In continua sfida tra tradizione e modernità, lo Stadio Centenário di Montevideo è un monumento alla storia del calcio mondiale.
Nel cuore di Montevideo, circondato dal verde dei parchi e dall’energia vibrante di una città appassionata di calcio, si erge maestoso lo Stadio Centenário. Non è solo un’imponente struttura di cemento, ma un vero e proprio monumento alla storia del calcio mondiale. Camminare verso questo gigante architettonico significa intraprendere un viaggio nel tempo, tornando a quell’estate del 1930 quando il mondo del calcio era ancora agli albori e l’Uruguay si apprestava a ospitare i primi Mondiali di calcio della storia.
Il Centenário non è semplicemente uno stadio; è un libro di storia a cielo aperto, le cui pagine sono scritte nel cemento delle sue tribune, nei corridoi che hanno visto passare leggende, nel terreno di gioco che ha ospitato alcune delle partite più emozionanti mai disputate. Ogni angolo, ogni sedile, ogni scalino racconta una storia, sussurra aneddoti di trionfi e sconfitte, di eroi e antieroi che hanno contribuito a plasmare il calcio come lo conosciamo oggi.
La nascita di un mito
La storia del Centenário è di per sé un’epopea degna dei più grandi racconti sportivi. Nato da un’idea ambiziosa e realizzato in un tempo record che ancora oggi lascia stupefatti, lo stadio fu costruito in soli otto mesi. Un’impresa titanica per i mezzi dell’epoca, un miracolo di ingegneria e determinazione umana che rifletteva perfettamente lo spirito di un paese in piena ascesa, desideroso di mostrare al mondo la propria grandezza.
L’Uruguay degli anni ’20 era una nazione in fermento, forte dei suoi successi olimpici nel calcio e di un’economia fiorente. Quando la FIFA decise di organizzare il primo campionato mondiale di calcio, la scelta dell’Uruguay come paese ospitante fu quasi naturale. Ma c’era un problema: il paese non aveva uno stadio all’altezza dell’evento. La soluzione? Costruirne uno, e farlo in tempo record.
Sotto la guida dell’architetto Juan Antonio Scasso, più di 1500 operai lavorarono giorno e notte per dar vita a quello che sarebbe diventato il tempio del calcio sudamericano. Il progetto era ambizioso: un’arena ellittica capace di ospitare oltre 70.000 spettatori, con un campo di gioco ribassato di 11 metri rispetto al livello del suolo per proteggere i giocatori dai venti impetuosi che sferzano Montevideo.
L’inaugurazione e il trionfo della Celeste
Il 18 luglio 1930, giorno del centenario della prima costituzione uruguaiana, il Centenário aprì finalmente le sue porte. Nonostante alcune parti fossero ancora incomplete, lo stadio era pronto per accogliere la sua prima partita ufficiale: Uruguay contro Perù, nella fase a gironi del Mondiale. La Celeste, come è soprannominata la nazionale uruguaiana, vinse 1-0, inaugurando nel migliore dei modi quello che sarebbe diventato il suo fortino.
Ma il vero battesimo di fuoco per il Centenário arrivò con la finale del torneo. Il 30 luglio 1930, davanti a una folla stimata di oltre 90.000 persone (ben oltre la capienza ufficiale), l’Uruguay sconfisse l’Argentina per 4-2 in una partita che è entrata nella leggenda. Fu il coronamento perfetto per una squadra che aveva dominato il calcio mondiale negli anni ’20, vincendo due ori olimpici consecutivi (che all’epoca valevano quanto un Mondiale) e guadagnandosi il soprannome di “Celeste Olímpica“.
Casa dei Giganti: Nacional e Peñarol
Nei decenni successivi, il Centenário divenne la casa delle due squadre più importanti dell’Uruguay: Nacional e Peñarol. Questi due colossi del calcio sudamericano hanno scritto alcune delle pagine più gloriose della loro storia proprio tra le mura del gigante di cemento.
Il Nacional ha conquistato qui le sue tre Coppe Libertadores. Indimenticabile la finale del 1980, quando sconfisse l’Internacional di Porto Alegre davanti a un pubblico in delirio. Il Peñarol, dal canto suo, ha fatto del Centenário la sua fortezza per decenni. Qui ha vinto le sue prime Coppe Libertadores e ha dato vita a squadre leggendarie come la “Escuadrilla de la muerte” del 1949, un team talmente dominante da costringere il Nacional a ritirarsi da una partita per paura di subire una goleada umiliante.
Ma il Centenário non è stato solo teatro di trionfi locali. Ha ospitato finali di Coppa Libertadores vinte da squadre straniere, come l’Estudiantes nel 1970 o il Boca Juniors nel 1977. E come dimenticare la finale del 1981, quando il Flamengo di Zico conquistò il suo primo titolo continentale proprio qui, in una elettrizzante sfida contro i cileni del Cobreloa?
La Celeste e il Mundialito: nostalgia e gloria
Ma se c’è una squadra che può veramente chiamare “casa” il Centenário, quella è la nazionale uruguaiana. Quattro delle quindici Coppe America vinte dalla Celeste sono state conquistate qui, ma forse il momento più dolce e nostalgico arrivò tra il dicembre 1980 e il gennaio 1981.
In occasione del 50° anniversario della prima Coppa del Mondo, la FIFA organizzò il “Mundialito“, un torneo che riuniva tutte le nazionali che fino ad allora avevano vinto il Mondiale. L’Uruguay, giocando in casa, riuscì a trionfare battendo il Brasile in finale per 2-1. Fu un momento magico, che permise a una nuova generazione di tifosi di assaporare la gloria che i loro padri e nonni avevano vissuto mezzo secolo prima.
Non solo calcio
Il Centenário non è solo uno stadio, ma un vero e proprio museo del calcio. Al suo interno, il Museo del Fútbol, inaugurato nel 1975, custodisce tesori inestimabili della storia calcistica uruguaiana e mondiale. Dalle maglie di José Nasazzi e Obdulio Varela, capitani delle squadre campioni del mondo nel 1930 e 1950, a repliche delle Coppe Rimet, passando per fotografie d’epoca e cimeli donati da grandi campioni, il museo è un viaggio emozionante attraverso la storia del calcio.
Ma la vera magia sta nel camminare per lo stadio stesso. Salire sulle tribune è come fare un salto indietro nel tempo. Le strutture in cemento, le sedute spartane, l’atmosfera generale, tutto parla di un’epoca in cui il calcio era puro, grezzo, essenziale. La Torre de los Homenajes, con il suo ascensore panoramico, offre una vista mozzafiato su Montevideo, permettendo ai visitatori di contestualizzare il Centenário nel tessuto urbano della capitale uruguaiana.
Il Centenário non è stato solo testimone di grandi imprese calcistiche. Nel corso degli anni, è diventato anche un importante palcoscenico per eventi musicali di risonanza internazionale. Artisti del calibro di Paul McCartney, Rolling Stones, Aerosmith e Phil Collins hanno fatto tremare le sue fondamenta con concerti memorabili dimostrando la versatilità della struttura e la sua capacità di adattarsi alle esigenze di spettacoli di diversa natura.
Una sfida per il futuro
Nonostante il suo status iconico, il Centenário si trova oggi di fronte a sfide importanti. Mentre altri stadi storici come Wembley o il Maracanã hanno subito profondi rinnovamenti o sono stati completamente ricostruiti, il gigante di Montevideo è rimasto in gran parte invariato dal 1930. Questo, se da un lato ne preserva l’autenticità e il fascino storico, dall’altro pone problemi in termini di sicurezza, comfort e funzionalità.
Le recenti ristrutturazioni in vista delle finali di Coppa Libertadores e Copa Sudamericana del 2021 hanno dato nuova vita allo stadio, ma molto resta ancora da fare. Con l’ambizione dell’Uruguay di ospitare partite della Coppa del Mondo 2030, ad un secolo dalla prima edizione, il Centenário potrebbe essere al centro di un importante progetto di rinnovamento.
La sfida sarà quella di modernizzare la struttura mantenendone intatto lo spirito e il significato storico. Come conciliare le esigenze del calcio moderno con la preservazione di un monumento così importante? Come adattare uno stadio costruito quasi un secolo fa alle normative e agli standard di sicurezza attuali senza snaturarne l’essenza?
Comunque sia, che si tratti di una partita della nazionale uruguaiana, di una finale di coppa o semplicemente di una visita turistica, entrare nel Centenário significa immergersi in quasi un secolo di storia del calcio. È un’esperienza che ogni vero appassionato dovrebbe vivere almeno una volta nella vita, per sentire sulla propria pelle l’emozione e la magia che solo un luogo così carico di storia può trasmettere.