Giovanni Arpino: Cronache Messicane

15 giugno: Una grande vittoria nella gara più dura

Col cuore in gola, urlando al telefono come se si parlasse con l’oltretomba. La «mala suerte» ha costretto Italia e Messico a battersi in un incontro allo spasimo, una gara dura, accanita, durante la quale gli schemi tattici previsti più volte si sono ribaltati per le necessità imposte dal ritmo e dalle riserve di fiato. Gli azzurri si sono battuti non solo contro la nazionale messicana, ma contro trentamila trombe, tamburi, raganelle, nacchcre, contro polmoni di tifosi fatti d’acciaio, su un Campetto quasi di provincia che è stato preso d’assalto fin dal primo mattino. Un errore di Rosato, reso più grave da un’incertezza collettiva della nostra difesa, ha favorito dapprima i messicani, passati in vantaggio al 13′. Un’azione di Riva e una stangata di Domenghini hanno costruito il pareggio, dovuto a un autogol di Pena a ridosso del portiere, forse già superato dal pallone. Un primo tempo acceso, carico di tensione, di nervosismo agonistico, tanto impressionante quanto inevitabil- mente costretto a spezzettare le azioni, il ritmo collettivo. Su tutti Mazzola, pronto nei rilanci, generoso nell’interdizione e «operativo» come nelle sue giornate migliori. E freddissimo sempre, malgrado i cori di urla che cancellavano persino i rumori degli elicotteri in girotondo a bassa quota. Gli azzurri hanno affrontato fin dall’inizio i messicani tradendo un nervosismo prevedibile. Sono riusciti a controllarsi, pur cedendo notevole manovra in centrocampo agli avversari, rozzi e imprecisi ma in varie fasi più rapidi, e sospinti alla disperata dal loro pubblico. Ma è il secondo tempo che dà la vittoria agli italiani. Sostituito il grandissimo Mazzola con Rivera, gli italiani straripano attraverso un centrocampo messicano ormai sfatto dall’altitudine e dallo sforzo, e si sveglia Riva. Non un Riva eccezionale, non il guerriero imbattibile sul dribbling e la propulsione, ma l’uomo, che pur sbagliando non accetta mai di arrendersi. Lanciato ripetutamente, sbaglia e sbaglia ancora. Sembra cadaverico, ma non molla. Infila il gol. Il suo primo in Messico, e poi ribatte con Rivera e altri la palla in atea finché Gianni, dopo aver rischiato di perdete un pallone preziosissimo per eccesso di sofismi dribblistici, infila il terzo. E ancora Riva firma il quarto. Lo stadio trema a Toluca, le urla sanno di disperazione e incredulità, i commentatori sportivi messicani quasi piangono inseguendo le proprie parole ma riconoscono ad ogni azione di gioco la disinvolta superiorità della squadra italiana. Gli azzurri entrano in semifinale meritatamente, malgrado le critiche e l’esasperazione di troppa gente, che in buona o scarsa fede ha speculato sulla squadra in maniera eccessiva. Dalle nostre pagine più critiche il lettore potrà aver ricavata, nei giorni scorsi, l’impressione di una situazione di disagio, ma anche di profonde possibilità interne. Non ci eravamo sbagliati. Insicurezze, malignità, litigi potevano essere messi in soffitta giocando davvero. E così è stato. Non è da poco aver indovinato, nel labirinto messicano, una linea critica di comportamento e non aver dubitato delle « chances » della squadra. Non c’è niente che faccia meglio di una vittoria, e questa vittoria è venuta nella partita più difficile dal punto di vista psicologico, in un ambiente non nemico ma carico di giusta passione contro i nostri colori. E’ un momento bello per il calcio italiano, anche se non tutti gli uomini schierati oggi hanno dimostrato la padronanza perfetta dei propri mezzi. Si è svegliato l’imperatore, dicono i messicani di Riva. «Mi viene da piangere», gridava Riva ai fotografi dopo il suo gol. Ebbene, Riva c’è solo a metà, ma oggi ha potuto «curare i nervi» a modo suo, cioè segnando. E’ uscito dal limbo. E con lui tutti gli altri. I buoni e i meno buoni, i generosi e i lucidi. Facchetti festeggia la sua cinquantesima partila in Nazionale con la vittoria più importante dei nostri ultimi trent’anni (semifinali permettendo). I messicani hanno applaudito, alla fine, l’exploit azzurro. Le nostre simpatie riconquistano le quote più alte. Chi non è stato cieco, poteva vedere questa squadra fin da prima. Ora la riconosca nella sua scabra e ancora migliorabile bellezza, nella sua capacità di amministrare le sue forze. A Toluca hanno vinto i migliori. E per una sera la «fiesta» è nostra.