Giovanni Arpino: Cronache tedesche

28 giugno Ctuhff e Muller, i due padrini

logo74-bar3-address-wp E’ ancora lontano il 7 luglio, giorno della finalissima. Ma possiamo azzardare una ipotesi: quattro giorni prima, e cioè il 3, assisteremo ad una doppia selezione, tra Germania Federale e Polonia, tra Olanda e Brasile, che si presenterà con tutti i caratteri di una ultima sfida. Tra le quattro contendenti, due dovranno forzosamente limitarsi alla lotta per il terzo posto, e anche qui la formula del «mondiale» denuncia i suoi difetti, non prevedendo l’eliminazione diretta ma tornei e classifiche che annacquano (o hanno annacquato fino a ieri) la potenzialità dei contendenti. Dopo oltre «mille minuti» di football, dobbiamo dire che il vero calcio è vissuto per rare fasi, senza la concentrazione agonistica dei bei tempi. Olanda e Germania federale hanno imposto i loro diritti con un gioco che solo nella prima partita del girone di semifinale è apparso cresciuto. I Cruijff e i Rep, i Müller e i Breitner vanno in gol dopo aver ritrovato lo smalto appannatosi nelle gare d’esordio. Gli tengono dietro Brasile e Polonia: il primo, sornione e noioso negli schemi, specula sulla sua fortuna e su un minimo di complesso di inferiorità inflitto all’avversario; la seconda, anche troppo prodiga di gioco avanzato e largo, è riuscita a sfuggire alle insidie svedesi (paragonabile ad un Ulisse che resiste ai richiami delle sirene, ma a loro volta costoro non sono creature divine, bensì stravaganti e balorde interpreti di un calcio «hippy»). C’è un certo Barreto, che con molta inquietudine vediamo aggirarsi per i «mondiali». Ha l’hobby ma non il dono del fischietto arbitrale, anzi arbitrario. Questo giovanotto uruguayano ha indirettamente fornito notevoli alibi al nostro Club Italia, testé defunto. Perché ha semplicemente impedito ai gialloblù scandinavi di battere la Polonia. Con due rigori negati, quello aggiudicato che era da far ribattere (il Tarzan tra i pali polacchi si era mosso con notevole anticipo), punisce al di là della decenza una squadra tutt’altro che esperta, ma agile, felice di giocare al calcio, qua e là i modesta e tuttavia pericolosa. I polacchi del signor Gorski hanno patito il contropiede svedese fino all’inverosimile, e per l’ennesima volta ci è ritornato il magone ripensando ai nostri «signorini azzurri», già con i piedi sulle ristoratrici sabbie estive. Benché armoniosa e arrischiante e robusta nel costruire gioco d’attacco, la Polonia è ingenua (fino ai falli in area di rigore, e cioè fino al peccato) in difesa. Potevamo impostare contro di lei una «partita aperta», da pallottoliere felice. Ci siamo fatti rispedire a casa come straccivendoli del football europeo, mentre la Svezia ha costretto i polacchi a «stringere» per 60 minuti su 90. Non solo: ma ha mandato sulle gradinate dello stadio di Stoccarda qualche migliaio di sostenitori, impassibili davanti alle soperchierie del già citato e schedato Barreto. Forse avevano bevuto sufficienti quantità alcoliche nel pomeriggio: se non sempre nel vino è la verità, non sempre nella birra c’è la rabbia tifosa. Con passi cauti, confondendo le carte, continuando a fruire di un’organizzazione penosa, il campionato mondiale prosegue. A Francoforte piove, il fiume Meno è una infinita pozzanghera verdastra, i grattacieli sfumano sotto la curva celeste odorosa di smog. Le notizie si incrociano e sembrano tutte bugiarde o incontrollabili: sia che trattino dei giocatori polacchi accusati per la seconda volta di doping, sia che trattino dei neri dello Zaire, eliminati come esponenti di foot-ball ma ricchissimi come tribù che occupa i grandi alberghi, spende e spande («7 miliardi per il prossimo incontro tra Clay e Foreman sono una bazzecola dalle nostre parti», ha detto il rappresentante di Mobutu, presidente di una terra che fa sprizzare diamanti) . Nei quartier generali dell’Olanda e della Germania federale si respira atmosfera di grandiose battaglie: manca soltanto il sole di Austerlitz, ma tutti si ritengono piccoli Napoleoni. I brasiliani continuano a credere che — a gioco lungo — ritroveranno la forma indispensabile, ma intanto complottano pensando al prossimo incontro con l’Argentina, per non dire l’Olanda del 3 luglio. Carichi di denaro, venali fino all’ingordigia e alla vergogna (ma loro non se ne fanno un problema: sono o no i figli dei più grandi commercianti del mondo?) gli olandesi ridono. Si sentono già in tasca il primo titolo mondiale, hanno la sicurezza di poter segnare sempre uno o anche tre gol in più. Ma è ancora alla «qualità» di questo calcio che dobbiamo guardare: dall’Est arrivano esperienze di doti atletiche e di tenuta agonistica, di «collettivo» e di preparazione; nell’Ovest questi ingredienti si arricchiscono di una briciola di genio, targato Cruyff o Mùller. Il campionato è ancora aperto, ma forse ha trovato i suoi «padrini». Anche se in una prossima occasione dovremo pur parlare di questo football moderno, che molti definiscono o mediocre o condizionato, e da noi sembra, invece, rischiare la patente di «più vecchio spettacolo del mondo». Uno spettacolo che ha trasformato i campi di gioco in un poderoso cabaret. Lo stesso, meraviglioso Johan Cruyff è un qualche cosa che sta tra l’atleta puro, il giocoliere funambolico e le «Bluebell». Paragonato a lui, Omar Sivori era un rude pioniere da film western. Ma questo è già un tema futuro: abbisogneremo di altre testimonianze per svilupparlo.