Il Bengalazo: la cicatrice del calcio cileno

Nel 1989, durante Brasile-Cile, il portiere cileno Roberto Rojas inscenò un ferimento per far sospendere la gara, scatenando uno scandalo internazionale senza precedenti.

Nel panorama calcistico sudamericano, il Brasile ha sempre rappresentato una potenza quasi invincibile. La Seleção, con la sua gloriosa storia e il suo gioco spettacolare, sembrava destinata a dominare per sempre il continente. Fino agli anni ’80, i numeri parlavano chiaro: tre Mondiali in bacheca, qualificazioni alle Coppe del Mondo mai saltate e un predominio quasi totale nelle competizioni continentali.

Ma nel 1987 accadde l’impensabile: il Cile, contro ogni pronostico, umiliò i verdeoro con un clamoroso 4-0 durante la Copa América. Un risultato shock che non solo mise in discussione la supremazia brasiliana, ma accese una speranza concreta nelle altre nazionali del continente.

Il Cile, fino ad allora considerato una squadra di seconda fascia nel contesto sudamericano, aveva dimostrato che anche i giganti potevano cadere. Quella storica vittoria non fu semplicemente un episodio isolato, ma il primo segnale di un cambiamento negli equilibri di potere nel calcio sudamericano.

L’entusiasmo cileno e i timori della Seleção

Le qualificazioni per il Mondiale di Italia ’90 rappresentavano il palcoscenico perfetto per testare questo nuovo equilibrio di forze in Sudamerica. Il Brasile, nonostante la recente battuta d’arresto, restava il grande favorito nel suo girone, che includeva Cile e Venezuela. Tuttavia, l’atmosfera era cambiata: per la prima volta in decenni, serpeggiava la sensazione che i giganti verdeoro potessero davvero incappare in qualche ostacolo nel loro percorso verso la Coppa del Mondo.

Il Cile, esaltato dal trionfo del 1987, si presentava con una squadra ricca di talento e determinazione. Con il carismatico Roberto “El Cóndor” Rojas tra i pali, una difesa rocciosa guidata da Fernando Astengo, un centrocampo fantasioso con Jorge “El Mortero” Aravena (soprannominato così per i suoi potenti tiri) e un attacco micidiale formato da Iván Zamorano, Patricio Yáñez e Ivo Basay, la Roja sembrava pronta a tutto.

I cileni erano decisi a scrivere un nuovo capitolo della loro storia calcistica. L’ondata di entusiasmo scatenata dal successo in Copa América aveva contagiato tutto il paese e, per la prima volta dopo tanto tempo, i tifosi cileni credevano sinceramente nella possibilità di qualificarsi a un Mondiale superando il Brasile.

Dall’altro lato, la Seleção, pur mantenendo i galloni di favorita, sentiva il fiato sul collo. La disfatta contro il Cile aveva lasciato cicatrici, e il commissario tecnico Sebastião Lazaroni sapeva di non potersi permettere errori. La sua squadra, che vantava fuoriclasse come Careca, Bebeto e Dunga, doveva non solo qualificarsi, ma farlo in maniera convincente per fugare i dubbi emersi negli ultimi tempi.

La danza del gol

Il girone si aprì secondo copione: il Brasile liquidò il Venezuela con un 4-0 che, per quanto netto, lasciò un po’ delusi i tifosi verdeoro, abituati a punteggi ben più rotondi contro le nazionali di seconda fascia. Il Cile, invece, faticò più del previsto contro lo stesso avversario, spuntandola per 3-1 in una gara che mise a nudo alcune crepe nella squadra di Aravena.

Questi primi risultati caricarono ulteriormente l’attesa per lo scontro diretto tra le due contendenti alla qualificazione. La partita d’andata, disputata a Santiago, finì 1-1, un pareggio che lasciò un boccone amaro da digerire ai cileni, convinti di aver gettato al vento una chance d’oro per mettere alle corde i rivali.

Nelle settimane seguenti la tensione salì alle stelle. Entrambe le squadre affrontarono nuovamente il Venezuela, con il Brasile che questa volta si scatenò vincendo 6-0, mentre il Cile si “limitò” a un 5-0. Con questi risultati, la classifica rendeva cruciale l’ultimo confronto: ai verdeoro bastava un pareggio per qualificarsi, mentre la Roja era costretta a vincere in trasferta.

Il dramma si consuma

Il 3 settembre 1989, il leggendario Maracanã di Rio de Janeiro era un catino ribollente con 132.000 spettatori stipati sugli spalti per quello che prometteva di essere uno scontro memorabile. Il Brasile scese in campo con un undici a trazione anteriore: Careca e Bebeto di punta, sostenuti da un centrocampo di qualità con Valdo, Dunga e Silas. Il Cile, contro ogni pronostico, scelse un atteggiamento più guardingo, schierando Pato Yáñez e Letelier in avanti, ma rinforzando il centrocampo per arginare le offensive verdeoro.

La gara si aprì con i padroni di casa all’assalto, decisi a mettere subito in chiaro le cose. I cileni, sorprendentemente, si chiusero a riccio, puntando forse a colpire in ripartenza. Una scelta che si rivelò disastrosa quando, all’inizio della ripresa, Careca sbloccò il risultato con una rete che fece tremare il Maracanã dalle fondamenta.

Il gol brasiliano mise il Cile con l’acqua alla gola. La Roja si trovava ora nella situazione impossibile di dover segnare due volte in casa dei verdeoro, un’impresa che sembrava fuori portata. Fu in quel momento che il destino decise di giocare la sua carta più folle e controversa.

Caos e confusione

Al 69°, mentre il Cile tentava disperatamente di risollevarsi, un bengala scagliato dalla tribuna atterrò nei pressi di Roberto Rojas. Il portiere cileno crollò a terra, apparentemente colpito dall’oggetto pirotecnico. Le telecamere inquadrarono Rojas sanguinante, circondato dai compagni in preda all’agitazione.

Lo stadio precipitò nel caos totale. I giocatori cileni, con in testa un infuriato Patricio Yáñez, protestarono furiosamente, puntando il dito contro i tifosi brasiliani. Yáñez, in un momento che sarebbe diventato leggendario, si voltò verso il settore da cui era partito il bengala e si afferrò i genitali in un gesto di sfida che trasudava rabbia.

La delegazione cilena, guidata dal presidente federale Sergio Stoppel, decise su due piedi di ritirare la squadra dal campo, denunciando l’assenza di condizioni di sicurezza. Una scelta che non fece altro che gettare altra benzina su un fuoco già divampante.

L’arbitro Juan Carlos Lostau, visibilmente turbato, cercò di ristabilire l’ordine. Tentò di avvicinarsi a Rojas per valutarne le condizioni, ma fu bloccato dai giocatori cileni che formarono uno scudo umano attorno al loro portiere. Regnava il caos più totale, con giocatori, staff e ufficiali impegnati in accesi diverbi sul da farsi.

Dopo venti minuti di discussioni infuocate e tentativi di mediazione, la partita venne definitivamente interrotta. I cileni abbandonarono il campo tra i fischi assordanti dei tifosi brasiliani, mentre i giocatori della Seleção restavano sul terreno di gioco, increduli di fronte a quella scena surreale.

L’inchiesta e la verità scomoda

Nei giorni successivi cominciarono a emergere i primi sospetti sulla versione fornita dai cileni. Le riprese televisive e gli scatti fotografici realizzati durante l’incidente lasciavano intendere che il bengala non avesse in realtà colpito Rojas.

La FIFA, consapevole della delicatezza del caso e delle sue potenziali conseguenze, avviò subito un’indagine minuziosa. Vennero sentiti testimoni, esaminate prove video e fotografiche, e persino realizzati test con bengala simili a quello utilizzato al Maracanã.

Un contributo decisivo all’inchiesta arrivò dal fotografo argentino Ricardo Altieri, che aveva immortalato una serie di immagini che mostravano nitidamente la traiettoria del bengala. E queste foto provavano senza ombra di dubbio che l’oggetto era caduto a circa un metro di distanza da Rojas.

Con il progredire delle indagini, venivano alla luce particolari sempre più inquietanti. Si scoprì che la ferita sulla fronte di Rojas non corrispondeva al tipo di lesione che ci si aspetterebbe da un bengala. In più, alcuni testimoni raccontarono di aver notato movimenti sospetti attorno al portiere prima che si accasciasse.

La sentenza della commissione d’inchiesta fu clamorosa: Roberto Rojas aveva orchestrato l’intera messinscena, procurandosi personalmente la ferita con un piccolo bisturi nascosto nel guanto. L’inganno era stato quindi studiato a tavolino, con la complicità di alcuni membri dello staff tecnico cileno.

Le conseguenze

La reazione della FIFA fu spietata. L’8 dicembre 1989, l’organo di governo del calcio mondiale emise una serie di sanzioni che si abbatterono come una scure sul calcio cileno. Roberto Rojas venne radiato a vita dal calcio internazionale. La federazione cilena fu esclusa dalle qualificazioni per il Mondiale del 1994. Il commissario tecnico Orlando Aravena e il difensore Fernando Astengo ricevettero una sospensione di cinque anni da tutte le attività calcistiche internazionali. Il presidente della federazione cilena, Sergio Stoppel, fu bandito a vita da qualsiasi attività legata al calcio.

Queste punizioni rappresentarono un colpo devastante per il calcio cileno. La squadra che solo due anni prima aveva sognato di sfidare i giganti del calcio mondiale si ritrovava ora esclusa dalle competizioni internazionali e con la sua reputazione ridotta in polvere.

La carriera di Rojas, considerato uno dei migliori portieri sudamericani della sua generazione, venne irrimediabilmente distrutta. Il suo nome divenne sinonimo di inganno e slealtà sportiva, cancellando anni di prestazioni brillanti e dedizione al gioco. Nonostante i tentativi di redenzione negli anni successivi, inclusa una confessione pubblica nel 1990, Rojas non riuscì mai a liberarsi dall’ombra di quella notte al Maracanã.

Per la nazione andina, le conseguenze andarono ben oltre le sanzioni sportive. L’orgoglio nazionale, esaltato dalla vittoria del 1987, subì un tracollo. I tifosi, che avevano creduto ciecamente nella versione presentata dalla loro squadra, si sentirono traditi e umiliati. Il calcio cileno precipitò in una crisi profonda, dalla quale avrebbe impiegato anni per risalire.

Il “Bengalazo“, come venne battezzato l’incidente, resta così uno degli episodi più controversi nella storia del calcio sudamericano. Oltre alla condanna morale per l’atto di Rojas e dei suoi complici, c’è da dire che l’incidente evidenziò le falle nei sistemi di sicurezza degli stadi e la facilità con cui oggetti pericolosi potevano essere introdotti in un impianto sportivo.

Per concludere con leggerezza, ricordiamo la storia di Rosenery Mello, la ragazza che lanciò il bengala: da un lato venne biasimata per il suo gesto sconsiderato, dall’altro ottenne una fugace celebrità mediatica che culminò persino in un servizio fotografico su Playboy!