Giovanni Arpino: Cronache tedesche

1 luglio 1974: Il pokerissimo dei polacchi

logo74-bar3-address-wp Il calcio in «salsa slava» ha dato ragione ai polacchi. La squadra di Gorski, disinvolta sino all’Incredibile quando si tratta di difendersi, ma armoniosa e produttiva in attacco, è la sola che abbia conquistato cinque vittorie ai mondiali. Contro la Jugoslavia avrebbe potuto addirittura maramaldeggiare nella ripresa, ha gettato al vento due reti facilissime, sì è limitata a cattedratici contropiedi, mentre gli avversari tentavano invano, con elaboratissime manovre, di andare a rete. La scarsità delle «punte» jugoslave, Inutilmente sorrette dai due terzini, pronti a gettarsi lungo le fasce laterali, è diventata ancora più sterile per la defezione di Oblak, motorino slavo che dopo soli quindici minuti ha dovuto abbandonare il campo zoppicando. Ma anche con due o tre Oblak la squadra di Milijanic difficilmente sarebbe riuscita a tradurre in gol la sua indubbia volontà, la sua stessa lodevole lezione di calcio. Tutto fanno, questi ragazzi, tranne che rendere produttivo l’ultimo passaggio. Pur avendo incassato un gol, il gigantesco Tom portiere polacco, non ha avuto alcun lavoro, e la difesa, così goliardica, si è spesso limitata a depistare il pallone per le nuove azioni di contropiede, senza mal cedere all’orgasmo. Bella partita, e chiara, e godibile, persino gli scontri hanno obbedito ad un rituale sportivo: sono terminati tutti con poderose strette di mano. Il pubblico, in gran parte jugoslavo, ha masticato amaro, ma senza dare in smanie: si è subito reso conto che tra la Polonia d’oggi e la sua squadra esiste una differenza di almeno tre reti. Se il campo ha limitato lo svantaggio, è perché i polacchi pensavano già al prossimo mercoledì, che li vedrà alle prese con I signori Beckenbauer e Müller. Il miglior calcio dell’Est sarà in grado di «coprirsi» o quantomeno di segnare il classico «gol in più» anche di fronte al buldozer di Schoen? Quasi sempre i giocatori di Gorski hanno lasciato l’iniziativa agli kugoslavi: sornioni, agili, attendevano di poter agire di «rimessa», con rapidissimi affondi, aperture che tranciavano il campo avversario e costringevano i blancoblù a faticosi recuperi. Sull’erba viscida per la pioggia, nella ripresa, le forze ormai spese hanno ulteriormente condizionato l’impegno jugoslavo, che non ha mai trovato sbocchi o si è ingarbugliato in se stesso con autentica balordaggine (soprattutto in Suriak, stordito come le più grossolane punte nostrane). La gara inizia con la Jugoslavia decisa a mettere in crisi il pacchetto arretrato polacco: manca Dzajic, il vecchio capitano, che ha accusato alcune linee di febbre, ma questo consente ai blancoblù di aumentare il loro ritmo, cronicamente lento. Tuttavia, gli eccessi di elaborazione nella manovra, favoriscono sempre il disimpegno avversario. Una cannonata di Gorgon da quaranta metri trova pronto il bravissimo Maric (ha detto di no a due reti ormai fatte) che para di mano e di muso verso il quarto d’ora. La Polonia dà l’impressione di «ballare» abbastanza, ma con la classe del commediante che sa a memoria II repertorio utile. Nella contraddanza a centrocampo trova sempre spazi vuoti e costringe I blancoblù a rincorse frenetiche per chiudere I corridoi ai vari Lato e Szarmach (un centravanti che ha i gomiti di Boninsegna ma filtra al pari di un’anguilla). Proprio grazie a Szarmach nasce il primo gol. Dopo una punizione ai limiti dell’area jugoslava, con palla ormai lontana (siamo al 25′) l’arbitro si accorge che Karasi, ha scalciato a freddo, sotto il ginocchio il centravanti polacco. E decreta il rigore. E’ una decisione quasi sconcertante, malgrado la fama di Gloekner rasenti quella di Lo Bello: tutti e due hanno sempre preteso di possedere un terzo occhio (e talora lo han no anche dimostrato). Batte Deyna, con un tiro secchissimo e centrale che inganna Maric. La partita sembra già chiusa per la cronica impotenza jugoslava ad andare in gol, ma al 37′, dopo una stupenda azione in contropiede Gadocha fallisce lo strettissimo angolo di mira e rovina tra i fotografi, e sono ancora gli jugoslavi a premere: vanno bene, rispettosi delle geometrie, ma pedalano, mentre i polacchi sembrano comodamente seduti al volante di una «spider». Commettono anche loro un errore macroscopico, però: accade al 42′, per quel satanico vizietto di avanzare e porre le punte avversarle in fuorigioco, consentono che un rimpallo li tagli via tutti, il pallone favorisce Karasi che in facile diagonale batte Tomaszewski. Ripresa, e ormai ci si attende che la Polonia, paga, si limiti nei suoi giochetti di gatto col topo. Inutilmente la Jugoslavia seguita a triturare calcio. L’insipienza in attacco è così macroscopica che leva ogni voglia persino al tifosi più convinti. Sull’erba unta dalle raffiche di pioggia, i polacchi governano palla con distacco, quasi concedendosi aristocraticamente alla platea. Il gol vincente arriva come inevitabile risultato: corner al 61′, quel solito corner che la squadra di Gorski sa sfruttare con palloni tagliati, a rientrare. La testa di Lato non può esimersi, sullo spiovente pennellato, palla In rete. Al 64′ e al 70′ ancora due contropiedi polacchi, che Lato e poi Deyna falliscono, soli davanti a Maric (del resto ottimo e spericolatissimo). E nel momenti che non annotiamo si ripetono le pedisseque, lente e cieche azioni jugoslave, che fanno appena il solletico ai signori Gorgon e Tom. Una gran bella Polonia che pur non nascondendo le sue ingenuità ormai tipiche e riconosciute persino dal suo tecnico, si mantiene in piena salute: può darsi che ci rimetta le penne contro I tedeschi, mercoledì ma può anche darsi che trovi il famoso «golletto in più». Finora ne è stata capace. E pur sprecando, pur faticando, non ha assolutamente dato l’impressione dì patire il ciclo delle partite condotte In porto. Se è un «miracolo alla polacca» è certo un risultato importante. Quei furetti di nome Deyna, Lato e Gadocha, si divertono, fanno divertire, danno del «tu» al pallone. Nessuno può illudersi di addormentarli facilmente. I divini e divistici «bianchi» di Herr Schoen hanno ragione di preoccuparsi.