ingaggio migliore».
L’Inter rinuncia a ogni diritto su Riva e Scopigno commenta: «Ci teniamo Riva e non versiamo certo lacrime. Vorrà dire che segnerà molti goL. Il Cagliari può tranquillamente salvarsi. Mi risulta che la società abbia una certa forza economica, sicché la squadra non sarà certo indebolita. Il pubblico, poi, ci darà la carica».
Grazie al contributo (cento milioni) della Regione, il Cagliari, può tenersi Riva, accontentare la «piazza» contraria alla cessione del goleador, ingaggiare Boninsegna, restituendo Gallardo al Milan.
I «mondiali» battono ormai alle porte. Dopò l’ultima amichevole di fine giugno, con il Messico, Fabbri annuncia l’elenco dei 24 giocatori che prenderanno parte alla spedizione in Inghilterra. Non figura il capriccioso Corso: Mariolino è stato giubilato. Riva, inserito nella lista, non ha giocato neppure una delle quattro partite di preparazione contro Bulgaria, Austria, Argentina e Messico. Questo lo errore di Fabbri. Il ct. lo porta con sé in Inghilterra per fargli fare esperienza internazionale, come turista. Vedrà i mondiali dalla tribuna.
Troppo legato alle sue origini romagnole e a Bologna, la città in cui vive, Fabbri tiene costantemente sotto controllo Pascutti per non avere ripensamenti e, in subordine, segue Barison. Conosce meno bene Riva. L’ha provato a Parigi perché Pascutti non era disponibile, perché si parlava dell’ala sinistra cagliaritana come di una grossa realtà. Poi, alla giovane promessa, ha preferito Pascutti, sempre in possesso di fiuto del gol ma che dà segni di declino. Fabbri, tecnicamente preparatissimo e non esitante nel dare fiducia ai giovani, sbaglia invece a valutare Riva. Forse, è meglio dire che crede ciecamente nelle qualità realizzatrici di Pascutti. Commette altri errori. Come quello di non servirsi di Armando Picchi, un giocatore ricco di esperienza, una specie di condottiero. Rinunciando a Corso, a Picchi e a Giuliano Sarti — quasi volesse dimostrare la sua superiorità su Helenio Herrera — il piccolo commissario tecnico accende così il rancore delle tribù dei tifosi interisti.
La federazione gli rinnova il contratto sino al 1970 e la Nazionale di Fabbri, in preda a pericolosa euforia per i successi conseguiti nelle amichevoli, parte per la terra d’Albione con Riva a rimorchio. Forse Fabbri comincia a credere in questo giocatore che è l’espressione del calcio atletico: sa che prima o poi la squadra azzurra non potrà farne a meno. Poi è elemento che sul mercato è stato valutato mezzo miliardo. Riva e Bertini, i due accompagnatori, vanno in ritiro con gli altri a Durham, presso una scuola.
Il campionato del mondo s’inizia per l’Italia con una vittoria sul Cile. Segnano Mazzola e Barison che sostituisce l’infortunato Pascutti. Contro la Russia perde di misura (1-0). I nervi saltano a Fabbri. Possiamo ancora passare il turno: è sufficiente fermare la Corea del Nord. «Non credo che questi coreani — dice Fabbri — siano diventati all’improvviso dei fenomeni». Ma anche i bassotti con gli occhi a mandorla battono gli azzurri a Middlesborough. Gli asiatici sono scatenati, gli italiani fanno la figura dei… pigmei. Il dentista Pak Doo Ik, caporal maggiore, segna il gol decisivo che li fa colare a picco.
Alle ore 2,10 del 24 luglio, gli azzurri sbarcano all’aeroporto Cristoforo Colombo dì Genova. Sono attesi da duemila persone. Ingiurie e pomodori piovono su Fabbri. «Vergogna, ci avete fatto piangere», urlano i tifosi. L’Italia calcistica bolle di sdegno. Fabbri sfugge per miracolo al linciaggio. C’è persino un’interpellanza in Parlamento: si chiede di far piena luce sulle cause che hanno determinato la disfatta. Fabbri è l’uomo più odiato. I giornali gli fanno processi-fiume, lui si chiude in convento a rimuginare con i suoi… «fantasmi coreani», si convince che in Inghilterra c’è stata una congiura ai suoi danni, ordita dal vicepresidente Franchi e dal medico federale Fini. Lancia pubbliche accuse, viene esonerato, minacciato di querela e deferito alla commissione disciplinare.
Poi, le polemiche sul vergognoso epilogo azzurro dei mondiali, vinti dall’Inghilterra, si stemperano. Riva è fuori dalla mischia. La gente non sente il bisogno di rimpiangerlo, non conosce ancora il vero Riva. Nessuno, per la verità, può immaginare lo strepitoso successo che lo attende. Solo a distanza di anni Fabbri riconoscerà di aver sbagliato a valutarlo.
Per Riva intanto è un’estate speciale. Passa le giornate a pescare sul lago Maggiore e a meditare: riflette sull’utilità della gita-premio in Inghilterra e pensa all’ingaggio. E’ convinto che ai «mondiali» sarebbe esploso ed avrebbe potuto far qualcosa per la Nazionale.
«Alla Coppa Rimet — racconta Gigi — ero un partecipante più unico che raro, insieme con il mio amico Bertini. Mi allenavo due volte al giorno come se dovessi giocare. E spiritualmente mi sentivo sullo stesso piano degli altri. In effetti motivi di malumore ne avevo e, qualche volta, non sono riuscito a tenere la bocca chiusa. Però l’avventura inglese l’ho vissuta e sofferta come tutti gli altri. Quella sera che si perse con la Corea, noi che eravamo fuori campo, restammo un bel pezzo sugli spalti, come impietriti. Quasi quasi stavamo restando soli allo stadio. Non ci sembrava vero quello che era accaduto. Chissà: eravamo in trance, ci pareva che la partita dovesse proseguire, che… nel terzo tempo l’Italia avrebbe finalmente vinto. Potevamo credere ad una cosa del genere?
Anche quando si arrivò a Genova, dopo il tristissimo viaggio di ritorno, — continua — non mi sentii diverso da Bulgarelli, da Rivera o da Albertosi. E quell’accoglienza rimane uno dei più brutti ricordi della mia vita. Insomma, ad un certo punto, ho fatto anche una polemica, ribellandomi alla posizione in cui mi trovavo, ma una volta in ballo ho ballato sino in fondo e ho sofferto. Poi, di polemiche, non ne ho più volute. Ero sinceramente addolorato per gli sportivi italiani per i miei compagni che, posso assicurarlo, hanno fatto di tutto per evitare il disastro. Non meritano, di essere accusati di scarso agonismo, di mancanza di attaccamento alla bandiera. E’ stata solo una lunga serte di coincidenze disgraziate e anche di sfortuna nera».
Riva è appena maggiorenne ma già ragiona come un uomo maturo. Ha anche il senso degli affari e le idee molto chiare circa il trattamento economico che il Cagliari deve riservargli. Si presenta a San Marcello Pistoiese a mezzanotte del 16 agosto. A quell’ora fa conoscenza con Scopigno. Tre giorni dopo lascia il ritiro perché non ha raggiunto l’accordo con la società. Va a Leggiuno, deciso a raggiungere Cagliari per discutere direttamente con il 28 presidente Rocca. Anche Boninsegna sale sull’Aventino ma poi cede. Rizzo, l’altro «nazionale» del Cagliari si accorda rapidamente. Il braccio di ferro tra Riva e il Cagliari dura a lungo.
Gigi va in Sardegna. Rocca gli offre 13 milioni, cinque in più della precedente stagione, Riva ne chiede 18. «O accetti o non giochi!», è l’ultimatum del presidente rossoblu. Riva non si lascia impressionare e non cede. Circola persino la voce che a indurlo a resistere ci sia lo zampino del Milan. Scopigno continua, nel frattempo ad allenare la squadra, e rimane indifferente all’atteggiamento di Riva e della società. «Se la sbrighino loro — dice il «filosofo» —. Riva fa il divo? A me i divi in squadra non disturbano, anzi». Scopigno ha capito che tipo è Riva. Andranno d’accordo.
Il 27 agosto, Riva s’incontra a Milano con Rocca e capitola. Subito dopo parte per Ascoli Piceno. Affaticato per il viaggio vuole giocare contro l’Ascoli. Il Cagliari perde. Riperde ad Arezzo in Coppa Italia, pareggia a Prato e vince a Firenze. Scopigno è soddisfatto della squadra: «Giocheremo in campionato per salvarci dignitosamente. Anche un cieco vede che il Cagliari è più forte dell’anno scorso».
Il 3 settembre i club calcistici si trasformano in società per azioni nel tentativo di sanare, anche solo parzialmente, il deficit della Lega valutato 13-16 miliardi. Per la sostituzione di Fabbri alla, guida della Nazionale si fanno i nomi di Helenio Herrera e del modesto Valcareggi, ex collaboratore di Fabbri.
Scopigno, detto il «filosofo», perché ha frequentato per un paio di anni la facoltà di lettere e storia, all’Università di Roma, è reduce da una breve e infelice esperienza nel Bologna. Dopo cinque giornate gli hanno dato il 29 benservito: ora ritenta l’avventura con il Cagliari. Con intelligenza prosegue il lavoro di Silvestri, adeguadosi alla mentalità dei sardi. E’ un fumatore accanito e non disdegna il whisky. Ama l’arte. Parla a mezza bocca, non alza quasi mai la voce con i suoi giocatori, nemmeno quando è impegnato in una discussione, ma è temuto e rispettato. Ha l’aria perennemente annoiata. Le sue interviste sono ciniche e ricche di battute ma sa essere polemico e sferzante quando è il caso. Qualcuno, leggendo le sue dichiarazioni, pensa che Scopigno si diverta a prendere in giro il mondo.
«La gente non mi crede, ecco il punto — dice Scopigno —. Il calcio, diciamolo pure, è un castello di cui le bugie sono le fondamenta. Bugie di tutti i generi, per furbizia e interessi. Il fatto è che io dico la verità. E perché dico la verità, la gente si sente presa per i fondelli. Ecco spiegato il mistero. A molti non va quello che dico o che faccio. Io dico pane al pane e brocco al brocco. Gli istrioni, le bugie, sfottere il prossimo è sempre piaciuto a tutti. Ecco, io non voglio criticare nessuno, non voglio offendere nessuno. E’ per questo che mi credono diverso dagli altri. Gli asini, ad esempio, non possono stare insieme ma i campioni si».
Con Scopigno — l’uomo giusto al posto giusto — prende forma un Cagliari da primato. Con Riva c’è Boninsegna. Faccia da pugile, orecchie a sventola che fanno vagamente Clark Gable, in brutto, Boninsegna ha come Riva il fiuto del gol. I due si somigliano: entrambi sono mancini. Se Riva fosse partito, Boninsegna avrebbe dovuto sostituirlo. Proviene dal Potenza ed è costato 85 milioni, che li avrebbe sborsati l’Inter a parziale contropartita per l’acquisto di Riva, poi sfumato per l’intervento di Herrera. Scopigno deve fare coesistere questi due centravanti. Inventa Nené — riscattato completamente dalla comproprietà con la Juventus — finta ala destra, con Greatti e Cera in cabina di regìa ma soprattutto vuole che la squadra giochi per Riva. Scopigno sostiene che Riva gioca in un modo paradossale, che è troppo altruista. Lo vuole più egoista per il bene della squadra. Saranno gli altri a lanciarlo in un Cagliari da contropiede. Scopigno ammorbidisce anche il carattere di Riva.
In campionato, a Lecco, il Cagliari vince nettamente: 2-0. Segnano Boninsegna e Riva su rigore. Scopigno deve far quadrare il nuovo gioco e non gli importa se i risultati non sono subito positivi. Alla seconda giornata il Cagliari riceve il Milan di Silvestri. «Noi non aspettiamo il nostro ex allenatore ma il Milan», dice Riva, Però è un po’ emozionato e si fa parare un rigore da Mantovani. Cosi il Milan passa indenne all’Amsicora.
Gigi si riscatta ampiamente la domenica seguente contro il Bologna, sempre all’Amsicora: trasforma un rigore, dopo essersi invano rifiutato di batterlo, e sigla altre due reti. Finisce 4-0. Scopigno si è vendicato del Bologna e, in tono glaciale, dice: «Possiamo far meglio». Riva, con la tripletta, tallona Sandrino Mazzola nella classifica cannonieri.
Il Cagliari gioca molto coperto e ne beneficia il portiere Adriano Reginato, ingaggiato dal Lanerossi Vicenza. Reginato è l’unico guardiano di serie A ancora imbattuto. Resiste anche a Foggia (0-0), all’Olimpico con la Roma (0-0) e con la Fiorentina (1-0).
Torna, intanto, d’attualità la Nazionale. Al posto di Fabbri c’è il tandem Herrera-Valcareggi. E’ un tandem provvisorio per l’amichevole con l’Urss. Riva viene convocato ma Helenio si prende una grossa rivincita su Fabbri e chiama ben nove interisti escludendo Rivera, Salvadore, Rosato, Bulgarelli e Pascutti, cioè i «coreani». Chiama inoltre Gigi De Paoli, centravanti della Juventus. De Paoli viene preferito a Riva. Là formazione che scende in campo a San Siro fa leva sul blocco neroazzurro, con tre estranei; De Paoli e i napoletani Juliano e Bianchi. L’Italia vince con un gol di Guarneri ma l’attacco non convince. Malgrado ciò, Helenio dice che con questa squadra l’Italia non si sarebbe fatta eliminare dalla Corea. Valcareggi, l’uomo della panchina, la definisce «la Nazionale del carattere».
Il Cagliari, sconfitto, suscita ugualmente una grande impressione sui critici. La squadra c’è, ha le basi per puntare in alto, molto in alto. Solo H. H. non si accorge di questo Cagliari-miracolo. A Mantova il Cagliari pareggia (0-0) e Riva, venuto alle mani con il terzino Ceccardi, si fa espellere. E’ la prima volta nella sua carriera. Lo squalificano per tre giornate (una gli viene poi condonata). Assente Riva, il Cagliari perde a Serajevo e viene eliminato dalla Mitropa Cup.
Herrera convoca Riva in Nazionale e non lo fa giocare. Insiste con la squadra che ha battuto i sovietici e vince con la Romania (3-1) con reti di Mazzola (due) e di De Paoli.
Il campionato riprende senza Riva. Scopigno fa esordire Brando all’ala sinistra e il Cagliari, con un gol di Nené, batte la Lazio (1-0). Contro il Torino è Visentin il vice-Riva; altra vittoria (2-0) per merito di Boninsegna e Rizzo. Riva rientra a Napoli e il Cagliari perde (0-1). Le trasferte difficili si susseguono. Si va a San Siro. Alla vigilia della gara con l’Inter, Scopigno esalta le qualità di Boninsegna affermando che «è più forte di Luis Vinicio». E di Riva dice: «E’ bravissimo ma alterna partite strepitose ed altre opache. E’ giovane, deve affinarsi». Forse è l’unica volta che Scopigno muove, pubblicamente, un appunto a Riva. Scopigno ha una venerazione per la sua ala sinistra. A San Siro, Gigi porta in vantaggio il Cagliari, ma non basta. Vince l’Inter 2-1.
Nel turno successivo il Cagliari si impone agevolmente sull’Atalanta. Protagonista del successo è Boninsegna con due centri. Riva, per non essergli da meno, segna una doppietta a Vicenza. A Ferrara, con la Spal, non segna nessuno e finisce 0-0. Reginato però si infortuna seriamente (frattura dell’apofìsi di una vertebra): un mese di gesso. In porta torna Mattrel. Con altri due gol al Brescia, Riva raggiunge Hamrin in vetta alla classifica cannonieri.
A metà settimana il Cagliari gioca in amichevole con il Dukla di Praga e Riva si produce uno stiramento muscolare. Con il permesso di Scopigno, ma all’insaputa dei medici, Riva sale sul primo aereo per Milano, raggiunge Como per farsi curare dal massaggiatore lariano Ferrario, uno specialista. Ferrario lo rimette in sesto. Il viaggio al nord di Riva suscita qualche polemica. Scopigno lo richiama in sede, vuole controllare se è guarito. E’ sabato. Gigi raggiunge Roma.
L’aereo per Cagliari parte con due ore di ritardo. Quando è in vista di Elmas, cambia rotta per la nebbia che avvolge la pista (è un fenomeno rarissimo in Sardegna) e punta su Alghero. Riva freme. Non basta: le traversie continuano. Da Alghero i passeggeri vengono portati in pullman a Sassari. A mezzanotte Riva affitta un’auto e punta su Oristano dove arriva alle tre e mezzo. Alle nove si sveglia e riparte per Cagliari. Giunge a destinazione all’una meno un quarto. Scopigno lo vede e gli dice: «Sembri un cadavere». Gigi prova a tirare due calci e decide di giocare. La gamba tiene. Mentre si spoglia ha un ripensamento, non vuole rischiare e decide di non giocare. Ormai i cartellini sono stati consegnati all’arbitro: è «costretto» a scendere in campo suscitando discussione tra l’allenatore e i dirigenti. Mette tutti a tacere segnando due gol al Lecco (3-1). Adesso è solo sul tetto dei cannonieri. E’ la prima volta.
L’exploit di Riva sbalordisce tutti, dal medico ai dirigenti, dall’allenatore ai compagni di squadra. I tifosi delirano per lui. «Sono l’idolo di Cagliari, dicono. — commenta Gigi — Basta però una domenica storta e tutto cambia. Ecco perché non ho mai creduto a queste cose, neppure all’epoca dell’infanzia, quando a Leggiuno raccontavano che sapevo giocare bene e mi chiamavano a partecipare alle partite con i grandi. Io accettavo soltanto se mi davano cinquecento lire a partita. Giro bene — aggiunge come per scusarsi — anche perché noi del Cagliari adesso giochiamo tranquilli, sul velluto, come suol dirsi e i risultati vengono. Basti dire che all’inizio eravamo partiti, pensando alla salvezza e si può capire ora il nostro entusiasmo. Siamo un complesso molto affiatato. Per quanto mi riguarda, sono felice di fare i gol. Quelli che ho già realizzato segnano la strada lunga con la quale un ragazzo timoroso come me del futuro vede la possibilità di allontanare certe paure, certi ricordi di tempi difficili. Ho dato tutto al calcio, al punto di non saper fare altro. Se non guadagnassi e risparmiassi ora, avrei molti timori per il domani, quando non giocherò più. Per questo e per cancellare certe sensazioni provate dopo la «Waterloo» azzurra in Inghilterra, sin dall’inizio del torneo ho giocato con rabbia, senza lasciarmi cullare da facili entusiasmi».
Lo chiamano il «tamburino sardo». A lui piace questa definizione. Tra la tifoseria conta un gran numero di ragazze che allo stadio lo invocano e reclamano i suoi gol. Lui è innamorato del gioco del calcio. Soltanto pallone, simpatia per i compagni di squadra e guadagni.
A San Siro, con il Milan, Riva segna su rigore ma il Cagliari perde. Gigi è raggiunto in classifica da Hamrin, autore di una tripletta al Brescia. Ma la «convivenza» con Hamrin dura poco. A Bologna segna un gol e il Cagliari pareggia. La «vendetta» di Scopigno è completa. Riva è nuovamente il solitario, indiscusso capocannoniere. Si dice che Herrera e Valcareggi intendano lanciarlo a Nicosia contro Cipro nella prima partita del campionato d’Europa per Nazioni. Riva va forte: non può essere ignorato. Ancora non si parla di rivalità con Boninsegna. «E’ il miglior centravanti che abbia conosciuto in Italia — dice Gigi del compagno —. Oltre ad essere fisicamente dotato, riesce ad essere tecnicamente ineccepibile. In campo è sempre il primo a farsi vedere e a far giocare gli altri. Nelle affollate aree avversarie, poi, il primo a trovarsi smarcato è sempre lui».
Il duello a distanza tra Riva ed Hamrin continua. Gigi rimane a bocca asciutta a Foggia, poi centra due volte il Bersaglio con la Roma e allunga il passo sull’intramontabile asso della Fiorentina. Nello scontro diretto Hamrin si avvicina al rivale realizzando il punto decisivo (1-0). A Venezia, su rigore, Riva trasforma il gol del pareggio. E’ il diciottesimo gol e sarà anche l’ultimo della stagione, Gigi non lo sa.
Poi c’è l’intermezzo azzurro. Riva viene convocato ad Appiano Gentile per una presa di contatto con gli altri «nazionali». Herrera e Valcareggi — la commissione tecnica — li sottopongono ad un provino in partita. Riva, criticato perché «gioca troppo al centro», ammette di invadere una zona non sua ma si difende: «Quest’anno l’intesa con Boninsegna mi impone di accentrare di più la mia azione e capisco che ciò possa disturbare in Nazionale. Per rimediare posso giocare come un anno fa, con Silvestri». Anche Scopigno si schiera al fianco del suo «gioiello»: «Se non lo vogliono lo lascino pure a casa ma non me lo smontino. E’ un ipersensibile».
A Cagliari arriva la Juventus e fa 0-0. Salvadore blocca un Riva che non è certo nelle migliori condizioni psicologiche. Subito dopo c’è la trasferta di Nicosia caratterizzata da un colpo di scena al momento della partenza: Mazzola, infortunato, resta a casa. Ci sono tutte le premesse perché giochi Riva, ma i colpi di scena si susseguono a ripetizione. Herrera annuncia che Riva non fa parte della formazione. «Non è al cento per cento, ha un ginocchio che gli duole e poi non è più un’ala sinistra». Riva si arrabbia: «E’ vero, non sono più un’ala ma contro i ciprioti potrei giocare». La dichiarazione di Riva suscita un vespaio di polemiche. Riva ha un po’ il dente avvelenato con Herrera.
La verità, sui retroscena di quella trasferta, Gigi la raccontò qualche anno dopo: «Helenio Herrera sperava tanto che io potessi giocare. In quei giorni non stavo affatto bene. Mi si era riacutizzato un dolore alla gamba e non riuscivo a battere a rete. Inoltre, dopo un po’ di allenamento, non ce la facevo a reggermi e ciò voleva dire che mandarmi in campo poteva risultare un rischio. Però don Helenio era un uomo ostinato e sino all’ultimo momento — anche se Valcareggi, con il quale era alla giuda di noi azzurri, non era molto d’accordo — aveva tentato di farmi giocare. Sostenni una prova il giovedì, su un terreno incredibilmente brutto, e tutti si convinsero che non avrei mai potuto allinearmi con i compagni».
Herrera, dunque, aveva già fatto retromarcia, sconfessandosi. Aveva capito che solo ricorrendo ad un vero, autentico uomo-gol avrebbe potuto potenziare l’anemica prima linea azzurra. A Nicosia, però, è costretto a ripiegare su Cappellini. L’Italia, sul fango, riesce ad imporsi solo nell’ultimo quarto d’ora con reti di Domenghini e Facchetti.
Cinque giorni dopo, il lunedi di Pasqua, si rigioca all’Olimpico in amichevole con un Portogallo ormai in via di smobilitazione dopo i mondiali in Inghilterra. Herrera confida nel recupero di Riva. Gigi rappresenta l’elemento di rottura con il passato, appartiene alla giovane aristocrazia del campionato italiano e con lui anche la Sardegna entra di prepotenza nella dimensione azzurra. A Parigi la paura lo paralizzò, lo tradì e forse fu quella paura a salvarlo dalla… Corea. Riva viene sottoposto a cure assidue ed è messo nelle condizioni di giocare. Ha una voglia matta di imporsi, di dimostrare che non è un bluff. Dice ai cronisti: «Spero di segnare. Sono più maturo, più sicuro. Se il Cagliari avesse la mia convinzione anche quest’anno sarebbe entrato nell’area scudetto».
Alla vigilia della partita con il Portogallo non riesce a dormire. E’ agitato, forse per la gioia indicibile di rivestirsi d’azzurro, forse per uno strano presentimento. Contrariamente alle sue abitudini si alza molto presto, e cominciala pensare alla gamba che non mette completamente giudizio. E’ quasi tentato di dare «forfait» e sta per andare a dirlo ad Herrera ma l’idea di disertare una gara con la Nazionale lo blocca: un’occasione del genere non va sprecata, può valere tutta una carriera.
Scende in campo un po’ turbato. Herrera, negli spogliatoi, gli affida la maglia numero nove. Dopo centinaia di partite disputate con l’undici sulle spalle, è costretto a cambiare. Quella maglia gli porta sfortuna. La formazione italiana è composta da: Sarti; Nardin, Facchetti; Lodetti, Guarneri, Picchi; Rivera, Mazzola, Riva, Bulgarelli, Corso. Il Portogallo: Americo; Morais, Raul; Hilario, Jaime, Graca, Carlos; Augusto, Eusebio, Jorge, Coluna, Simoes.
Eusebio al 24’ trafigge Sarti e da quel momento Riva ha un solo intento: segnare il gol del pareggio. Tanto si immedesima che al 59′, su un lancio di Mazzola, entra, palla al piede, in area di rigore, tenta, la finta sul portiere Americo ma questi gli rovina addosso spezzandogli il perone, un incidente fortuito. Riva piange, si dispera, urla per il dolore, teme di non poter più giocare. Esce dal campo in barella (al suo posto entra Cappellini che segna, poi, il pareggio) e finisce nella stanza 126 del Policlinico Italia. La diagnosi parla di una frattura all’unione fra il terzo medio e il terzo inferiore del perone sinistro. Gli imprigionano la preziosa gamba in uno stivale di gesso. Deve portarlo per trenta giorni. Guarirà perfettamente, assicurano i medici.
Americo gli telefona per scusarsi e augurargli una sollecita e completa guarigione. In serata vanno a trovarlo Moratti, Arrica, Herrera ed i suoi compagni. Per tirarlo su di morale il «mago» gli ricorda la sua ultima azione: «Sarebbe stato un magnifico gol». Ma, come resta solo, Gigi si immalinconisce: «E pensare che se avessi dato ascolto al mio subcoscio non avrei mai giocato ».
Non è con i «se» e con i «ma» che si procede nella vita. Riva lo sa, ma, passare dal tetto della classifica cannonieri al lettino di un ospedale, all’inerzia forzata, è come finire all’ergastolo.
«Alla classifica cannonieri — afferma il giorno dopo — ho pensato per la prima volta ieri sera, appena sono rimasto solo e il dolore ha cominciato a farsi sentire, come un coltello insopportabile. Prima, quando ero sotto choc, non avevo pensato a niente, solo alla gamba. Avevo pensato a Mora, appena ho visto uno di loro, un portoghese, mettersi le mani nei capelli. Mi sono sentito un ghiaccio, qui, sullo stomaco. Poi tutti che dicevano, urlavano, mi toccavano. E io non volevo farmi toccare. Volevo solo sapere. Avrei voluto sollevarmi sul busto, allungare le mani per toccarmi, per vedermi la gamba. Ma non potevo per il dolore. Gridavo solo che mi lasciassero stare, che non mi toccassero, per carità! Poi la corsa al Policlinico, la prima diagnosi, la radiografia. Ma fino a che non abbiamo visto le lastre c’erano solo speranze, non c’era la certezza che non ci fossero complicazioni alla caviglia, dove per tutta la notte ho sentito tanto dolore da svegliare una infermiera per farmi praticare una iniezione».
Gli chiedono, «quanto pensa di valere sul mercato di luglio», Gigi replica: «Quando succedono certe cose, i soldi che si perdono sono l’ultimo pensiero, anche se poi, dopo le prime ore, uno comincia davvero a pensare ai milioni che ci viene a rimettere. Io perderò il premio partita, forse il premio finale di campionato, forse la classifica dei cannonieri, forse il premio Sportman, mettiamo che due milioni se ne andranno in fumo di sicuro. Cosa potrò valere a luglio? Dipende. Spero di tornare a giocare alla fine di maggio. Spero di andare in «tournée» con la squadra a fine campionato. Penso, insomma, di non dover subire una svalutazione come giocatore. Questo genere di fratture non lascia dubbi circa la guarigione assoluta. Così mi è stato detto. Ed è la sola cosa che mi conforti».
«E’ dura star fermo tanto tempo — soggiunge —. Io che sono un tipo nervoso soffrirò maledettamente. Ho provato un mese fa, dopo la partita con la Roma, a portare una doccia gessata alla caviglia per due giorni. Mi sembrava di morire. Soffocavo. Non posso dipendere dagli altri, io. Sino a tre giorni fa mi lamentavo perché da quattro anni avrò fatto appena dieci giorni di vacanza in tutto. Sempre convocato per la nazionale senza mai giocare, però. Adesso il riposo forzato mi piomba sul collo come una mannaia. Non è cosi che l’avevo sognato. Così mi ucciderà, diminuirò di venti chili. Prima alla sfortuna non ci credevo. Forse neppure adesso visto che le cose potevano mettersi peggio. Però erano due anni che figuravo in tutte le convocazioni come rincalzo. Non facevo che pensare alla partita con il Portogallo e alla maglia “n. 9” che mi piaceva da morire… invece».
Al capezzale di Gigi ci va anche Mazzola, uno dei suoi più agguerriti concorrenti per il titolo dei marcatori. Sandrino gli confida che Herrera ha deciso di farlo acquistare dall’Inter. Due giorni dopo il ricovero, Riva nuota nella piscina del Policlinico per esercitare i muscoli ma le ansie non scompaiono. Passa qualche settimana e Gigi si allena di nascosto per convincersi che tutto va. Durante i mesi che seguono è inerme ma il suo primato in classifica resisto, in modo incredibile, a quota 18. Mazzola rimane, un gradino sotto. Riva salta nove partite e deve attendere fino all’ultima giornata per sapere se vince il titolo e i due milioni di premio.
Il portiere dell’albergo che lo ospita gli dà per primo la notizia: «La Juventus è campione perché l’Inter ha perso 0-1 a Mantova». Vince anche Gigi. Il caso è senza precedenti: si è permesso di iscrivere il proprio nome nell’albo dei cannonieri con una gamba sola e l’altra ingessata.