Giovanni Arpino: Cronache tedesche

7 luglio 1974: Il calcio europeo ha già vinto

logo74-bar3-address-wp Siamo finalmente arrivati all’ultima scena dell’ultimo atto. L’Olympiastadion di Monaco, imbandierato a festa, attende Germania-Olanda per il gran finale del decimo campionato del mondo. La capitale bavarese ha accolto questo «weekend» all’insegna del sole, del sorriso, della cooperativa, scarpe da football signoreggiano sui velluti delle oreficerie più eleganti, chi non sa di pallone taccia fino a lunedì venturo. Indispensabilmente sobrio, legato alle sue vicende di gioco, il calcio non ammette coreografie abnormi: la stessa cerimonia inaugurale, per la finalissima, prevede rapidi cori, canti e bande, la «passerella» dei sedici pullman che hanno ospitato nei loro tragitti le sedici nazionali (che siano delle «soubrettes» è per lo meno dubbio, anche se viviamo in un’epoca di motori: ma i tedeschi non possono certo vantare uno sviluppato senso umoristico. Chi sa i fischi, quando galleggerà sul «tartan» il vuoto veicolo che trasbordò i nostri azzurri). Subito dopo esploderanno le leggi del gioco vero, con il kaiser Beckenbauer in bianco e il falco Cruyff in arancione. E’ un’autentica sfida adatta agli Anni Settanta: raccoglie la massa dei ricordi antichi, per i paragoni che sollevano con i campioni di ieri, e «passa la mano» ad un football che deve e può irrobustire nel domani la sua sostanza tecnica, il suo prestigio spettacolare, già immenso. Per mantenere in vita questo prestigio, però, è indispensabile che non si ripetano spettacoli quali la partita per il terzo e quarto posto tra Polonia e Brasile: un incontro fiacco, con il pallone che pareva pesare venti chili tra i piedi di uomini stanchi e rinunciatari. Proprio in Germania, ventidue giocatori denunciavano un’assoluta mancanza di birra. L’ideale «bronzo» del terzo posto premia tuttavia i «rossi» di Gorski, il capocannoniere Lato, per la maggior lucidità e per un mese di vero calcio seminato a spese di tutti (azzurri compresi). Oltre centocinquanta campioni (o creduti tali) si sono dilaniati in un mese di corse, duelli, rabbie agonistiche, gol fatti e subiti per produrre questi ultimi novanta minuti di gioco. L’incontro tra Germania e Olanda promette un indice di gradimento universale ed effetti tecnico-tattici di alta godlbilltà. Tra le due masse d’urto schierate l’una contro l’altra dai signori Schoen e Michels deve e può scaturire una di quelle «lezioni di football» che la memoria degli appassionati indora nei suoi puntigliosi ricordi. L’interrogativo popolare suona: chi vincerà? La classe, la strapotenza collettiva, l’allegria fisica e inventiva degli olandesi, o la maggior quadratura dei tedeschi? Il talento superiore del falco Cruyff o il bulldozer manovrato dall’agile Beckenbauer? Si dovrebbe rispondere solo all’inglese, e cioè scommettendo, perché i calcoli freddi, alla lavagna, valutando i prò e i contro, sanno tanto di machiavellismo sportivo, e cioè di un imponderabile che talora viene smentito dalla linearità del gioco. Gli olandesi sono fortissimi, non soltanto forti: giocano palla «di prima», scatenano uomini in ogni zona del campo, possono concedersi il lusso di avere tra i pali un tabaccaio che ricava soldi dal pallone grazie alle virtù dei compagni, non certo dalle proprie. Giovannino Cruyff, astuto capitano, «play-maker» e goleador degli arancioni, fa giocare, lascia giocare, inventa le sue e le altrui mosse. Sprinta da fermo come un centometrista olimpico, si disarticola nell’impatto con il pallone come un campione degli ostacoli. Ha movimenti di pantera e lucidità da filosofo del calcio. E’ ambizioso, venale, raziocinante, fenomenico e inarrestabile: chi lo marca da vicino spesso rischia di essere cancellato dal campo, come un inutile punteruolo, un’inchiodata bandierina nel corner. I tedeschi sono cresciuti durante e per questi mondiali». Come gli olandesi, hanno eliminato dalla squadra gli elementi meno graditi, e quindi fanno blocco. Tre volte sono stati beffati dall’Ajax, in questi ultimi anni, una volta sono riusciti a superarlo, ma mancava Cruyff. Gli stessi uomini del Bayern Monaco affrontino ora gli identici avversari, i lancieri di Amsterdam, che nulla temono, che si divertono a far sprizzare gol e dollari da un pallone. A favore dei tedeschi — se vogliamo accogliere per un attimo le valutazioni dei tanti machiavellismi in corso — sta l’erba dello stadio amico, il pubblico che accoglie, dopo i fischi del Nord, i suoi giocatori bavaresi e cioè gli amati terroni». A protezione occulta degli stessi tedeschi potrebbe pendere un arbitraggio non eccelso, tollerante: gli è accaduto almeno due volte, e in modo fin troppo palese, durante il campionato. Non va mai tenuta in sottordine la «propensione politica» che il grande circo pedatorlo nutre verso chi ospita una coppa di simili proporzioni. Le ultime edizioni dei giornali tedeschi sfidano gli olandesi, che secondo loro meriterebbero chi sa quale «paga» per tanta pretesa bullaggine. Per la verità, gli arancioni sono disinvolti all’eccesso, anche se proprio in virtù di questa disposizione meriterebbero ben altri saluti. L’organizzazione ha centellinato con il contagocce i biglietti per i tifosi dei Paesi Bassi, che infuriano pur di acquistare a prezzi proibitivi un posto alla finale. La cornice, insomma, oltre ai sofismi della critica, dice favorita la Germania anche se tutti ammettono che, in terreno neutrale, l’Olanda di oggi vincerebbe, contro i bianchi, otto partite su dieci. La difesa arancione non è un esempio di chiusura ermetica, il portiere tedesco Maier è un acrobata eccezionale mentre il suo collega vale piuttosto come « libero» che esce a valanga dall’area. Ma lo «staff» del commissario Schoen ha un problema da risolvere: cioè Cruyff. Chi può fermarlo? Chi può levare di mezzo, con maniere lecite e cioè tattiche, non con la violenza, il maggiore e più intelligente fantasista-goleador del football mondiale? Cruyff, tra l’altro, è così abile da nascondersi e mandare a rete i compagni, dal magnifico Neeskens a quel Van Hanegem che è pilastro e cerniera del centrocampo olandese, una zona sfavillante di freschezza. Hanno torto coloro che sostengono: l’Olanda ha sempre ottenuto il minimo risultato con il massimo sforzo. Anche in football, come ogni altro settore della vita moderna, questa è ormai legge comune. Gli arancioni hanno imparato da anni che per ottenere un risultato positivo, e cioè la vittoria, devono soffocare con furore e baldanza la manovra altrui. Possono ripetersi all’Olimpiastadion. Con tutto il rispetto per i tedeschi, che fanno squadra, che godono dell’aria bavarese, guardare brevemente all’Olanda significa, oggi, rispettare e amare un football non manualistico, bensì ricco di fermenti e di slancio. Se Cruyff perde, nessun neutrale riderà.