Il Boca Juniors del Pibe de Oro

Diego Armando Maradona rimase solo un anno con i “genovesi” di Buenos Aires, conquistando il campionato “Metropolitano” 1981. Fu il presidente Martin Benito Noel a prelevarlo in prestito dall’Argentinos Juniors.


Una sola stagione in maglia azul y oro, sufficiente a portare nell’albo d’oro del Boca Juniors il titolo Metropolitano ‘81, una delle due sezioni in cui era diviso il massimo campionato argentino (l’altra era il titolo Nacional). La parentesi di Diego Armando Maradona con la maglia dei “genovesi” di Buenos Aires si limitò all’annata 1981/82. Fu il presidente Martin Benito Noel a portarlo al Boca. Dieguito era già un giocatore di spicco del calcio mondiale. Cresciuto nel vivaio dell’Argentinos Juniors, nel settembre ’79 era stato l’artefice della conquista del titolo mondiale under 20 da parte della nazionale albiceleste, guidata da Menotti. Maradona risultò il miglior giocatore del torneo.

L’Argentinos non navigava in acque perigliose da un punto di vista finanziario. Il primo a tentare l’assalto a Maradona fu il presidente del River Plate, Aragòn Cabrera. La richiesta dell’Argentinos fu di tre milioni di dollari. Il River, tuttavia, non piaceva a Dieguito, la squadra della sua famiglia è il Boca. Papà Chitoro gli raccontava di aver sognato il figlio giocare con la maglia gialloblù. Da bambino, Maradona andava spesso in tram alla Bombonera. Così, bastò un’uscita davanti ad alcuni giornalisti. “Non firmo per il River perché mi ha chiamato il Boca”, affermò Maradona. Niente di vero ma quelle parole accesero le speranze del club fondato, nel 1905, dal siciliano Esteban Baglietto nel rione dei genovesi emigrati a Buenos Aires dove matti, artisti, prostitute e lavoratori portuali erano di casa. Il Boca Juniors non aveva i soldi per prelevare Maradona, a differenza dei Millionaros.

Il Grande Giorno della firma: Próspero Cónsoli, presidente dell’Argentinos Juniors, Diego Armando Maradona e Martín Benito Noel, presidente del Boca

Le trattative durarono oltre trenta ore e, alla fine, l’Argentinos decise il trasferimento in prestito del suo fuoriclasse, dal 20 febbraio 1981 al 30 giugno 1982, per una cifra equivalente a 4 miliardi di lire più cinque giocatori. La firma sull’accordo fu apposta davanti alle telecamere di Canal 13: Maradona apparve in compagnia del presidente del Boca, Martin Benito Noel. Quattro pagine di contratto, un impegno finanziario quasi da dissanguamento per il sodalizio gialloblù. Il Boca s’impegnò anche a saldare un debito di 400 milioni di lire che l’Argentinos aveva accumulato con l’Afa, la Federcalcio argentina. Al Pibe de oro andò un ingaggio di 600 milioni di lire, più 720 milioni di stipendi per due anni, premi per 250 milioni e un premio di 600 milioni per le amichevoli: totale 2 miliardi 170 milioni di lire. Si mosse persino la casa automobilistica Toyota che offrì un miliardo e 200 milioni di lire per potere associare la foto di Maradona all’ultimo modello delle sue auto.

Il presidente Noel piazzò altri colpi di rilievo: Miguel Angel Brindisi dall’Huracan, gli uruguaiani Escudero e Krasouski oltre a Rigante, Trobbiani e Morete, rientranti in patria dopo un’esperienza nel calcio spagnolo. Al Boca, Diego trovò l’allenatore Silvio Marzolini, ex terzino di gran classe della squadra gialloblù, figlio di un carpentiere emigrato da Udine. “Se avevi prerogative nell’Argentinos qui non ne avrai”: furono le prime parole che il tecnico rivolse a Maradona. Erano passati cinque anni dalla doppietta “Metropolitano-Nacional” del ’76. Da allora, il Boca Juniors era rimasto all’asciutto, con i tifosi frustrati dai successi del River Plate, capace di centrare la doppietta nel ’79, aggiudicandosi il Metropolitano anche l’anno dopo. Maradona fu il tassello principale e di maggior classe per riportare in alto gli “azul y oro”. Nell’amichevole organizzata per il suo trasferimento, disputata il 20 febbraio ’81, Maradona giocò il primo tempo con i suoi ex compagni e la ripresa con la maglia gialloblù della sua nuova squadra. In tribuna 25 mila spettatori che ammirarono l’ultimo gol di Dieguito con l’Argentinos. A fine partita, Maradona regalò la sua maglia al vecchio Cornejo, colui che lo aveva scoperto a Villa Fiorito. Due giorni dopo fu il giorno del debutto nel campionato Metropolitano 1981 alla Bomboniera. Contro il Talleres di Cordoba fu tutto facile: 4-1 ed un milione di dollari d’incasso, con tifosi in visibilio per il nuovo acquisto che mise a segno una doppietta su rigore.

Un problema muscolare fermò Maradona per quattro partite che il Boca vinse comunque. Qualcuno affermò che, forse, l’ex giocatore dell’Argentinos non era indispensabile. In squadra sembrarono affiorare spifferi di gelosia. Al rientro in campo, contro il Newell’s, nel 2-2 finale Diego firmò un altro gol, ancora su rigore. La prima rete in maglia gialloblù su azione, il pibe de oro la segnò all’Independiente. In testa alla classifica, il Ferrocarril rispondeva colpo su colpo ai gialloblù. Nella partita casalinga più attesa della stagione, il Superclasicos contro il River Plate, la Bombonera salutò il trionfo del Boca: 3-0 nonostante un diluvio di pioggia. In quella partita la “mano de dios” non funzionò: un gol di mano di Maradona venne annullato dall’arbitro. Diego si scatenò come uomo assist, smarcando Miguel Angel Brindisi in due occasioni prima di trafiggere Fillol, con eleganza, in occasione del terzo gol. Festa grande il 10 aprile ’81: il primo derby di Maradona con la maglia del Boca fu indimenticabile, con papà Chitoro esultante nel settore E dello stadio. In vetta proseguiva il testa a testa con il Ferrocarril. Il 2 agosto ’81, alla Bombonera, si disputò la sfida decisiva per la conquista del titolo. Il rientro del portiere Hugo Gatti, detto “il matto”, il capellone che giocava con un laccio intorno alla fronte per bloccare i lunghi capelli, fermo a lungo per infortunio, diede maggiore sicurezza al reparto arretrato, rilevando Carlos Alberto Rodriguez che comunque si era ben disimpegnato nel corso del torneo. Gatti salvò più volte la porta gialloblù. A risolvere la partita fu l’attaccante Perotti con un gol che avvicinò il titolo.

Il primo “Superclasico” di Diego

Il punto decisivo arrivò in casa contro il Racing (1-1). Bombonera in estasi con una cornice di pubblico straordinaria (i tifosi del Boca nelle partite casalinghe sono notoriamente conosciuti come il “Doce”, il dodicesimo uomo in campo). Quel giorno il San Lorenzo, altro glorioso club argentino, retrocedeva per la prima volta in seconda divisione. Il tecnico del Boca Campeon Metropolitano ’81 in quella edizione schierò una difesa con Vicente Pernia e Carlos Cordoba (giocatore che fece pieno di presenze) difensori esterni, Oscar Ruggeri e Roberto Mouzo centrali difensivi, Passucci regista arretrato di centrocampo (con Krasouski in alternativa), Benitez esterno, Maradona libero di svariare in avanti, con Brindisi dietro le punte Escudero e Perotti. Tra i pali Rodriguez fu più presente a causa dell’infortunio che bloccò il veterano Gatti. Con 17 reti, Maradona fu il cannoniere della squadra (28 partite disputate su 34). La classifica finale vide primeggiare il Boca Juniors con 50 punti (20 vittorie, 10 pareggi e 4 sconfitte), uno in più del Ferrocarril. Newell’s e River Plate, terze, accusarono un ritardo di 11 lunghezze.

Nell’altro torneo stagionale della prima divisione argentina 1981, il titolo Nacional, il cammino della squadra gialloblù si fermò ai quarti di finale dove l’undici di Marzolini venne eliminato dal Velez Sarsfield del bomber Carlos Bianchi. Per fermare Maradona ci volle una sequela di calci e interventi pesantissimi del rude difensore Moralejo, emulo di Carlitos Arregui del Ferrocarril. Il titolo lo conquistò il River Plate, forte dei nazionali Fillol, Passarella, Tarantini, Luque, Ortiz e Diaz. Il 1982 fu un anno negativo per il Boca. I problemi finanziari costrinsero il club ad organizzare amichevoli su amichevoli per fare cassa. Otto partite in tre settimane in giro per il mondo, da Los Angeles a Hong Kong passando per Malesia, Giappone, Messico e Guatemala, con Maradona sempre in campo, attrazione principale del tour. Al seguito di Diego, oltre alla sua famiglia, anche il cameraman Juan Carlos Laburu.

L’Argentina attraversava un momento economicamente devastante, contrassegnato da un’inflazione galoppante e una povertà dilagante. La Junta Militar, al potere dal ’76, si avviava al tramonto nel modo peggiore, causando la guerra contro gli inglesi, per il possedimento delle Isole Falkland/Malvinas. Conflitto che vide prevalere le truppe di sua maestà la Regina Elisabetta. Tutte le società argentine di calcio si trovarono in rosso, costrette a chiedere aiuti che il governo centrale di Buenos Aires non poteva concedere. Di certo. il Boca non aveva i soldi per acquisire a titolo definitivo Maradona. Il 6 febbraio ‘82 fu il giorno dell’ultima presenza di Diego in maglia gialloblù, nella gara valida per la Coppa d’Oro contro il River, persa di misura dal Boca (0-1). In panchina c’era un nuovo allenatore, Vladislao Cap, detto “el polaco”. Dopo quattro mesi di raduno con la nazionale, in vista del Mondiale in Spagna, arrivò la decisione: Maradona tornava all’Argentinos Juniors. Il suo bilancio con il Boca Juniors si chiuse con 45 presenze e 35 gol. Si fece subito sotto il Barcellona offrendo una montagna di soldi. Il vicepresidente catalano Joan Gaspart sbarcò a Buenos Aires con un contratto da favola: 15 miliardi di lire in sei anni, sette miliardi e mezzo all’Argentinos, due miliardi e mezzo al Boca. Fra ingaggio e soldi degli sponsor, esclusi stipendi e premi, il monte introiti di Maradona salì a cinque miliardi di lire a stagione. Nessun calciatore era mai costato tanto (qualche anno prima, il Cosmos per Pelè aveva corrisposto al Santos sei miliardi di lire). I soci del Barcellona, dopo l’ingaggio del fuoriclasse argentino, passarono da ottantamila a centomila. Numeri impensabili fino ad un anno prima. L’ufficializzazione giunse al termine del Mundial: la Liga spagnola avrebbe presto ammirato in campo, con la maglia azulgrana del Barcellona, Diego Armando Maradona, il “pibe de oro”, l’indiscusso giocatore di maggior classe a livello mondiale.

  • Testo di Sergio Taccone, autore del libro “Racconti Rossoneri, storie di puro milanismo” (Urbone Publishing)