Visionario e corrotto, il suo regno pluridecennale ha rivoluzionato lo sport più popolare al mondo, lasciando un’eredità complessa di successi e scandali che ancora oggi fa discutere.
Nell’arena del calcio mondiale, pochi nomi hanno avuto un impatto tanto duraturo e controverso quanto quello di João Havelange. Questo brasiliano dal nome belga, figlio di una famiglia di immigrati arricchitisi vendendo armi, ha trasformato il “gioco più bello del mondo” in un fenomeno planetario, sfruttandone il potenziale economico e mediatico come nessun altro prima di lui.
Le origini di un vincente
Fin dalla giovane età, Havelange dimostrò un’insaziabile voglia di vincere e un talento naturale per lo sport. Nonostante l’aristocratico padre considerasse il calcio un’attività “indegna”, il giovane João eccelleva come attaccante, aiutato da una stazza imponente e una determinazione ferrea. Costretto a rinunciare al sogno di diventare un calciatore professionista, si dedicò al nuoto, la sua seconda passione, partecipando alle Olimpiadi di Berlino 1936 e Helsinki 1952 senza grandi risultati. Eppure, fu in quelle occasioni che imparò due lezioni fondamentali: come funzionava la propaganda nazista e come organizzare eventi sportivi di successo.
L’ascesa al potere
Laureato in giurisprudenza per volontà del padre, Havelange intraprese una carriera nei trasporti pubblici, diventando nel frattempo anche presidente della CBD (Confederação Brasileira de Desportos), l’ente che sovrintendeva il calcio brasiliano. Sotto la sua guida, il Brasile si preparò alla Coppa del Mondo del 1958 con una professionalità senza precedenti, dando il via alla leggendaria era del calcio verdeoro. Le vittorie del 1958 e 1962, seguite dalla cocente delusione del 1966, furono solo l’inizio di un percorso che avrebbe reso Havelange una figura chiave del calcio globale.
Tuttavia, l’ambizione di Havelange guardava oltre i confini nazionali. Consapevole del crescente potere mediatico del calcio, intraprese un viaggio globale per conquistare la presidenza della FIFA, visitando ben 86 paesi e sfruttando abilmente le sue doti politiche e organizzative. Nonostante la sua grande paura di volare, portò spesso con sé la nazionale verdeoro per incantare gli uomini che doveva convincere. E se questo non bastava, aveva anche una valigetta piena di contanti forniti dalla CBD per “oliare” la macchina elettorale.
Il colpo di genio di Havelange fu promettere un ampliamento della Coppa del Mondo, garantendo rappresentanza alle nazioni emergenti, molte delle quali appena uscite dal giogo coloniale. Per questi stati, il calcio era un modo per costruire un senso di nazione laddove i confini erano stati tracciati dagli europei senza riguardo alle identità etniche e culturali. Havelange convinse il presidente della CAF, Ydnekatchew Tessema, a far votare l’Africa compatta a suo favore, sfruttando il profondo risentimento verso il suo rivale Stanley Rous, considerato un sostenitore del regime dell’apartheid sudafricano. E nel 1974, dopo un’accesa battaglia elettorale, Havelange sconfisse Rous, diventando il primo presidente non europeo della FIFA.
Il piano per dominare il mondo del calcio
L’ascesa di Havelange non era solo un altro capitolo nella rivalità tra Sud America ed Europa. Dietro le quinte, stava prendendo forma un piano ambizioso per dominare il mondo del calcio. Alleandosi con Horst Dassler, genio imprenditoriale dell’Adidas, e Patrick Nally, esperto di marketing, Havelange rivoluzionò il concetto di sponsorizzazione sportiva.
La formula magica prevedeva quattro principi fondamentali: solo le aziende più prestigiose potevano sponsorizzare la Coppa del Mondo, ogni settore avrebbe avuto uno sponsor esclusivo, la FIFA avrebbe avuto il controllo totale sulla vendita dei diritti, e avrebbe delegato un intermediario (l’ISL di Dassler) per la gestione. Questo sistema trasformò la Coppa del Mondo in una miniera d’oro inesauribile, generando flussi di denaro che venivano distribuiti alle federazioni fedeli a Havelange, spesso attraverso canali poco trasparenti. Una parte andava in programmi di sviluppo, ma era un segreto di Pulcinella che una grossa fetta finisse nelle tasche di chi avrebbe garantito la rielezione di Havelange.
Un impero di potere e corruzione
Sotto il regno di Havelange, la FIFA crebbe in modo esponenziale, passando da 11 a 400 dipendenti. L’ente che governava il calcio mondiale si trasformò da circolo elitario maschile prettamente euro-centrico a organizzazione professionale, dove i soldi non mancavano mai. Havelange governò come un imperatore, assicurandosi la rielezione incontrastata fino al 1998, quando il suo pupillo Sepp Blatter gli succedette, sconfiggendo l’avversario svedese Lennart Johansson.
Tuttavia, dietro la facciata di successo, si celava un sistema di corruzione su vasta scala. L’inchiesta sui fallimenti dell’ISL portò alla luce un flusso di denaro poco trasparente, coinvolgendo Havelange, il genero Ricardo Teixeira (presidente della CBF) e altri potenti della FIFA come Nicolás Leoz. Nonostante la corruzione non fosse illegale in Svizzera all’epoca, Havelange fu costretto a rinunciare alle cariche onorarie per evitare ulteriori scandali.
L’Europa ha largamente considerato Havelange come uno dei boss più corrotti e autoritari della FIFA. Grazie a giornalisti investigativi come Andrew Jennings, autore del libro “Foul – The Secret World of FIFA“, sono emersi dettagli sconcertanti su corruzione diffusa e manipolazioni elettorali sistematiche. Jennings ha anche testimoniato al Senato brasiliano sull’abuso di potere di Havelange e Teixeira.
Eppure, fuori dall’Europa, molti ritengono che gli occidentali, e gli inglesi in particolare, siano impegnati in una crociata contro Havelange, ignorando i suoi successi positivi. “Molti, anche in Brasile, pensano che tutti i soldi finiscano nelle tasche degli uomini già disgustosamente ricchi. Ma anche se questo è in parte vero, lo è anche il fatto che il calcio si è sviluppato notevolmente in molte nazioni povere. Ciò sarebbe stato molto improbabile se invece uno come Rous avesse potuto continuare“, afferma il giornalista brasiliano Fernando Duarte.
Un’eredità controversa
L’eredità di Havelange è tutt’altro che semplice da giudicare. Da un lato, è stato un pioniere che ha elevato il calcio a un fenomeno globale senza precedenti, creando nuovi tornei e rendendo la FIFA un’organizzazione professionale e solida dal punto di vista legale. Dall’altro, ha lasciato in eredità una cultura di corruzione e opacità che ancora oggi macchia l’immagine del calcio mondiale.
Alcuni lo considerano un genio visionario che ha permesso lo sviluppo del calcio in nazioni povere, mentre altri lo vedono come un imbroglione senza scrupoli, fedele solo ai suoi alleati. Eppure, anche i suoi detrattori riconoscono che, senza la sua leadership, lo sport moderno non sarebbe dove si trova oggi.
Forse la chiave per comprendere Havelange risiede nelle parole di Keir Radnedge, autorevole giornalista ed editorialista: “Era un prodotto del suo tempo, sia in Brasile che a livello internazionale, e usò la scala culturale esistente per ottenere il suo potere. Un potere che ha arricchito enormemente sia il calcio che lui stesso“
Che si ami o si odi João Havelange, non si può negare che il suo impatto sul calcio mondiale sia stato grande e duraturo. Un vero “Signore del Calcio”, che ha plasmato lo sport più amato al mondo secondo la sua visione, lasciando un’eredità complessa e controversa che continuerà a essere dibattuta per gli anni a venire.