Gino Pivatelli: da attaccante a difensore

«Rivera, senz’altro, è stato uno dei più forti giocatori al mondo e in Italia ritengo non abbia avuto rivali, non abbia temuto paragoni»


Uno tra i dieci cannonieri più prolifici del campionato italiano è Gino Pivatelli, veronese di Sanguinetto dove è nato il 27 marzo 1933. Centravanti molto tecnico, dotato di un tiro potente, Pivatelli venne scartato dall’Inter e venne valorizzato dal Verona, con cui debuttò a 17 anni in serie B e realizzò 25 reti in 68 partite. Ma, è Bologna che lo adottò per sette stagioni (dal 1953 al 1960), firmando 105 reti e conoscendo il debutto in Nazionale.

Sette le presenze e due le reti negli azzurri e un gol clamoroso: quello che consentì all’Italia di battere per 1 a 2 a Stoccarda in un’amichevole giocata il 30 marzo 1955 gli allora campioni del Mondo della Germania Ovest. Nel suo curriculum vitae anche una stagione all’ombra del Vesuvio (1960-61), quindi, il finale di carriera con i botti, per essere stato chiamato da “paron” Nereo Rocco al Milan non come centravanti ma come difensore centrale, stopper. E, in rossonero Pivatelli conquista lo scudetto dell’edizione 1961-62 e la Coppa dei Campioni (la prima vinta da un club italiano), giocata il 22 maggio 1963 nel leggendario stadio di “Wembley”, contro il Benfica (2-1 per il Diavolo), e grazie alla doppietta di Josè Altafini.

Ma c’è chi ricorda bene anche una sua doppietta confezionata contro i greci del Galatasaray, sempre con la maglia del Milan, in un turno di Coppa dei Campioni, partita terminata sul 5-0 per i rosso-neri. Pivatelli ha anche intrapreso la carriera di allenatore guidando il Ravenna (a più riprese), il Monza, il Rimini, la Pro Vasto e in ultimo il Padova (1978-79). Quando lo abbiamo raggiunto al telefono non eravamo al corrente della grave disgrazia che l’ha colpito: la perdita dell’unico nipote, Guido, di 14 anni.

Pivatelli, ritorna ancora al suo paesello, l’amata Sanguinetto?
Sì, tre-quattro volte all’anno. Sanguinetto, il mio paese natale, è come il primo amore, non si scorda mai”.

Quand’è che si è sentito davvero un vero calciatore?
Quella volta che a Stoccarda ho segnato il gol della vittoria e i tedeschi allora erano una grande squadra e erano i campioni del mondo in carica”.

Di piede o di testa? E che ano era?
Di piede. Era il marzo del 1955 ed io avevo appena compiuto i 22 anni”.

E’ uno dei primi dieci attaccanti più prolifici della storia del calcio italiano…
Mah, penso di sì, ma, io le statistiche non le ho mai guardate, non mi sono mai interessate. I miei gol per le squadre per cui ho giocato mi bastavano”.

Qual è il giocatore più forte con cui ha giocato ed apprezzato?
Il cuore mi dice Ugo Pozzan, centrocampista anche lui veronese, con il quale sono partito assieme dal Verona e siamo stati a Bologna per cinque anni; poi, lui andò alla Lazio e io due anni dopo al Milan. Rivera, senz’altro, è stato uno dei più forti giocatori al mondo e in Italia ritengo non abbia avuto rivali, non abbia temuto paragoni”.

Lei ha giocato con il Milan in Coppa dei Campioni, vincendola nel maggio del 1963; qual è l’avversario italiano o straniero che ha incontrato?
I campioni del Benfica erano tutti bravi, ma, penso che Eusebio e il centrocampista e compagno di squadra del club portoghese Mario Coluna siano stati due giocatori immensi. Eusebio è stato uno dei più forti giocatori di tutti i tempi. Li ho affrontati nella finale vinta disputata, in Inghilterra, allo stadio di “Wembley”, quando vincemmo grazie alla doppietta realizzata da Josè Altafini”.

Cosa aveva Eusebio più degli altri?
Eusebio aveva intuizione, fiuto del gol, e poi era una pantera: quando partiva era irresistibile, impossibili da fermare. Poi, aveva un gran tiro da fuori area, con cui poteva far gol”.

Il gol più bello dal punto di vista stilistico?
Ne ho fatti tanti, in tutti i modi. Dicevano che avevo un gran tiro da 25-30 metri e riuscivo a far gol. Ho firmato gol da distanze enormi. Uno bello? Contro la Fiorentina; anzi, ne feci due. Cross, stop di petto e al volo senza che la palla toccasse terra ho fatto gol; nell’altro, ho fatto passare la palla sopra la testa del mio marcatore e sempre al volo feci gol. Il sombrero? Non so come si dica, ma ho fatto il pallonetto sopra la testa del difensore e al volo, senza che la palla toccasse per terra, l’ho scaraventata in rete”.

Ha più nel cuore il Bologna o il Milan?
Mah, difficile rispondere perché vede con il Bologna ho trascorso sette anni, facendo più di cento gol, con il Milan ho giocato due stagioni e un anno ho vinto lo scudetto, un anno la Coppa dei Campioni. Verso il Bologna nutro un certo affetto, perché ho debuttato qui, ero venuto qui da giovane, mentre al Milan arrivai a fine carriera”.

Ci ricorda una battuta, un aneddoto del grande Nereo Rocco?
Paron Rocco era un personaggio: oltre a essere un grande allenatore, è stato un personaggio eccezionale. Che sapeva cancellare le paure del pre-partita, e ti faceva così andare in campo a tuo agio. Anche se lui a volte era un po’ nervoso. Credo, comunque, che sia stato unico. Una volta ricordo che eravamo in una tournè in Brasile e dovevamo giocare contro il Palmeiras – che aveva vinto in quell’anno il campionato – e alcuni giocatori nostri fecero ritorno a casa, in Italia perché erano stati convocati – non ricordo bene – per la Nazionale, oppure perché Sandro Salvadore era stato venduto, insomma, siamo rimasti senza lo stopper e qualche altro giocatore. Allora, Rocco disse: “Qua semo nei pastizi, perché chi zoga ora?” (“Qui, adesso, siamo nei pasticci, perché chi gioca ora?”) Ed io risposi: “Eh, signor Rocco per giocare marcatore, el ciapa el più mona e lo mete soto all’attaccante e poi via, andare!” (“Eh, signor Rocco, per giocare marcatore, prenda il più scarso e lo mette sotto all’attaccante e poi via, andare!”). “Allora” “El paron” mi rispose così: “te zughi ti difensòr” (“Giochi tu difensore!”). Io non avevo mai giocato in difesa, e feci quattro-cinque partite da difensore e poi l’anno dopo le prime partite le giocai ancora da difensore, poi, mi feci male e il Milan aveva dei difensori di alto livello quali Maldini, Radice, Trapattoni, David, Trebbi. Eravamo, certo, una buona squadra”.

In porta, chi c’era in quei due anni?
Ghezzi: Giorgio è stato un grande portiere”.

Il suo più grande rimpianto di calciatore?
Quando ho smesso ero un po’ stanco: ho smesso a 30 anni ed ero ancora al Milan. Dopo, quando stai lontano dai campi e da quello che è stato il mio ambiente, un po’ mi sono pentito perché avrei potuto giocare ancora qualche anno, tre-quattro. Anche perché fisicamente stavo ancora bene”.

Si ricorda una tripletta, qualche favolosa, strepitosa doppietta?
Triplette ne ho fatte parecchie. Ne ricordo una contro l’Inter a Bologna, contro il Genoa, contro la Sampdoria. Con il Milan ho fatto una quindicina di gol, ma non giocavo più punta fissa come ai tempi del Bologna. Giocavo un po’ più indietro, centrocampista e, come ho avuto modo già di ricordarle prima, ho ricoperto anche il ruolo difensivo”.

Il più bel complimento che ha ricevuto da un avversario, da un allenatore? E chi era il suo acerrimo, indefesso “francobollatore”?
Bernasconi era un mastino: abbiamo giocato assieme nella Nazionale giovanile. Era bello e tosto, eh. Era corretto, ma grintoso, non ti mollava mai. Ha giocato nell’Atalanta, poi, è stato nella Sampdoria”.

Pivatelli era la “bestia nera” di quale squadra?
Della Fiorentina, dell’Inter, ma, ne ho fatti di gol un po’ a tutti. In quella Fiorentina mister era Beppe Chiappella e ogni volta che a fine gara mi incrociava diceva “Anche oggi ci hai castigato!”. Chiappella era un personaggio eccezionale: oltre a essere un grande giocatore era anche una grandissima persona”.

La sua infanzia come è stata?
Ero figlio unico: i miei facevano gli ortolani, non erano ricchi, ma non mi facevano mancare niente. Ho avuto un’infanzia felice, serena perché i genitori vivevano per me e ho vissuto con degli zii che forse erano ancora più attaccati a me rispetto ai miei due bravi genitori. Ero il coccolo lo di casa”.

La felicità, Gino: in cosa è consistito questo stato d’animo?
La felicità, sì, certo, l’ho provata. Per esempio, quando ho debuttato in Nazionale e abbiamo vinto a Stoccarda e ho fatto il gol della vittoria per l’Italia. Sono stati momenti molto felici. Ho due figli e sono i momenti più belli quando ti nascono. Così come quando è nato mio nipote, e, purtroppo, dopo se n’è andato in quel modo…”.

Fonte: Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it

LA SCHEDA

Gino Pivatelli (Sanguinetto, 27 marzo 1933)

StagioneClubPres (Reti)
1949-1950 Cerea? (?)
1950-1953 Verona68 (25)
1953-1960 Bologna196 (105)
1960-1961 Napoli21 (3)
1961-1963 Milan38 (11)
1965-1966 Baracca Lugo? (?)