Gloria e decadenza di Claudio Borghi

Prima Grande Raccomandato da Berlusconi, poi boicottato a Como da Agroppi e Burgnich, dirottato a Milanello per studiare da terzo straniero e infine scaricato: i misteri di una carriera da genio incompreso

Il talento di Claudio Borghi fiammeggiava come un dardo accecante. Incantò tutti nella sfida di Coppa Intercontinentale del 1985, quando la Juventus di Platini e Laudrup superò a Tokyo in una delle più spettacolari partite della storia della competizione l’Argentinos Juniors ai calci di rigore. Claudio Daniel Borghi, che in bacheca aveva già due titoli nazionali e una Coppa Libertadores, espose nell’occasione in vetrina il meglio del suo repertorio, fatto di finezze prelibate, piedi da ricamo e fantasia da vendere.

Se ne innamorò perdutamente il futuro presidente del Milan, Silvio Berlusconi, che non appena seduto sul trono rossonero, nella primavera del 1986, volle acquistare il grande talento in vista della stagione successiva, soffiandolo alla Juve, che si diceva l’avesse scelto per l’imminente dopo-Platini. Borghi divenne campione del Mondo in Messico (peraltro solo grazie a due presenze parziali nel primo turno: ma aveva davanti Maradona) e arrivò al Milan nell’estate del 1987, quando già i due posti disponibili per gli stranieri erano occupati da due giganti, Gullit e Van Basten.

A sentire lui, gli fu fatta una promessa: «Se giochi bene il Mundialito, rimani». L’asso argentino scese in campo nel Mundialito club e giocò benissimo: presente in tutte e quattro le partite, segnò anche un gol, il 21 giugno 1987 nel 2-0 al Porto. Il Milan (allenato da Capello) vinse il torneo, lui fu premiato come miglior giocatole, poi l’arrivo di Sacchi e l’intoccabilità dei due fenomeni due olandesi gli chiusero ogni spazio. Venne parcheggiato al Como, per valutarne meglio le possibilità e cominciò, improvviso, il suo declino.

Il trio “impossibile”: Gullit, Borghi e Van Basten al Mundialito

Il Como, allenato da Agroppi, era votato alla retrocessione e un artista come Borghi, con la concorrenza tra l’altro del gioiellino locale Notaristefano, risultò subito di troppo. Il 20 settembre 1987, nella partita persa al Sinigaglia con l’Inter (1-2), Borghi giocò un superbo primo tempo, impreziosito da una “rabona”, la figura tecnica consistente nel passare un piede dietro l’altro prima del cross. Dopo tre partite da titolare, Borghi fu messo in naftalina e giocò solo altri quattro spezzoni di partita.

Il Como riuscì a salvarsi e quando l’apertura al terzo straniero aprì una nuova possibilità, l’allenatore Sacchi si scontrò col presidente Berlusconi: il primo voleva Frank Rijkaard, per completate il trio olandese, il secondo testava convinto che Borghi fosse un fuoriclasse e le amichevoli post campionato con Real Madrid e Manchester sembrarono dargli ragione. Dimostrando tuttavia intelligenza e realismo, il presidente cedette al suo allenatore fresco di scudetto e Borghi, sfumata la prospettiva di andate alla Roma, partì per la Svizzera, ingaggiato dal Neuchâtel Xamax.

Fu una brevissima parentesi: ripartì quasi subito per l’Argentina, dove giocò nel River Plate per ritrovarsi, a fine stagione, proprietario del proprio cartellino. L’ultimo favore del suo ammiratore Berlusconi. Da quel momento, troncato ogni legame col Milan, mise a frutto economico la nuova libertà, avviando un vorticoso girotondo di trasferimenti.

Al Como: Triste, solitario y final…

Emigrò in Brasile, al Flamengo, poi, ormai fuori dal giro della Nazionale, tornò in patria, dove giocò nell’Independiente, nell’Union Santa Fé, nell’Huracan e nel Platense. Nel 1992 passò in Cile, dove divenne l’idolo dei tifosi del Colo Colo e nel 1994, dopo alcuni mesi in Messico con il Correcaminos, fece ritorno in Cile: O’Higgins, Audax Italiano e Santiago Wanderers le sue squadre. A metà del 1998, dopo un grave infortunio a un ginocchio, decise di appendere le scarpe al chiodo.

«Forse arrivai in Italia troppo giovane, a 22 anni e in un mondo totalmente diverso da quello di oggi. Non esisteva internet, la nostalgia era tanta e non avevi armi per combatterla. Poi errori ne ho commessi anch’io e con gli allenatori non sono stato troppo fortunato: due super difensivisti come Aldo Agroppi e Tarcisio Burgnich nel Como e un Arrigo Sacchi invasato, tutto schemi e allenamenti, nel Milan. Magari con un Liedholm o un Capello mi sarei potuto esprimere meglio e qualcosa al Mundialito dell’87 riuscii pure a dimostrare. Ma forse, per il Milan, è andata meglio così: Sacchi conquistò lo scudetto, potè scegliere e con Frank Rijkaard al fianco degli altri due olandesi vinse tutto in Europa e nel mondo».