GIOVANNI TRAPATTONI – Intervista luglio 1977

Il riposo serve anche per ripensare al passato e prepararsi ad affrontare bene il futuro. E il futuro sarà ancora Juve-Toro?

Trapattoni presenta il derby

TALAMONE «Juventus e Torino? Due squadre difficilmente attaccabili. Certe distanze potranno essere accorciate, sicuramente si accorceranno, questo sì. Non dimentichiamo che a noi tutto è andato per il verso giusto; alle altre tutto storto. Ma il divario c’è e si è visto. Le primedonne del prossimo campionato, e probabilmente di altri ancora, uno, due, tre, non so, saremo sempre noi della Juventus e loro del Torino».
Sono parole di Giovanni Trapattoni «fedelissimo» di Talamone, piccola, isolata, pittoresca borgata di pescatori in Maremma. «Ci vengo da 14 anni — dice il “Trap” — per un giramondo del calcio è il posto ideale. Sole, mare, tranquillità. Fuori dal giro mondano. Qui ci si riposa veramente».

Giovanni Trapattoni. Dodici mesi fa il suo arrivo alla Juventus fu assai «chiacchierato». In precedenza, per tre anni, aveva fatto la riserva sulla panchina del Milan; in prima fila solo due volte, ed in entrambe le occasioni a campionato avanzato: nel 73-74, quando sostituì Cesare Maldini; due anni dopo, quando prese il posto di Gustavo Giagnoni. Alla Juventus invece avrebbe cominciato subito. Un campionato a tempo pieno. La notizia fece clamore; qualcuno a mezza voce sussurrò che Boniperti lo aveva voluto per servirsene da prestanome. Lui, il grande Giampiero, a comandare dalla stanza dei bottoni, lui, Giovanni Trapattoni, ad eseguire. I fatti hanno smentito le malelingue. Trapattoni sa camminare da solo. E bene. Questa Juventus dei records e dei trionfi è frutto del suo lavoro.

Ma nell’estate scorsa il «Trap» non fu chiacchierato solo per questo inatteso, per molti aspetti sorprendente, arrivo alla Juventus: ci furono mille chiacchiere anche su due scambi: Benetti per Capello, Boninsegna per Anastasi. Mentre tutte le grandi ringiovanivano, lui e la Juventus invecchiavano. Perché questo camminare controcorrente?
«Ci sono due modi per migliorare una squadra: — spiega Trapattoni — o il mercato ti offre subito i giocatori di cui hai bisogno e te li puoi prendere, o batti la strada del lavoro fatto in prospettiva, ossia la strada dei giovani. Lo scorso anno alla Juventus abbiamo avuto l’opportunità di lavorare su tutti e due i fronti. Benetti e Boninsegna erano disponibili e ce li prendemmo. Il loro acquisto aveva uno scopo ben preciso: dare concretezza alla manovra della squadra».

— Ci furono delle riserve sull’acquisto di Boninsegna in particolare. L’età, il temperamento sanguigno, certi atteggiamenti non allineati con lo stile Juventus, una certa staticità in campo…
«E cos’altro ancora? — interrompe il «Trap» — Per l’età è la condizione fisica che conta non i numeri scritti sulla carta di identità, e da questo punto di vista Boninsegna promette altre due o tre stagioni ad alto livello. Quanto al resto, si sapeva benissimo che erano cose riparabili. Boninsegna è un uomo intelligente. Da noi ha ritrovato stimoli, buon senso, slancio. Visto? Nemmeno una squalifica. Abbiamo avuto un Boninsegna all’altezza delle sue annate migliori».

trpattoni-intervista-luglio-1977 — E Benetti?
«E’ l’uomo ad hoc per un certo tipo di calcio. Quel calcio che andiamo tutti predicando, ma che a tutti non riesce di realizzare».

— Insomma due gladiatori. Uno a correre su e giù per il campo senza limiti di spazio, l’altro in trincea a sparare colpi micidiali, a fare movimento, tourbillion, a creare così corridoi per gli inserimenti dalle retrovie. La Juventus ne ha avuto effetti largamente positivi in fatto di dinamicità, freschezza, praticità. Due anziani hanno procurato gli effetti di una robusta cura a base di gerovital.
«Due innesti, quelli di Boninsegna e Benetti appunto — precisa Trapattoni — e qualche accorgimento tattico. Tardelli interno, per esempio. Lo seguivo da almeno un anno. Mi avevano impressionato il suo eccezionale dinamismo, la sua straordinaria versatilità ad inserirsi sulla fascia destra e a destra noi avevamo un Causio che spesso usciva di zona per andare a “lavorare” al centro o alla sinistra. Tardelli poteva essere l’uomo giusto per coprire questa fascia in complemento a Causio. La soluzione non venne subito. All’inizio anzi facemmo esperimenti diversi, in quella zona feci giocare anche Cuccureddu, ma poi l’incarico fu affidato in… pianta stabile a Tardelli. Il tutto “condito” da una certa accentuazione del movimento collettivo».

— Ritorniamo al discorso iniziale. Abbiamo visto come si migliora una squadra acquistando quel che di pronto offre il mercato. Lei ha fatto cenno anche ai giovani…
«Con i giovani si lavora in prospettiva — spiega Trapattoni — Lo scorso anno collaudammo Cabrini. Gli abbiamo dato spazio in campo nazionale ed internazionale. Ovunque ha fatto quel che doveva fare con disinvoltura, naturalezza, sicurezza. Sarà una colonna della Juventus del domani. Nella stessa ottica vanno inquadrate le trattative per Fanna, Pruzzo, Virdis. Inserimenti graduali, «misurati». Seminare oggi per raccogliere domani. Questa Juventus va bene così com’è, ma possiamo ragionevolmente sperare di migliorarla. Un Fanna in più, per esempio, dovrebbe consentirci di dare maggior poliedricità alla manovra offensiva. Può divenire un grosso jolly di attacco».

— L’alter-ego di Causio?
«Di tutti. Una squadra che vuol fare strada deve avere varietà di temi, deve disporre di alternative tattiche, di uomini duttili, adattabili alle più disparate necessità. Salvo le due punte più avanzate tra tutti gli altri ruoli deve esserci intercambiabilità. Occorrono elementi eclettici e Fanna di eclettismo ne ha. Eccome!».

— Se la società avesse potuto acquistarle Antognoni come lo avrebbe impiegato?
«Come centrocampista, ovviamente, ma non con compiti di regia. La mezzala tradizionale sta scomparendo. La schiera dei fuoriclasse si assottiglia sempre di più. Volenti o nolenti quindi abbiamo cominciato a varare altri schemi. E l’alternativa più valida al fuoriclasse sinora si è rivelata il collettivo».

— L’eventuale disponibilità di Antognoni le avrebbe creato problemi per l’impiego di Tardelli?
«Nessun problema. Tardelli, come ho detto, è un giocatore molto eclettico. Gli avrei fatto fare il terzino di centrocampo».

— Quello che sta facendo Bearzot?
«Sì. Al suo posto farei le scelte nella stessa identica maniera e il mio non è un discorso interessato. Ritengo doveroso sostenere la linea che Bernardini e Bearzot hanno avviato perché mi pare sia la più rispondente alle caratteristiche del nostro calcio e la più valida per affrontare gli impegni internazionali. Comunque Antognoni purtroppo non lo abbiamo».
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— II prossimo campionato vedrà ancora Juventus e Torino impegnatissime nella conquista dello scudetto…
«Dovremmo riproporci compiutamente. Il Torino avrà dalla sua un fattore importante: sarà avido di rivincita. Non gli mancano i mezzi per fare ancora grandi cose. Starà a noi essere all’altezza».

— Pensa che Radice finirà con l’apportare modifiche al modulo dello scorso anno?
«Non credo. La sua squadra gioca insieme da due anni, esprime calcio di buona matrice. Il meccanismo del gioco ormai è bene assimilato, i protagonisti recitano il copione a memoria».

— Si prospetta l’eventuale impiego di Zaccarelli libero…
«Zaccarelli è come il nostro Tardellino: un giocatore che dove lo metti fa la sua brava parte, ma credo che l’esperimento di uno Zaccarelli impiegato come libero non troverà riscontro definitivo».

— Che differenza c’è tra il gioco del Torino e quello della Juventus?
«Sostanziale — è la risposta precisa, categorica di Trapattoni. E spiega: — Il Torino è una squadra eclettica dalla cintola in su, ma in retrovia gioca calcio tradizionale. Una difesa quasi bloccata nella quale solo Salvadori ha continuità di sganciamenti. Bene articolato il centrocampo e buone, molto buone, le due punte. La Juventus invece esalta in misura maggiore del Torino il collettivo, si differenzia soprattutto per la maggior frequenza di inserimenti dalle retrovie, per un più accentuato sfruttamento delle fasce laterali. Diciamo che il nostro meccanismo mette in moto tutta la squadra, quello del Torino lascia statiche alcune pedine».

Dal calcio di casa nostra al calcio internazionale. Con Trapattoni la Juventus, per la prima volta nella sua lunga storia, ha scritto il proprio nome nell’albo d’oro di una coppa europea di club. L’anno prossimo sarà impegnata nel più prestigioso di questi tornei: la Coppa dei Campioni.
«Siamo partiti con il piede giusto — dice Trapattoni — il sorteggio per il primo turno non è stato “cattivo” per noi anche se sarà bene non sottovalutare alcun avversario. Questo calcio cipriota, Se non sbaglio, ha fatto soffrire un poco il Napoli. Meglio quindi contenere il nostro ottimismo».

— Dalle squadre di club alla Nazionale. Quante probabilità abbiamo adesso dì andare in Argentina?
«Cullarci nella speranza di una qualificazione per la fase finale del Campionato del Mondo è giusto, ragionevole: l’Italia deve ancora sostenere due incontri in casa, contro Finlandia e Lussemburgo, uno fuori casa, in Inghilterra. Dobbiamo prima di tutto vincere “largo” i due impegni interni in modo da garantirci da ogni effetto perverso che potrebbe derivare da un’eventuale anche se non certo pronosticabile sconfitta in Inghilterra. Oltremanica se ne è andato Don Revie, difficile fare previsioni su quelle che saranno le conseguenze di questo avvicendamento alla guida tecnica della squadra inglese. Comunque è logico presumere che a Londra il compito sarà duro, molto duro e pensare che l’ipotesi di una sconfitta stia nella realtà delle cose. Ecco perché dico che dobbiamo raccogliere il massimo possibile nei due incontri interni».

— Una volta in Argentina?
«La Germania proporrà sicuramente la propria candidatura al successo finale. Poi ci sarà l’Argentina che oltre a poter contare su un calcio di tutto rispetto avrà dalla sua il non certo irrilevante vantaggio del giocare in casa e ci Sarà il Brasile che non manca mai ai grandi appuntamenti. Tra le europee vedo abbastanza bene l’Ungheria, una rappresentativa in netta fase ascendente, la Cecoslovacchia e l’Olanda se, come credo, riusciranno a qualificarsi. E non trascurerei l’Italia. I nostri azzurri potrebbero anche ben figurare. I presupposti tecnico-tattici non mancano».

— Certi critici dicono che se l’Italia avesse riaperto le frontiere agli stranieri anche la rappresentativa nazionale se ne sarebbe avvantaggiata.
«Il problema degli stranieri ha effetti positivi e negativi. I negativi vanno ricercati nell’aspetto finanziario e nello spazio che questi campioni d’Oltralpe o d’oltre oceano, una volta venuti a giocare da noi, toglierebbero ai nostri giovani. Ma come contropartita ci sarebbe il contributo che essi, con la loro esperienza e la loro capacità, darebbero all’evoluzione del nostro gioco. Apprendo le frontiere all’importazione calcistica senza dubbio si avrebbe la possibilità di acquisire molte utili cognizioni. Io stesso, come calciatore, sono cresciuto al fianco di campioni venuti da altri paesi. E’ giusto che i nostri giovani abbiano spazio, possibilità di giocare, ma è altrettanto giusto tenere presente che quanto più ampio ed eterogeneo è il “corpo insegnante”, tanto più si impara».