Il Bologna di Bernardini

Negli anni sessanta arrivano Janich, Haller e “Carburo” Negri a completare la rosa del già grande Bologna e il “wunderteam” guidato da Fulvio Bernardini è pronto per dare l’assalto al tricolore in un 1964 drammatico.

Siamo nei primi anni 60: il presidente Renato Dall’Ara voleva chiudere in bellezza la sua trentennale epopea (guidava i rossoblù dal 1934, quando gli alti quadri del Partito Fascista bolognese lo “imposero” alla presidenza) e si era nel frattempo circondato di dirigenti con una certa disponibilità economica, come Carlo Goldoni, proprietario di una nota azienda di profilattici (sua la Hatù, dal latino Habemus Tutorem) e Tonino Malaguti, marchio noto per i motocicli. Il direttore sportivo Antonio Bovina lavorava incessantemente per ridurre il gap da milanesi e torinesi, che dal 1945 in poi, salvo la citata parentesi della Fiorentina, si erano spartite gli scudetti.

Quegli anni vedono arrivare a Bologna due uomini-cardine della futura squadra campione. Nel ‘61 approda il libero Franco Janich, prototipo del giocatore che non solo distrugge, ma imposta l’azione. Elegante in campo e fuori, dove era soprannominato Lord Brummel, per le sue magnifiche cravatte. Un anno dopo ecco lo straniero forse più famoso della storia rossoblù, il biondo Helmut Haller, trequartista della Nationalmannschaft tedesca, fromboliere di caratura internazionale. Dall’Ara, accompagnato dall’ex mezzala Sansone, va fino in Germania in Mercedes per fargli firmare il contratto.

Nielsen, Fogli e Haller

Durante il viaggio di ritorno i due hanno un incidente stradale e la loro auto si capotta. Sansone ne esce malconcio, ma salvo e vedendo Dall’Ara immobile, inizia a preoccuparsi, fino a che il presidente non si riprende con un sussulto e sbotta: «Il contratto di “Aler” – cosi lo chiamava – è salvo! Non si è rovinato!».

All’ala destra giostra lo sgusciante Marino Perani, che con l’altro estremo Pascutti, offre ghiotti assist in area di rigore. La regia è affidata a Giacomo Bulgarelli, rampollo locale di Portonovo di Medicina, grande promessa del calcio azzurro e destinato a scrivere pagine indelebili di storia. Le offerte per andare via non gli mancano, ma si dimostra fedele ai colori e, subito dopo aver debuttato in prima squadra a soli 19 anni, ne diviene l’uomo-chiave.

A coprirgli le spalle, il classico Romano Fogli, mediano che sradica la palla dai piedi avversari. Imbattibile la difesa con Furlanis e Tumburus, oltre a Pavinato, il terzino sinistro. E’ un Bologna a conduzione romana (Bernardini), con una tradizionale componente triveneta, in particolare friulana (tutta la difesa, più Pascutti), un duo di classe mista a potenza nordica (Nielsen e Haller), un motore pisano (Fogli), solide fondamenta bergamasche (Perani), ma soprattutto un’anima emiliana (Bulgarelli). Un altro figlio del Triveneto, il bolzanino Johnny Capra, è il principale rincalzo.

La stampa dell’epoca esalta lo squadrone di Bernardini

L’ultimo tassello al mosaico della squadra che… “così si gioca solo in Paradiso” è quello del portiere. Nel 1962 arriva il mantovano William Negri, detto “Carburo” perchè i suoi possiedono una pompa di benzina. È dai tempi di un altro mantovano, il “donnaiolo” Glauco Vanz, che il ruolo di estremo non ha un interprete così affidabile e maturo.

Archiviato il 1962-63 con un discreto quarto posto (e anche una leadership provvisoria alla 12a giornata), si dà l’assalto al tanto agognato scudetto. Il torneo 1963-64 ha un andamento appassionante. Parte forte il Vicenza, poi, mentre due delle favorite, Roma e Juventus, si perdono per strada, il Milan passa al comando e vince il titolo d’inverno davanti al Bologna. Nel frattempo rinviene l’Inter e si profila un testa a testa tra i rossoblù e i nerazzurri di Helenio Herrera, personaggio mal sopportato nella città di San Petronio per i suoi atteggiamenti boriosi.

Tra il 24 novembre (3-0 al Lanerossi Vicenza) e il 2 febbraio (4-1 al Torino) arriva una fantastica serie di 10 vittorie di fila, un filetto che ancora oggi è il migliore della centenaria storia del Bologna. Mercoledì 4 marzo, tre giorni dopo il ritorno al successo (2-1 a San Siro sul Milan), che interrompe una striscia di tre pareggi consecutivi, scoppia lo scandalo doping. Pascutti, Pavinato, Perani, Tumburus e Fogli risultano positivi alle anfetamine. I controlli sono stati effettuati dopo il 4-1 al Torino e sembrano non dare scampo.

Lo sgomento in città è tanto e si grida allo scandalo. Nereo Rocco, tecnico dei granata, prende le distanze: «Drogati? Io quel giorno ho visto solo giocatori formidabili». Fino a maggio, Bernardini, squalificato, comunica con il suo vice Cervellati a distanza, grazie a una ricetrasmittente.

Bulgarelli insidia Sarti, portiere dell’Inter

L’inchiesta prosegue e dopo qualche settimana si evince che le provette sono state manomesse e che si tratta di un goffo e chiaro caso di sabotaggio: le dosi, infatti, sono cosi sproporzionate che ammazzerebbero un cavallo. Dopo un lungo iter burocratico, che coinvolge anche l’Arma dei Carabinieri, dalle contro-analisi non si rilevano irregolarità. La giustizia sportiva, che in prima istanza aveva squalificato Bernardini per 18 mesi, fermato il medico sociale, dottor Poggiali e dato partita persa al Bologna, penalizzandolo di 3 punti, annulla il verdetto.

La campagna stampa di Stadio e II Resto del Carlino, spalleggiati dai giornali romani vicini a Bernardini e in conflitto coi milanesi, ha successo. Bologna esulta, anzi contrattacca: sarebbe stata l‘Inter a manomettere i flaconi, anche se poi, in un secondo momento, sembra che la colpa sia da imputare al Milan, o meglio, all’ex tecnico bolognese Gipo Viani.

Inter e Bologna terminano alla pari con 54 punti la cavalcata durata 34 giornate: ci vuole una coda. Da segnalare lo straordinario record di tenuta dei rossoblù, battuti solo due volte (a Genova con la Samp e in casa con l’Inter), ma soprattutto subisce la miseria di 18 reti. Nei campionati a 18 squadre sapranno fare meglio solo il Cagliari di Manlio Scopigno (1966-67) con 17 e il Milan di Fabio Capello (1993-94) con 15.

Il 3 giugno, nella sede della Lega di Milano, va in scena la tragedia: il cuore di Renato Dall’Ara cede mentre sta discutendo animosamente con Angelo Moratti. Il presidentissimo rossoblù, che già nelle settimane precedenti aveva accusato un malore allo stadio, si accascia e muore, vanamente soccorso dal presidente Giorgio Perlasca – proprio quello che in tempo di guerra aveva salvato dalla deportazione oltre cinquemila ebrei ungheresi fingendosi un diplomatico spagnolo – e dal general manager dell’Inter, Italo Allodi.

Quattro giorni dopo, affranti, i suoi ragazzi affrontano all’Olimpico di Roma l’Inter nel primo spareggio della storia del calcio italiano. Sono le sette di sera del 7 giugno 1964 e Nicolò Carosio, il celeberrimo telecronista della Rai, ci fa sapere che a Roma ci sono 31 gradi. Bernardini lascia fuori squadra l’attaccante Mimmo Renna e schiera a sorpresa il terzino Capra al posto dell’ala Pascutti, infortunato. I fatti gli danno ragione, perché l’elemento più pericoloso e imprevedibile dei nerazzurri (Mariolino Corso) viene sistematicamente annullato.

Il presidente Dall’Ara con Fulvio Bernardini

A un quarto d’ora dal triplice fischio del “principe” Concetto Lo Bello; sblocca le marcature il gregario Fogli, che causa l’autorete di Facchetti con una potente punizione toccatagli corta da Bulgarelli. All’83’ Perani frigge via sulla fascia e serve a Nielsen la palla del 2-0 finale.

Bernardini, al fischio di chiusura, mentre i suoi stanno per iniziare il giro d’onore, si lascia andare a un gestaccio, piuttosto inconsueto per una persona dai modi garbati e gentili, quale era il “Dottor Pedata”. Spiegherà alla stampa che era rivolto a uno spettatore che lo aveva insultato per tutta la partita.

Per la terza volta il Bologna stappa lo champagne nella Capitale: era già successo nel ‘25 e nel ’29, con due differenze: è la prima all’Olimpico e stavolta i tifosi bolognesi al seguito sono ben 25 mila.

Ma c’è ancora un dovere da compiere. Escluso l’infortunato Pascutti, i giocatori rossoblù, in ritiro a Fregene, non avevano potuto partecipare ai funerali. Così, tornati a Bologna, capitan Pavinato e Janich in testa, si recano al cimitero della Certosa a rendere omaggio al loro presidentissimo. Hanno tutti le lacrime agli occhi, Haller singhiozza un «Morto mio secondo papà» e Bulgarelli e Perani, i pupilli del “pres”, depongono due cuscini di fiori. Uno ha la forma dello stemma del Bologna Fc, l’altro del tricolore, con garofani bianchi, rossi e verdi.

Vinto lo Scudetto, sotto con la prestigiosa e già blasonata Coppa dei Campioni. Ma l’eredità di Dall’Ara, si rivela più difficile del previsto. Ci si mette anche la malasorte, quella che fa uscire i rossoblu, alla loro prima e unica partecipazione al torneo, per colpa di una monetina.

Il preliminare della coppa dalle grandi orecchie mette di fronte al Bologna un avversario che appare tutto sommato abbordabile, i belgi dell’Anderlecht. Sconfitti 1-0 all’andata, i bolognesi recuperano in casa portandosi sul 2-0 (reti di Pascutti e Nielsen), ma nel finale un tiro velenoso dell’ala Stockman beffa Negri e, in base alle regole dell’epoca, si va alla bella, fissata per il 14 ottobre 1964 al Camp Nou di Barcellona.

Paul Van Himst e compagni imbrigliano (0-0) la squadra di Bernardini per 120 minuti, poi si affidano al sorteggio dell’arbitro Larriquiegui. La monetina resta in bilico per qualche nanosecondo, poi cade dalla parte scelta dal capitano belga e l’avventura europea termina così nel modo più beffardo.

La fatal monetina infligge una batosta morale dalla quale la squadra non si riprenderà. Il gruppo si disgrega, nascono dissidi interni (specie tra Haller e Nielsen), gli infortuni tagliano fuori gli attesi Turra e Fara, prime alternative del centrocampo, e gli effetti del cambio di preparazione per l’impegno di Coppa unito a un certo rilassamento nel ritiro estivo di Pievepelago minano la tenuta atletica della squadra, uscita probabilmente stremata dalla stagione del caso doping. Il Bologna chiude al sesto posto e Goldoni si sente tradito: all’indomani della fine del campionato, licenzia in tronco Bernardini e Bovina. Il ciclo vincente si è chiuso prima ancora di cominciare.