I Bidoni prima dei Bidoni

Dal 1946 alla chiusura delle frontiere calcistiche del 1966, l’Italia è stata a lungo terra di conquista per i mercenari del pallone. Tuttavia, assieme a molti fuoriclasse, sono arrivati anche numerosi giocatori mediocri e senza valore.

Horwath e Surano: chi erano costoro? Difficile che siano in molti a ricordarsene eppure hanno giocato a football in Italia. Due dei tanti «signor nessuno» che hanno fatto parte della grande «legione straniera» che, dall’immediato dopoguerra a metà degli Anni Sessanta, ha marciato sul calcio italiano. Si può affermare che dei circa 320 stranieri tesserati dai nostri club nel dopoguerra, almeno i due terzi siano passati come meteore.

E’ difficile farsi largo, con un certo ordine, fra tutti gli stranieri che hanno militato in quel periodo nel nostro campionato. Il dopoguerra calcistico nostrano è stato tutto un pullulare di tesserati provenienti da federazioni estere: basti pensare, per esempio, che nella stagione 1949/50 c’erano ben 52 stranieri in serie A con punte massime di cinque nel Bologna e nella Lazio; ma ce n’erano altri venti in serie B (su tutti il Napoli con quattro) e addirittura tredici in serie C. Una valanga.

Anni eroici, anche perché i protagonisti di questa ondata, in linea con i tempi confusi del dopoguerra, vantavano spesso storie romanzesche o avventurose. Charles Adcock, ad esempio, in Italia non giunse con il calciomercato ma al seguito dell’Ottava Armata britannica: rimase tra noi giocando come centravanti per tre anni a Padova, poi a Trieste e Treviso; Jan Aronsson, attaccante svedese, venne chiamato in Italia dall’Inter nel 1955, ma con i nerazzurri non giocò mai, passando al Milan, ma anche con i rossoneri non fu mai utilizzato: fortuna che lo volle il Lanerossi dove restò dal 1956 al 1958.

E’ capitato anche ad altri di arrivare in Italia chiamati da una società e di non giocarvi mai: il brasiliano Roberto José Battaglia, ala destra, importato dalla Juventus nel 1962, fu costretto a cercar gloria (e ne trovò poca) prima a Catania e poi a Bergamo; il centravanti svedese Rune Borjesson, arrivò anche lui nel 1961 via Juventus, ma fu dirottato a Palermo; l’attaccante uruguaiano Nelson Cancela, nel 1956, arrivò alla Roma, ma non fece in tempo a disfare le valigie e finì all’Atalanta dove giocò la miseria di 9 partite; Zarate, attaccante argentino di belle speranze, rimase al Bologna dal 1947 al 1949, ma non fu mai utilizzato; Amaro, centrocampista brasiliano, non entrò addirittura mai negli annali del calcio italiano: arrivò nel 1963 alla Juventus, fece la preparazione precampionato a Cuneo, poi fu rispedito in Brasile; al suo posto i bianconeri presero il connazionale Armando Miranda, un «marcantonio» con scarse qualità tecniche che, però, segnò la bellezza di dodici goals prima di essere dirottato al Catania.

Ma la lista non finisce qui: Fittolo, attaccante argentino, rimase un anno in Italia: una vacanza perché né il Milan, che lo aveva ingaggiato, né il Lanerossi Vicenza che lo ebbe in prestito, lo utilizzarono mai. Villasanta, uno dei tanti argentini, giocava in Cile come terzino dove fu scoperto dal Bologna che se lo portò in Italia nel 1947/48, ma rimase sempre in tribuna e dopo una stagione fu rispedito al mittente.

Ma oltre ai «non utilizzati», la galleria di questa «legione straniera» è ricchissima di curiosità: Karl-Erik Palmer, interno della nazionale svedese, arrivò in Italia nel 1951 e restò sempre con la maglia del Legnano, seguendo il declino della squadra dalla serie A alla serie C; poi, proprio in conclusione della carriera, finì alla grande Juventus dove, per una stagione, fece da riserva a Charles, Sivori e Boniperti.

L’albanese Biciaku, attaccante, quando venne in Italia ingaggiato dalla Vis Voghera, non era straniero perché l’Albania era stata annessa all’Italia in quel lontano 1939: passò poi all’altra squadra cittadina, la Vogherese, dove giocò fino al 1952 quando fu costretto a ritirarsi per un incidente che lo privò della vista ad un occhio. Carlos Bello, attaccante argentino, era giunto nel 1947 alla Sampdoria come il nuovo, possibile idolo dell’allora neonata società genovese: in blucerchiato giocò solo tre partite, ebbe un incidente, rimase fermo un anno e dovette poi accontentarsi di giocare ancora due stagioni con il Sestri Levante e l’Arsenal Taranto.

Pompei, argentino anche lui, laterale, arrivò a Genova carico di speranze per giocare nel Liguria, società di cui ormai si perdono i ricordi, dove collezionò solo una presenza: concluse la sua carriera nel 1946/47, al Cosenza. A Petar Manola, attaccante jugoslavo, l’avventura calcistica riservò una sorte da «pendolare»: lo acquistò nel 1943 la Lazio, giocò con i romani solo nel 1946/47, andò in Francia a Lione, e alla fine tornò in Italia a Napoli nel 1948.

Karl Heinz Spikofski, attaccante, tedesco, con quattro anni di prigionia dal 1944 al 1948, ebbe sorte analoga: nel 1952 al Torino che, non potendolo tesserare, lo dirottò in Francia al Roubaix, ma il tedesco voleva giocare in Italia e vi tornò nel 1954, per tre stagioni, al Catania. Ryszard Janecky, attaccante come la maggior parte degli stranieri venuti in Italia, era un soldato del Corpo Militare Polacco operante nel nostro paese: giocò nel Legnano nella stagione 1946/47, esattamente come il connazionale Fox, anche lui attaccante.

Åke Hjalmarsson, interno svedese, è un altro «pendolare»: al Torino nel 1949/50, al Nizza in Francia nel 1950/51, di nuovo al Torino nel 1951/52, nuovamente in Francia, prima a Lione e poi a Troyes. René Seghini, mezz’ala argentina, giocò 3 sole partite nel 1956/57 nel Bologna, prima di volare negli Stati Uniti dove, diventato cittadino americano, fece parte della derelitta nazionale statunitense ancora lontano dal «soccer-boom». Homero Guaglianone, interno della nazionale uruguaiana, giunse alla Lazio nel 1960: il tempo di giocare una partita e fu rispedito in patria sostituito, in biancoazzurro, da Morrone che diventò una delle colonne della «legione straniera» del calcio italiano.

Germano, brasiliano che giocava ala sinistra, non fece molto per il nostro calcio né per il Milan che lo importò nel 1962 dove giocò due partite, né per il Genoa: a dargli fama pensarono i rotocalchi mondani per il suo chiacchierato e contestato matrimonio con la contessina Agusta, unione già da tempo andata a rotoli. Ferency, attaccante ungherese, era bravino, ma la sua carriera non andò oltre due stagioni nel Monsummano e nella Pistoiese. Stessa sorte anche al suo connazionale Kovacs, attaccante, che giocò nel Fanfulla, nell’Avellino e nel Signa.

Non mancarono neppure le fughe tra i tanti «carneadi» approdati al nostro calcio: sul più bello alcuni mollarono tutto e se ne tornarono in patria. Boyè, ala destra della nazionale argentina, era considerato un asso al Genoa dove arrivò nel 1949: giocò diciotto partite e nel gennaio del 1950, salì su un aereo con la moglie e rientrò in patria. Horwath, difensore ungherese, arrivò a Bologna nel 1947, da dove fuggì due mesi dopo non appena percepito l’ingaggio di un milione. Anche Vairo, interno argentino che la Juventus aveva prelevato nel 1955 dal Boca Juniors, resistette poco: nel febbraio del 1956 abbandonò di notte Torino e scomparve. Pedemonte, laterale uruguaiano, fu ingaggiato dall’Inter nel 1946/47: giocò quattro partite e fuggì in patria.

Ma all’Inter, quell’anno, non era l’unico caso: in quella stagione i nerazzurri avevano ingaggiato ben cinque giocatori, tutti di Montevideo: oltre a Pedemonte prelevato dal Liverpool di Montevideo, arrivarono Bovio dal Penarol, Cerioni e Zapirain dal Nacional e Volpi dal Wanderers. Un disastro! Oltre a Pedemonte, Volpi se ne andò dopo quattro partite giocate all’ala; Bovio, centravanti, dopo dieci partite e Cerioni, interno sinistro, dopo sedici. I dirigenti salvarono solo Zapirain che rimase con l’Inter per due stagioni, ma si affrettarono a liquidare il loro mediatore di fiducia a Montevideo che non aveva segnalato il caratterino dei nuovi arrivati.

Ma la lista è ancora lunga: Arpas, era un interno della nazionale cecoslovacca: arrivò alla Juventus nel 1947, giocò diciotto partite e fuggì in patria. Bredesen attaccante, uno dei pochi norvegesi arrivati nel calcio italiano, fuggì, ma solo temporaneamente: dal 1952 al 1958 giocò nella Lazio, nell’Udinese, nel Milan e nel Bari; tornò in patria, ma l’anno dopo ridiscese in Italia per restare due stagioni a Messina. Benegas, attaccante paraguaiano, ha una vicenda ancor più complicata: lo portò in Italia, nel 1949, la Sanremese che però lo bocciò al primo allenamento; approdò così alla Triestina dove giocò fino al 1952 piantando in asso i rossoalabardati proprio alla vigilia delle qualificazioni che i giuliani dovevano sostenere contro il Brescia per rimanere in serie A.

Dopo Arpas e Vairo, la Juventus conta, sotto altre forme, una terza fuga, quella dell’interno inglese William Jordan che aveva acquistato dal Tottenham: 20 partite e poi a casa, ma Jordan, da buon inglese, prima di andarsene, volle risolvere il contratto. Nella categoria degli «stranieri in fuga» ci sono stati anche grossi nomi: il più celebre è Altafini che se ne andò a metà campionato nel 1964 per farvi ritorno verso la fine (e perdere con il Milan uno scudetto già vinto); poi lo scozzese Dennis Law, indubbio fuoriclasse, ingaggiato dal Torino nel 1961, tornato in patria dopo ventisette partite, non più convinto a tornare nemmeno dalla notizia della sua cessione alla Juventus; l’inglese Baker, anche lui al Torino nel 1961 che, in convalescenza in patria per un incidente stradale dopo diciannove partite in maglia granata, si rifiutò di tornare; l’altro inglese Greaves che giocò solo dieci partite con il Milan nel 1961 cedendo il posto a novembre all’indimenticabile Sani: il nazionale svedese Bergmark che giocò solo due partite con la Roma nel 1962, tornandosene a casa a novembre.

Ci furono pure, ovviamente, stranieri di fama (e, in molti casi, di grande classe) che passarono nel nostro calcio come meteore perché, per un motivo o per l’altro, non riuscirono a sfondare. E’ il caso di Allemann, trenta volte nazionale svizzero, attaccante che il Mantova ebbe in forza dal 1961 al 1963; di Almir Pernambuquinho, interno e centravanti brasiliano, giunto in Italia nel 1962, tesserato prima per la Fiorentina e poi per il Genoa dove giocò in tutto due partite; del tedesco Rolf Geiger, nazionale nel suo Paese, senza fortuna nel Mantova del 1962/63; del laterale Tony Marchi, nazionale inglese, giunto in Italia nel 1956 senza mai riuscire a sfondare né con la Juventus, né con Lanerossi e Torino; di Santisteban, laterale della nazionale spagnola e del grande Real Madrid, per due stagioni al Venezia dal 1961 al 1963; di Seminario, celebrato attaccante della nazionale peruviana, che la Fiorentina ebbe in forza dal 1962 al 1964 prima di trasferirlo al Barcellona; di Laszlo Kaszas, centravanti ungherese del Real Madrid, che passò al Venezia nel 1961 per sole 10 partite; di Tomislav Kaloperovic, mezz’ala, nazionale jugoslavo, al Padova nel 1961/62; di Veselinovic, centrocampista, anche lui nazionale jugoslavo, approdato alla Sampdoria nel 1961/62.

Ci furono, ovviamente, anche quelli che lasciarono un gran ricordo e molti rimpianti, pur facendo solo fugaci apparizioni nel nostro campionato. Forse il caso più tipico è quello di Martino, mezz’ala argentina, nazionale nel suo paese, alla Juventus nel 1949/50: una classe cristallina, lo chiamavano «zampa di velluto»; vinse uno scudetto, ma volle tornare in patria. Il grande Vujadin Boskov, laterale della nazionale jugoslava, illuminò la Sampdoria nel 1961/62; Amalfi giocò nel Torino solo nel 1951/52, ma rimane il ricordo della sua classe; Bongiorni, centravanti della nazionale francese e la mezz’ala ungherese Schubert, non poterono dimostrare quanto valevano perché periti nella tragedia di Superga con il Torino. Vukas era un «pezzo da novanta» della nazionale jugoslava dove era titolare della maglia numero undici ma nel Bologna rimase solo dal 1957 al 1959.

Gli sconosciuti sono tantissimi approdati qua e là al calcio italiano, dai Paesi più diversi. Sono ormai dimenticati se non dai cultori dei ricordi o dai «topi d’almanacco». Ricordarli tutti è praticamente impossibile. Facciamo solo qualche nome, scelto qua e là. Zaro, tedesco, mezz’ala, giocò nella Triestina nel 1955/56; Sallustiano Vidal, attaccante argentino, rimase in forza alla Lazio nel ’47/48; l’ungherese Polgar, terzino, giocò con il Magenta nel ’47/48; Perretti, interno argentino, giocò nella Roma nel ’47/48; l’ala Moro, un uruguaiano, militò nel Napoli nel ’56/57; l’ungherese Nyers II attaccante, giunse in Italia sulla scia del più celebre fratello: giocò nella Lazio dal ’48 al ’50; il brasiliano Nelsinho, centrocampista, fu uno dei tanti acquisti sbagliati del Mantova dove giocò nel ’61/62; Nagy, ala destra ungherese, dal ’49 al ’51 giocò con scarsa gloria nella Fiorentina; Surano, laterale argentino, dal ’47 al ’51 giocò nella Salernitana, nella Cremonese e nel Toma-Maglie; l’interno sinistro argentino Gonzales fu assunto dalla Lucchese per il ’51/52; Basso terzino e centromediano della nazionale argentina, giocò nell’Inter nel ’49/50; Fantoni IV, centrocampista brasiliano, fu uno dei tanti stranieri apparsi sotto il sole romano: nel ’47/48 fu tesserato alla Lazio; Aballay, enigmatico attaccante argentino, resistette al Genoa solo nel ’49/50 prima di trasferirsi in Francia.

L’attaccante ungherese Adam riuscì a finire, nel ’50/51, alla Carbosarda in serie C; il portiere cecoslovacco Anthos, giocò nel ’47/48 con la Carrarese; Colella, centravanti brasiliano, giocò per la Juventus solo nel ’55/56; Lefter era ala sinistra della nazionale turca e giocò nella Fiorentina nel ’51/52. Altro turco di passaggio fu Metin al Palermo nel ’61/62. Desiderio, mezz’ala argentina, restò al Catania dal ’60 al ’62; il laterale Ørnvold, nazionale danese, restò in forza alla Spal nel ’51/52; l’ungherese Pako, attaccante, giocò nel Livorno nel ’48/49 prima di morire in un incidente stradale; il nazionale danese Mortensen, ala sinistra, fu all’Udinese nel ’61/62 e poi fu dirottato in Scozia; Murolo, interno brasiliano, fu ingaggiato dal Lanerossi Vicenza nel ’55/56; Unzain, ala sinistra, paraguaiano, approdò alla Lazio nel ’50/51 dopo essere stato nazionale del suo paese. Il centromediano Mogoy, ungherese, rimase a Catania nel ’49/50; Dido, brasiliano, giocò nella Spal dal ’55 al ’57.

Nomi e storie passate nel calcio italiano senza lasciare il segno. Il censimento completo è lungo, ma nomi come Mellberg, Gaerd, Bogdan, Compagnucci, Kaiml, Margarita, Di Pietro, Arizaga, Antoninho, Rewcliffe, Sandell, Wellish, Waldner, Olajkar, Paganini, Nillson, Michel, Nicolitch, Morello, Montagnoli e altri direbbero poco…