JEPPSON Hasse: lo svedese che accese Napoli

Nato a Kungsbacka il 10 maggio 1925, inizia la sua carriera nella squadra del suo paese, per poi passare all’Örgryte IS. Con il trasferimento al Djurgårdens IF, nel 1948, arriva anche la consacrazione: Jeppson vince la classifica cannonieri del massimo campionato svedese (1950-1951, 17 reti) e gli si aprono le porte della nazionale dove sostituisce Gunnar Nordahl, facendolo diventare noto con il soprannome Hasse Guldfot (Hasse piede d’oro).

Le sue brillanti prestazioni ai Mondiali del 1950 (contribuisce in maniera decisiva all’eliminazione dell’Italia con una doppietta), dove ne era il capitano, attirano le attenzioni del Charlton Athletic: arrivato in Inghilterra solo per studiare per conto della ditta per cui lavorava e vedere le partite, il manager Jimmy Seed lo convince a legarsi alla squadra il 6 gennaio 1951, diventando il secondo calciatore svedese a giocare nel campionato inglese, dopo Dan Ekner al Portsmouth nel 1949-50. Qui giocò da dilettante per non perderne lo status come tennista (era campione nazionale studentesco): con i suoi gol (secondo altre fonti 12 in 12 partite) contribuì a migliorare la posizione in classifica della squadra, dalla zona retrocessione ad una momentanea salvezza, riuscendo a segnare una tripletta all’Highbury contro l’Arsenal (la prima volta in circa vent’anni che la squadra subiva 5 gol in casa e la prima tripletta subita in assoluto in un derby di Londra) e gol contro il Liverpool ed il Chelsea. Nella primavera del 1951 torna brevemente al Djurgaardens.

All’inizio della stagione 1951/52 viene in gaggiato dal presidente dell’Atalanta Turani per trenta milioni di lire, mettendosi in evidenza con ben ventidue gol e sbalordendo tecnici e folle. Il presidente del Napoli, il comandante Achille Lauro – un armatore sorrentino che si era guadagnato la riconoscenza del regime fascista per aver messo a disposizione la sua flotta nell’impresa di Etiopia e che per tale motivo, era stato internato per breve tempo dagli alleati nel campo di concentramento di Padula in provincia di Salerno – era impegnatissimo nell’estate del ’52 in politica quale leader del legittimismo monarchico. In vista delle elezioni amministrative napoletane decise di ingaggiare il pezzo più pregiato sul mercato calcistico. L’allenatore Eraldo Monzeglio suggerì l’acquisto di Jeppson, successore di Gunnar Nordahl al centro dell’attacco della nazionale svedese.

Lauro chiese all’Atalanta di cederlo al «grande Napoli» (lo slogan della sua campagna elettorale era «un grande Napoli per una grande Napoli») e batté la concorrenza dell’Inter di Rinaldo Masseroni accettando senza muovere ciglio la richiesta persino provocatoria dell’Atalanta. Così settantacinque milioni furono pagati agli orobici e trenta al giocatore, versati direttamente in valuta estera in un istituto di credito svizzero. Il ripetersi di questi episodi suscitò molto scalpore nell’opinione pubblica e indusse il sottosegretario Giulio Andreotti a emanare, anche per proteggere il vivaio calcistico italiano, una disposizione – il cosiddetto veto Andreotti – in base alla quale le autorità di polizia non avrebbero concesso permessi di soggiorno a cittadini stranieri che intendevano svolgere attività di calciatore nelle squadre del campionato italiano. Il veto, che porta la data del 29 maggio 1953 venne com’è noto aggirato facendo ricorso agli «oriundi» (calciatori sudamericani di origine italiana) e da violazioni non sanzionate come quella dell’Udinese che acquistò lo svedese Arne Selmosson, ribattezzato «raggio di luna».

Per Napoli Jeppson costituiva, in qualche modo, una sorta di riscatto delle mortificazioni che il Meridione lamentava di subire dal Nord. Oltretutto rappresentava in quel momento un grosso lancio propagandistico per Lauro in quanto interpretava i sentimenti, gli impulsi, le aspirazioni di una città o di una gran parte di essa: era un bel ragazzo, alto, aitante, con un’intelligenza aperta e sicuramente pragmatica. Il portiere Casari si improvvisa paroliere scrivendo in suo onore i versi di «M’ha fatto un gol» cantata a Piedigrotta da Pino Cuomo.

Ma all’inizio in campo le cose non vanno poi cosi bene: non ce intesa con gli altri e c’è antagonismo con Amadei. L’allenatore Monzeglio, indicato da Lauro quale unico responsabile della campagna acquisti, rassegna le dimissioni (poi rientrate). Comunque sia, il primo campionato di «Hasse» (1952-53) è altalenante e si conclude con il Napoli (41 punti) alle spalle di Inter (47 punti), Juventus (43 ) e Milan (43): è un traguardo di prestigio (il terzo miglior piazzamento, all’epoca, nella storia degli azzurri partenopei) ma non del tutto soddisfacente per i tifosi che avevano sperato in un Napoli più grande delle «grandi». La squadra annoverava tra le sue fila, oltre ad Amadei e Casari, il petisso Pesaola, Comaschi, Vitali, Scopigno e Vinyei. Jeppson segnò quattordici reti.

Nel successivo torneo il Napoli, nonostante la grande stagione dello svedese (venti reti) si classifica al quinto posto. E nel campionato 1954-55 inizia il declino di Jeppson: l’atletico vikingo ha perso molto dell’antica flemma e frequenti dissapori si registrano tra lui, l’allenatore e il pubblico. Secondo Elio Tramontano, autore di una storia del Napoli, Monzeglio non gradisce l’amicizia del calciatore con la tennista Lazzarino che comporta frequenti viaggi non autorizzati in auto a Roma. Il 10 settembre 1955 di ritorno dalla capitale, dove pare si fosse recato soprattutto per incontrare emissari dell’Inter che voleva ingaggiarlo, si verifica un grave incidente sulla «fettuccia di Terracini». L’autista perde la vita e Jeppson riporta ferite abbastanza gravi che gli impongono di iniziare il campionato in ritardo e in condizioni fìsiche precarie. Sono sempre più frequenti le sue assenze e comincia a farsi strada l’intenzione di tornare in Svezia: ma i tifosi insorgono. Non segna per cinque mesi, ma basta un gol alla Roma per riportarlo in trionfo.

La Lazio di Tessarolo lo richiede ma Jeppson non dà il suo assenso. Il Napoli conclude il campionato al sesto posto, lui segna dieci reti. Ma intanto è in arrivo Luis Vinicius de Menezes detto Vinicio, con il quale si pensa possa formare una «coppia atomica». La bomba «HV» (Hasse-Vinicio) esplode al Vomero il 16 ottobre 1955: il Napoli batte la Pro Patria per 8 a 1 con tre gol del brasiliano e due dello svedese. Ma è un fuoco di paglia: quell’anno il club partenopeo arriva quint’ultimo e si salva a stento, mentre la Fiorentina di Julinho e Montuori vince lo scudetto. Jeppson ricorda divertito le attese e le delusioni di quel tandem delle illusioni che caratterizzò la sua quarta e ultima stagione in azzurro: «Quella vittoria sulla Pro Patria fece sognare i napoletani a occhi aperti: in realtà il Napoli era una squadra troppo sbilanciata in avanti, con Amadei centravanti arretrato, non poteva reggere specialmente a centro campo. Poi ci si misero anche infortuni vari. A fine stagione passai al Torino perché si scopri che Vinicio non era oriundo e quindi due stranieri erano troppi. Tennero Vinicio, naturalmente, che era più giovane, oltreché bravo».

Ma i napoletani gli rimasero nel cuore anche perché a Napoli trovò moglie. E non poteva che trovarla al «Circolo Tennis», considerato che la sua passione vera, più che il calcio, fu proprio il tennis. Ed e lui stesso a confermarlo: «In Svezia ero il numero nove delle classifiche del tennis: a Napoli ho vinto anche un campionato regionale. Quasi tutti ì lunedì ero al circolo per le consueta partitine. Così conobbi quella che sarebbe diventata mia moglie». La vicenda calcistica di «Hasse», ormai, si avvia malinconicamente alla conclusione. L’ultimo periodo napoletano è segnato da un fastidioso contenzioso con il fìsco: sostengono che i suoi guadagni abbiano superato i duecento milioni. Jeppsson paga fino ull’ultima lira i dieci milioni richiesti dagli uffici finanziari.

La carriera di Jeppson si conclude nel 1957 dopo un campionato con la maglia del Torino, nel quale conquista l’affetto dei tifosi granata con una doppietta nel Derby della Mole del 17 marzo 1957 vinto 4-1. La maglia granata, con cui alla fine della stagione arrivò 7° in campionato, fu l’ultima della sua carriera, avendo già deciso da tempo di ritirarsi alla fine di quella stagione per non mostrare un decadimento della sua tenuta atletica; si tolse comunque la soddisfazione di segnare, il 19 maggio 1957, un gol al Milan che poche settimane dopo, a termine campionato, avrebbe vinto lo scudetto

I pareri sul valore del calciatore sono discordi. Giorgio Torniti afferma che «entrò nella storia, ma per la verità non rese mai ai livelli di quella astronomica cifra; il suo nome restò a simboleggiare gli eccessi di un calcio che pericolosamente inclinava verso la follia». E Armando Treré, roccioso difensore prima della Roma e poi del Napoli, osserva: «Non ho mai condiviso tanto entusiasmo per lo svedese. Era un po’ lento, legnoso. Sui palloni alti ci sapeva fare, non se però se nel gioco attuale avrebbe avuto fortuna come goleador». Angelo Rovelli lo definisce «l’ariete fulminatore», un centravanti rapido e agile che deliziò la tifoseria napoletana. Nino Mastello sottolinea come abbia portato una ventata di calcio nordico, fatto di tecnica e praticità, di potenza (forza più velocità) e serietà. Curiosamente, rimane un piccolo mistero sul suo nome. Secondo Elio Tramontano, originariamente era Jepsson ma a Napoli sarebbe divenuto Jeppson, acquistando una «p» e perdendo una «s». Giorgio Tosatti e Lino Cascioli (in «La favola del calcio italiano») effettivamente scrivono Jepsson.

«Hasse» rimane comunque nella storia perché la sua vicenda ha sorprendentemente anticipato di quasi mezzo secolo le trasformazioni in atto nel mondo del calcio. Si è passati, infatti, da un’organizzazione fondata sul mecenatismo e su una confusa visione, che coniugava ingenuità e affarismo, a una logica imprenditoriale venata sia di interessi che spesso s’intersecano con la politica. In quest’ottica è sbagliato definire una follia la cifra pagata per il suo ingaggio in quanto non fu determinata esclusivamente in base al valore tecnico e agonistico del giocatore. Le ragioni che spinsero Lauro a questa «follia» furono quelle di dare forza e visibilità alla sua impresa di navigazione e soprattutto alla sua avventura politica. Infatti il Partito nazionale monarchico, e successivamente il Partito popolare monarchico, fondato in dissenso con Alfredo Covelli, divennero il primo movimento politico di Napoli conquistando il Comune e portando in Parlamento numerosi deputati e senatori. Si era cosi realizzato il progetto di convertire in voti «laurini» la passione dei tifosi: si pensi che Lauro nelle elezioni del 1956 ottenne trecentomila suffragi anche per merito di Luis Vinicio, detto «O’lione», giovane e possente centravanti del Botafogo.