Il Derby che innescò lo scontro Juve-Agnolin

Il 26 ottobre ’80, una doppietta di Ciccio Graziani scatenò le  polemiche sfociate nella sospensione della giacchetta nera.

Quel derby lo vinse il Torino con una doppietta di Ciccio Graziani che ribaltò l’iniziale vantaggio di Causio. La sconfitta del 26 ottobre ’80, nella sfida della città della Mole, confermò il momento negativo della Juventus. In campionato, i bianconeri ebbero una partenza alla moviola e il mercoledì di Coppa Uefa si era concluso con un netto ko esterno contro i polacchi del Widzew Lodz guidati da Jacek Machcinsk. “Anche il Toro scopre il vizietto della Signora”, scrisse il Corriere della Sera il giorno dopo. Contro i granata non bastò la grande prestazione di Brady. L’irlandese guidò il gioco come un direttore d’orchestra, smistando palloni per l’ispirato Causio e per Bettega, quest’ultimo utile sia in attacco che a supporto del centrocampo. Il dominio bianconero si protrasse per oltre un’ora, con Pulici ridotto ad un fantasma in cerca di un pertugio nell’impenetrabile difesa juventina, Graziani zittito da Gentile e Pecci oscurato dall’impeccabile ex regista dell’Arsenal. L’infortunio di Volpati diede spazio a D’Amico, atleticamente tre spanne al di sotto degli avversari. La Juve ebbe almeno sette palle gol oltre alla rete firmata da Causio, lesto a ribadire alle spalle di Terraneo un pallone respinto dal palo su tiro di Bettega (18’).

Incapace di reagire, il Toro vacillò su un pallonetto di Tardelli, sventato da Terraneo con una prodezza. Il portiere tenne in partita i sui con parate a ripetizione. Stessa musica nella ripresa dove Fanna e Causio si resero molto pericolosi in area granata. Dopo un gol annullato alla Juve per fuorigioco, la partita cambiò direzione nel momento in cui Causio e Brady persero lo smalto della prima parte. Graziani insaccò di testa su lancio di D’Amico. Ai bianconeri franò il terreno sotto i piedi, i giocatori di Trapattoni sembrarono paralizzati dalla paura di perdere mentre i granata acquisivano il controllo della partita dopo aver rischiato parecchie volte il tracollo. Lo spirito del derby, unito al “cuore Toro”, portò equilibrio in una contesa che nella prima frazione sembrava senza storia. La squadra guidata da Rabitti prese coraggio, scrollandosi l’abulia del primo tempo.

L’episodio che avrebbe innescato il duro scontro JuveAgnolin avvenne ad un quarto d’ora dalla fine: lancio in area di Pecci, Zoff e Pulici saltano a caccia del pallone, il portiere manca la presa e Graziani, con estrema facilità, raddoppia. L’arbitro indicò il centrocampo con i bianconere lanciati in un coro di vibrante protesta. Fu la rete decisiva e l’inizio di polemiche al vetriolo, con pesanti strascichi in ambito disciplinare. Trapattoni inserì Marocchino e Prandelli al posto di Furino e Fanna ma il risultato rimase immutato fino al termine. Graziani, autore di una prestazione opaca, decise la stracittadina dopo aver disputato una prova appena sufficiente, devitalizzato dalla marcatura asfissiante di Gentile.

Per cambiare volto alla partita bastarono uno stacco di testa e un guizzo da rapace d’area di rigore dell’attaccante azzurro nell’azione contestata dalla Juventus per il presunto fallo su Zoff. Pulici negò qualsiasi carica sul portiere. “Nessun fallo, tutto regolare, qualcuno cerca di sminuire ciò che abbiamo fatto. Ero in anticipo, Zoff è intervenuto quando ero già in volo e avrebbe dovuto rinviare di pugno e non bloccare il pallone. Per me ha commesso un errore”, dichiarò l’attaccante granata negli spogliatoi, soddisfatto per essere stato decisivo al suo rientro in campionato.

Il portiere della nazionale perse il suo proverbiale aplomb. “Avrei dato un pugno in faccia all’arbitro, altro che protestare. E scrivete proprio così”, aggiunse Zoff. “Una sortita incredibile – commentò Salvatore Lo Presti dalle colonne del Corriere della Sera – per un portiere che in oltre venti anni di serie A si era sempre distinto per comportamenti al di sopra di ogni censura”. Dopo il secondo gol granata, rivolgendosi a Bettega che continuava a protestare senza lesinare parole pesanti, Agnolin non usò mezzi termini: “State calmi, altrimenti vi faccio un … così”. L’allenatore juventino parlò di “uno spettacolo rovinato da alcune interpretazioni”.

Il Trap inoltre aggiunse: “Come faccio a vincere se durante la partita l’arbitro dice ad un nostro giocatore: vi faccio un … così’?”. A rincarare la dose ci pensò Causio. “Non parlo altrimenti smetterò di giocare. Partita rovinata. C’è troppa prevenzione verso di noi”. Si collocarono sullo stesso tono del Barone anche Cuccureddu e Tardelli mentre Gentile parlò di “furto del secolo” e Fanna rincarò la dose con tono sarcastico: “Il Toro ha giocato in dodici, l’arbitro dovrebbe fare un esame di coscienza”.

A completare gli attacchi frontali contro Agnolin provvide Furino: “Arbitraggio palesemente in malafede”. La giacchetta nera venne deferita. Un guardalinee parlò di un giocatore juventino (Gentile) che avrebbe rivolto all’arbitro frasi irriguardose. Il difensore si beccò 4 giornate di squalifica dal Giudice sportivo, una in più di Bettega la cui frase verso l’arbitro non era stata particolarmente lesiva. Per comportamento irriguardoso vennero squalificati, inoltre, Furino e Tardelli (una giornata). In secondo grado le squalifiche di Gentile e Bettega vennero ridotte. Un mese dopo la partita, il procuratore federale Palladino deferì anche Zoff.

Il 9 dicembre ’80, l’arbitro della sezione di Bassano del Grappa fu sospeso per 4 mesi per decisione della Disciplinare dell’Aia, in seguito ai fatti segnalati dopo il derby torinese di fine ottobre. La Commissione di disciplina, preso atto dell’ammissione dell’addebito attribuitogli, valutate circostanze ed attenuanti, inflisse ad Agnolin la sospensione fino al 28 febbraio 1981. Il direttore di gara aveva infranto l’articolo del regolamento in cui si stabiliva che “gli arbitri sono tenuti a dimostrare, in ogni luogo e circostanza, esemplare rettitudine e moralità sia sportiva sia privata”. Una decisione che non arrivò alla pena massima della radiazione ma che non potè essere considerata un semplice buffetto. Il direttore di gara, tra i migliori in Italia tra quelli in attività, pagò il clima di quella stracittadina, passata alla storia come “il derby degli insulti”.

I giornali parlarono di decisione dettata dal braccio di ferro “politico” tra la leadership arbitrale e quella federale: la prima premeva per due-tre mesi di sospensione, la seconda per sei-sette mesi di stop. Agnolin reagì con la più ovvia delle prese d’atto. Non cercò riduzioni di pena né presentò appello. “Ho fiducia nei regolamenti e nelle persone che li applicano. Le domeniche in cui non potrò arbitrare farò gite in montagna e mi riposerò”. Trapattoni non volle tornare sulla vicenda: “Non m’interessa dire nulla al riguardo”. Chiuse il cerchio il Torino con il segretario generale Giuseppe Bonetto. “Mi auguro che la Juve voglia chiedere insieme a noi di far arbitrare il prossimo derby ad Agnolin”. Proposta che il vicepresidente bianconero Chiusano definì “molto spiritosa”. Quel derby, con le polemiche e le squalifiche che ne scaturirono, rappresenta una pagina di storia della serie A.

Sarebbe sommamente ingiusto ricordare Luigi Agnolin soltanto per quell’episodio, appartenente ad un periodo dove l’arbitro era solo col suo fischietto e dove il contatto coi guardalinee avveniva ad occhio e intuito, senza tecnologia, come il pescatore che andava per mare, in passato, solo in virtù della conoscenza dei fondali datagli dall’esperienza, non potendo contare sulle moderne apparecchiature di ecoscandaglio.

La carriera arbitrale di Agnolin, deceduto nel settembre 2018, è stata di altissimo livello: il direttore di gara veneto ha contrassegnato il calcio degli anni 80 con incisività, carattere, preparazione e schiettezza. Un “hombre vertical”. Il derby di ritorno, disputato il 15 marzo ‘81, venne diretto da Claudio Pieri di Genova. Vinsero i bianconeri con reti di Brady e Cabrini (0-2). Un incontro senza contestazioni. Due mesi dopo arrivò la domenica di JuventusRoma, la partita del gol annullato al romanista Turone che avrebbe potuto cambiare, a favore dei giallorossi, l’epilogo della volata scudetto. A dirigere quella gara fu Paolo Bergamo. Ma questa è un’altra storia.

Testo di Sergio Taccone, autore del libro “Il Milan del Grenoli” (Assist Edizioni, prefazione di Luigi La Rocca, 2020)