Giovanni Arpino: Cronache Messicane

13 giugno: Ora si deve vincere

Non poteva, non doveva essere Corea. Eppure, verso la fine del primo tempo di Italia-Israele, ci si guardava in faccia, nella tribuna stampa di Toluca, non sapendo più cosa maledire, se gli eccessi di foga e il nervosismo di Riva oppure la durezza degli israeliani, certe carenze del nostro centrocampo o la jella. Gli italiani arrivati a Toluca dalle Bahama e da Napoli, da Bologna e da Toronto, tutti in giubbetto azzurro, gridavano con quanto fiato gli concedevano i polmoni. «Sentivano» anch’essi il dramma della squadra, che spingeva sui pedali eppure non passava, non «filtrava», non riusciva a sbloccare il risultato. Una beffa poteva essere possibile, anche all’ultimo minuto. Non ci avrebbe respinto dai «quarti» ma avrebbe sconvolto le acque già poco limpide e tranquille del clan azzurro. Non è stata Corea. Anzi. Pur non disputando, in linea tecnica, una partita degna di elogi, la squadra si è fatta vedere, ha dimostrato fegato, rabbia agonistica, dedizione. Si è prodigata (forse anche troppo, dati i «tempi di recupero» a questa altura), si è accanita su ogni pallone. La difesa si è rivelata all’altezza prevista, con un Cera che ormai è un «libero» di valore mondiale. E’ mancato Riva, o meglio: non è mancato mai all’appuntamento con la palla (e questo denota la sua preparazione e la possibilità degli schemi) ma ha fallito occasioni clamorose, riscattandosi appena nel finale. Riva paga lo scotto di un grandissimo choc. Un trauma psicologico di complessa natura. E’ grandissimo, lo sa, vuol fare l’impossibile. Aspettava questi «mondiali» da un anno, dovevano essere il vassoio d’argento su cui l’Italia offriva un magnifico goleador a platee d’America e d’Europa. Riva non è fallito, non è scaduto, non ha certamente tradito se stesso. Semplicemente l’eccesso di carica lo ha trascinato, come una vela attrezzatissima per i grandi venti può a un certo momento defilarsi, sbattere male, far rovesciare la barca. La barca non è saltata, e Riva ha ancora possibilità di rivincita. A costo di ripeterci, dobbiamo dire, non sbaglierà mai più quanto ha sbagliato a Toluca. E speriamo che il nostro attacco e centrocampo riescano a costruirgli altrettante occasioni buone. Un dannato gol deve pur venire. Dopo tanti anni gli azzurri sono nei «quarti» di finale di una Coppa Rimet. Non hanno ancora espresso il meglio di se stessi, hanno fatto quattro punti con un solo gol (anche questa può essere letta come la lezione di un difensivismo non solo realistico ma esasperato), quindi devono sapersi battere secondo le attese. «Voi azzurri segnerete poco, ma gol non ne prendete davvero», dicono i messicani. Ora bisognerà dimostrare che abbiamo anche attaccanti, che i gol sappiamo farli, calmando i nervi, la frenesia, gettando in campo anche molto raziocinio e freddezza. Gli azzurri nei « quarti » sapranno darsi una buona copertura a centrocampo? L’esperimento di Rivera nel secondo tempo a Toluca è stato positivo? Una nota da sottolineare subito è questa: dopo la lotta con Israele, i giocatori erano furibondi per i gol falliti o annullati. Mentre i critici erano soddisfatti del temperamento dimostrato dalla squadra e dello scoglio superato. Dopo la partita con l’Uruguay i pareri erano esattamente opposti. E ciò significa che la squadra sta trovando consapevolezza di sé, non è disposta a cedere la pelle per pochi soldini, vuol giocare le sue carte. Il clima dei «quarti» sarà ad altissima tensione. Nessuno potrà concedere il minimo vantaggio, anche psicologico, all’avversario. Oggi la leggenda di Riva è stata ridimensionata. Forse è un bene, sempreché il grande goleador italiano riesca a calmarsi (di fronte a se stesso, agli avversari e anche agli arbitri, benché costoro sbaglino un po’ troppo sovente). Se Riva torna a una normale concentrazione agonistica, l’Italia può battersi alla pari con chiunque. Se Mazzola, De Sisti e i magnifici Cera e Burgnich giocheranno i « quarti » come hanno giocato a Toluca, senza cedere un palmo di terreno agli avversari, una parolina da dire c’è. Bisogna che il centrocampo mantenga qualche redine, sappia strappare maggior iniziativa agli avversari. Due soli giorni di riposo e di riflessione sono pochi, ma è uno svantaggio che dividiamo con gli altri. Il nervosismo regna in ogni squadra, la tensione aumenta di grado da un’ora all’altra, si sa di litigi e persino di ceffoni volati tra giocatori di temperamento molto controllato, siano questi belgi 0 sudamericani. La Coppa Rimet è un torchio che spreme come limoni sia chi la gioca sia chi la guarda. Ogni manovra sotterranea deve trovare il suo risultato sul campo. E sul campo non si scherza, anche se molti sembrano passeggiare o boccheggiare. I retroscena del «mondiale» meritano un regista alla Hitchcock, ma lo spettacolo I vuole forza, decisione, astuzia e gol. La classifica dei cannonieri può anche essere casuale. Una rete decisiva è preferibile. Riva può ancora darcela.