Giovanni Arpino: Cronache tedesche

2 luglio 1974: La Polonia ha già speso troppo?

logo74-bar3-address-wp Zero in profitto, quando si tratta di calcio, equivale a zero In condotta; le batoste, più o meno facili, più o meno stentate. Inflitte dal Quattro Moschettieri ai loro avversari hanno sgomberato il palcoscenico dei «mondiali» da ogni possibile equivoco. Mercoledì venturo, la scialba Argentina e una DDR priva di genio, la scolastica Svezia e la impotente Jugoslavia, che nel girone delle semifinali non hanno raccolto neanche un punto, disputeranno partite men che accademiche. Tutti gli sguardi, tutti gli Interessi si rivolgeranno invece a Francoforte, per la battaglia tra Germania Federale e Polonia, e a Dortmund, per la sfida tra Brasile e Olanda. E’ in queste due città che il «poker» dei finalisti deciderà l’oro, l’argento, il bronzo dell’ultimo «weekend» programmato a Monaco. Il vecchio calcio «carioca» si appresta a fronteggiare l’assalto degli olandesi, autentici corsari del football moderno. I più antichi segugi sostengono che i brasiliani dovranno far miracoli per nascondere la palla. Ma è nell’aria l’odore dell’ennesimo arrembaggio arancione, privo di complessi, conscio di potersi esprimere sempre ad alto livello e quindi di disintegrare le resistenze avversarie. I bookmakers (per la verità assai scarsi) quotano Brasile e Polonia per la sola finale del terzo e quarto posto, ovviamente lasciando a Germania e Olanda i novanta ultimi minuti di domenica allo stadio Olimpico di Monaco. Ma quale Germania riuscirà a sopraffare i polacchi? Contro la Svezia, Il battaglione dei corridori lanciati dal kaiser Beckenbauer ha corso rischi eccessivi. Mentre il «divino» Franz va all’attacco, per concludere con tiri centrali del tutto prevedibili, gli svedesi sprecano un’infinità di occasioni in contropiede. Anche i tedeschi gettano al vento palloni preziosi, ma la loro condotta ora gagliarda ora frivola, seppur potente, rischia al di là del lecito. Su questa incognita può far valere il suo gioco la Polonia, mercoledì prossimo. Gli uomini di Gorski sono variamente logori, Deyna pare «strappato», Szarmach è uscito anzitempo zoppicando, lo stesso portiere lo abbiamo visto beccheggiare e automassaggiarsi in campo. Sulla squadra è scesa una cortina di silenzio più ferrea che mai. Ma i polacchi hanno le ali, quei Lato e Gadocha (tutt’e due ricordano un Hamrin lievemente più grezzo, altrettanto inventivo e rapinoso) che vanno In gol con la leggerezza del serpente: uno stacco solo e la preda — il ranocchio e cioè il gol — è assicurata. Può darsi che l’usura costringa la Polonia, unica a illustrarsi con cinque vittorie su cinque partite, a pagare in un sol botto l’intero pedaggio. E’ quanto si attendono in molti dalla Germania, che ha però anch’essa faticato, spremendosi sotto il diluvio per riaggiustare due volte il risultato compromesso dalla goliardica Svezia. Sarà un mercoledì astruso.
Alla strapotenza atletica e alla determinazione olandesi iI Basile potrà opporre solo il suo passo vellutato, melinante, da vecchio gatto che si affida alle tattiche di copertura. Alla scioltezza giovanile e improvvida della Polonia, la Germania non dovrà concedere terreno utile. Le partite di domenica scorsa hanno ripetuto le varie «lezioni» delle quattro squadre: chi si regge sull’imperio muscolare e sul coro: come l’Olanda, trova sempre il corridoio adatto, l’uomo piazzato per la conclusione finale: chi eccede nella manovra deve distillare da se stesso gli ultimi tesori di forza. Potremmo anche sostenere questo ragionamento: se i Quattro Moschettieri si incontrassero dieci volte, la sola Olanda si impadronirebbe di quasi tutti i risultati utili, gli altri a turno dovrebbero cedere le armi e i gol. La Germania federale benedice il giorno in cui fu superata dai «fratelli» tedeschi dell’Est: solo così ha potuto evitare il micidiale scontro diretto con i «tulipani», gente che obbliga qualsiasi avversarlo a strizzarsi fino alla vertigine. La Polonia spera di ricucire qualche muscolo sfilacciato e di infilarsi nelle retrovie che il sempiterno Beckenbauer snobba, volendo cavalcare in avanti. Il Brasile medita sortilegi: ma il suo Zagalo, che contro il parere di tutti i «cariocas» ha impostato un mondiale realistico, l’unico a lui possibile, sente che i nodi possono venire brutalmente al pettine. Siamo così arrivati al «dunque». I «mondiali» della pioggia, della noia teutonica, del dispendio fisico, dell’impegno atletico debbono concederci ancora tre spezzoni di gran valore: dopo l’ormai imminente mercoledì, Monaco si appresterà a suggellare la prima edizione di una Coppa Fifa tutt’altro che perfetta, e tuttavia affascinante grazie alle imprese di un football fiondato, a largo raggio, mai chiuso, mai rinunciatario. C’è chi dice: vent’anni fa, la grandissima Ungheria di Puskas giocò e si prodigò tanto da venir poi ghigliottinata sul traguardo dai soliti tedeschi. Potrebbe accadere anche ai «tulipani»? La domanda suona squisitamente retorica, forse maligna. Se la finalissima, come è doveroso (ma non obbligatorio) prevedere, allineerà i bianchi tedeschi contro gli arancioni dei Paesi Bassi, assisteremo ad un impatto tra marziani: ma Giovannino Cruyff, il nuovo Di Stefano, garantisce un massacro, in termini tennistici. Nell’orgia dei «premi in più», assicurati da banche, quotidiani, ditte di ogni sorta, magnati singoli e a gruppi (ormai il tifo sta assumendo proporzioni e significati industriali) si vedrà calcio ossessivo. Ormai abbiamo fatto esperienza: questo decimo «mondiale» è per i maratoneti che conservano, dopo l’indigestione dei chilometri, la capacità di cavar da se stessi lo sprint del centometrista.