Honved anni ’50

Il club di Budapest negli anni 50 era l’ossatura della nazionale: Puskas, Czibor, Kocsis…Il sogno del calcio ungherese rappresentato splendidamente dalla Honved finisce sotto i cingoli


C’era una volta una nazione che ha sognato di essere libera, ma l’ha fatto troppo presto rispetto ai tempi della storia, nel falso chiasso dell’ipocrita mondo occidentale che faceva finta di non sapere che il pianeta era diviso in due emisferi, governati politicamente e culturalmente da due padroni che si guardavano digrignando i denti e affilando le armi. Correva l’anno 1956, la Fiorentina di Fulvio Bernardini vinceva il suo primo scudetto, Albert Sabin scopriva un vaccino antipolio orale e più efficace di quello di Salk, a Marcinelle, in Belgio, morivano 237 minatori, 139 erano immigrati italiani, Roger Vadim lanciava Brigitte Bardot nel film “Piace a troppi” e Anna Magnani vinceva l’Oscar per “La rosa tatuata”. Nasser nazionalizzava il canale di Suez, l’Andrea Doria colava a picco, ma soprattutto il 23 ottobre i carri armati sovietici invadevano l’Ungheria di Imre Nagy, in cui per la prima volta nello scorso secolo erano state abbattute le statue di Stalin. Succedeva tutto in quel tempo, in cui la speranza di un mondo migliore ha sinceramente attraversato il cuore e la mente di un’intera generazione.

Ma la sconfitta di Imre Nagy e della “sua” idea d’Ungheria è stata anche la sconfitta, pur non passando egualmente alla storia, e la fine di un mito: quello della Honved e della Grande Ungheria o Aranycsapat (Squadra d’Oro). La Honved dei Puskas, dei Bozsik, dei Czibor e dei Kocsis, di un’incredibile generazione di campioni che è stata portatrice di un’idea di calcio offensivo e altamente spettacolare, insomma moderno, precorrendo i tempi del calcio totale olandese.Parlare di Honved e di Grande Ungheria è in fondo la stessa cosa, visto che la Nazionale era composta per la maggior parte da giocatori della squadra delle forze armate, per essere precisi della fanteria, non a caso la prima metà degli anni Cinquanta per entrambe è stata contrassegnata da vittorie e riconoscimenti internazionali.

Ferenc Puskas, bandiera dell’Honved

Quando scoppiò la rivolta d’Ungheria la Honved era in giro per una tournée europea, la squadra fu richiamata in patria, Bozsik decise di tornare, molti altri no, incorrendo nella squalifica della Fifa, che già da allora conosceva il senso profondo dell’affermazione “poteri forti”. Curiosamente, poi, i Puskas, i Kocsis, gli Czibor trovarono fama e fortuna in Spagna, poiché la dittatura franchista non aveva rapporti con i paesi dell’Est europeo. Così all’interno di una delle tragedie più feroci del Novecento si consumava la fine della Kispest-Honved, come oggi si chiama la squadra magiara.

Kispest all’inizio del secolo scorso era un sobborgo di Budapest, situato al di fuori della cinta muraria municipale, è lì che nel 1909 Istvan Bede, professore di scuola media, fonda il Kispest, trasformando il già esistente Joszefvarosi Sport Club. Gli inizi sono molto umili: la squadra partecipa al campionato provinciale di Pest, per poi passare in quarta divisione ed è solo nel 1920 che approda nella massima categoria magiara, conquistando la promozione sul campo. L’esordio è eccellente visto che il Kispest si classifica secondo dietro all’allora imbattibile MTK.

La nascita del professionismo porta via i pezzi migliori, come un puzzle che si sgretola pezzo per pezzo, ma nel 1926 la “Profliga” risolve anche questo problema. Passeranno ancora 18 anni e la Seconda guerra mondiale prima di sentir nuovamente parlare del Kispest che nel 1928-29 aveva vinto il suo primo trofeo, la Coppa d’Ungheria. Nel 1944, grazie a elementi del calibro di Hrotko, Olajkar e Kincses (tutti approdati nel campionato italiano) la società del sobborgo di Budapest è una delle realtà più effervescenti del calcio ungherese, che proprio in quegli anni poneva le fondamenta per dare vita la periodo migliore della propria storia. È sempre in quel periodo, infatti, che debuttavano in prima squadra un certo Ferenc Puskas (figlio dell’allenatore Purczeld) e un tale Joszef Boszik: il primo autore di più di 1.000 gol in carriera, il secondo, forse, è stato il più grande mediano mai esistito. Puskas esordisce contro il Nagyvaradi, della città di Gran Varadino, strappata alla Romania insieme alla Transilvania. Nelle file degli avversari milita Gyula Lorant che sarà il più fedele gregario del “colonnello”.

Joszef Boszik

Nel 1947 il Kispest si piazza ancora una volta secondo, l’anno dopo quarto, ma Ferenc Puskas è autore di ben 50 reti in 28 gare di campionato. Il talento di Puskas e quello di Boszik attirano l’attenzione dei riformatori del calcio ungherese che vogliono rinverdire i fasti della scuola magiara e, magari, utilizzare il mito sportivo per la propaganda di regime. È per questo che il Kispest si fonde con la Honved, appartenente all’organizzazione sportiva militare; Honved indica il soldato di fanteria. Arrivano anche Grosics, Lorant, Kocsis e Czibor e in men che non si dica nacque il mito della Honved e quello della Grande Ungheria, grazie anche alle intuizioni del Ct Sebes.

Sandor Kocsis è stato definito “la miglior testa d’Europa dopo Churchill”, alto 1,77 sapeva colpire di testa ad altezze che gli altri neanche immaginavano con una precisione impressionante. Cresciuto nelle giovanili del Ferencvaros (l’altra grande squadra di Budapest), negli anni della guerra si allenava nel chiuso delle palestre: i compagni tiravano la palla contro il muro e Sandor andava a colpire di testa sul rimbalzo allenando i muscoli del collo, perfezionando torsione e precisione. Nel Ferencvaros prenderà il posto di Kubala, fuggito in Occidente, ereditandone poi anche la maglia della Nazionale. Kocsis era un attaccante formidabile, ma grazie alla sua classe e alla raffinatezza dei fondamentali giocava soprattutto da interno. Ha vissuto gli anni più belle e vincenti della Honved, così come quelli dell’Ungheria: l’Ungheria che vince le Olimpiadi del ’52, quella che rifilò ben 6 gol all’Inghilterra nel catino di Wembley e 7 l’anno dopo a Budapest, quella che dominò, ma perse i Mondiali del ’54. Fuggito anche lui dopo il ’56 trovò fortuna nel Barcellona. Nel 1965, contro l’Amburgo, il suo addio al calcio richiamò un’immensa folla. Un incidente d’auto insieme alla moglie (uscita illesa) gli provocò la parziale amputazione di un piede, ma Sandor “Testa d’oro” avrebbe potuto giocare ancora a calcio. Il 22 luglio 1979, di domenica, decise invece di non giocare più: afflitto da un incurabile e dolorosissimo cancro allo stomaco la fece finita gettandosi da una finestra dell’ospedale di Barcellona.

Sandor Kocsis

Zoltan Czibor era morto due anni prima (1 settembre ’77) per un tumore alla prostata. In pratica il braccio sinistro di Kocsis nella Honved, in Nazionale e nel Barcellona d’inizio anni Sessanta. L’uomo che con i suoi cross esaltava le doti di Kocsis in acrobazia, sopra gli avversari come un implacabile e inarrivabile bombardiere. Figlio di un capotreno, Czibor era nato a Kaposvar, vicino alla frontiera jugoslava, il 23 agosto 1929. Prima del calcio aveva pratica l’atletica leggera, distinguendosi nel salto in alto nonostante il metro e 69. La guerra però interruppe quella che sarebbe stata una fulgida carriera con il pallone tra i piedi. Fu l’amico Budai ha segnalarlo al Ferencvaros e il servizio militare lo portò alla Honved.

Il resto della storia è uguale a molti altri campioni di quell’incredibile generazione: 4 campionati ungheresi (dal ’50 al ’55), l’oro alle Olimpiadi del ’52, la grande vittoria contro l’Inghilterra, la sconfitta contro la Germania Ovest nella finale mondiale del ’54 e la rivolta d’Ungheria. Puskas fu dato addirittura morto durante la rivolta del ’56, ma anche lui come molti compagni aveva preferito non tornare, aveva preferito la libertà ai carri armati russi e, forse, un po’ vigliaccamente aveva (avevano) preferito il pallone alle sorti della propria terra. Quando nel ’58 lo chiama il Real di Kopa e Di Stefano ha 31 anni e un fisico da pensione, ma l’orgoglio fece il miracolo e Puskas riprese a giocare e segnare come prima, vincendo anche tre coppe dei Campioni con il Real Madrid.

Per Jozsef Bozsik è stato diverso, lui è tornato ed ha affrontato la repressione politica, oltre alla lenta ma continua decadenza del calcio magiaro. Ct nel ’74 poi deputato del Parlamento, è morto il 31 maggio 1978, portando con sé (dopo 537 partite nel club e 100 in Nazionale), in fondo al cuore, il mito della Honved e della Grande Ungheria.

Testo di Francesco Caremani