O Tigre do Futebol
E’ il 29 maggio 1919, stadio Laranjeiras di Rio. Lo spareggio Brasile-Uruguay per la vittoria nel Torneo Sudamericano sfocia nei supplementari. Dura 150 minuti, una delle partite più lunghe della storia. Finalmente, al 122′, il centravanti verdeoro Friedenreich con una prodezza spezza l’incantesimo: il Brasile è campione. La festa per le strade della capitale brasiliana sarà incontenibile. La scarpa con cui Fried (così sui tabellini dell’epoca) aveva segnato venne esibita, calzata da una gamba realizzata da uno scultore con piena fedeltà al modello, nella vetrina di una gioielleria di calle Ouvidor.
Quell’eroe nazionale era il primo calciatore meticcio del Brasile. Nato da un emigrante tedesco e da una lavandaia di colore, lo chiamavano “O Tigre” (il Tigre) perché aveva occhi verdi e sotto rete estraeva artigli implacabili. Era il giocatore più grande del futebol e forse del mondo e passò alla storia come il più forte cannoniere del calcio brasiliano, superiore per numero di gol persino a Pelé: nel corso della sua interminabile carriera (26 anni) gliene vennero accreditati 1.329, una cifra che lo pone in testa alla classifica assoluta di ogni epoca.
Sguscia dalle cronache d’inizio secolo fino all’eternità della gloria grazie alla maestria nel dribbling, al carisma di leader offensivo, al colpo di testa micidiale ma soprattutto alla raffinata fantasia che ne sublimava la forza atletica. Secondo Eduardo Galeano, il mito del Brasile parte proprio da lui:
«Creò il modo brasiliano di giocare. È stato lui a rompere gli schemi inglesi. Lui, o il diavolo che pareva infilarsi nella pianta del suo piede. Friedenreich portò nel solenne stadio dei bianchi l’irriverenza dei ragazzi color caffè che si divertivano contendendosi una palla di pezza nelle periferie. Così nacque uno stile aperto alla fantasia, che preferisce il piacere al risultato. Da Friedenreich in avanti, il calcio brasiliano, quando è davvero brasiliano, non ha angoli retti, come non ne hanno le montagne di Rio né gli edifici di Oscar Niemeyer».
Era nato a San Paolo nel 1892 e a diciotto anni era già una vedette. Il fisico, longilineo, alto, sottile ma robusto, era perfetta sintesi della forza tedesca e della morbida predisposizione artistica dei “colored” indigeni. Quando nasce la Nazionale brasiliana, nel 1914, con una partita contro gli inglesi della
League Exeter City, Fried è il centravanti. Guarda gli avversari e li irride, il suo dribbling corteggia l’incongruo, zampilla continue soluzioni inattese. Un rude terzino gli fa saltare due denti con una entrata falce e martello, Fried si spolvera di dosso la miseria del mondo e realizza due gol.
Onorerà la maglia verdeoro fino alla metà degli anni Trenta, con una lunga parentesi. Dopo la vittoria del 1919, le autorità brasiliane vietano la presenza di neri e meticci in Nazionale. Ma Fried è più forte di ogni barriera razziale e i grandi club di San Paolo e Rio davanti alla sua classe superano i pregiudizi sul colore della pelle, contendendoselo.
Gioca nel Palmeiras, nel Paulistano (con cui nel 1925 è protagonista di una memorabile tournée in Europa, nove partite vinte su dieci), America, San Paolo, Ispiranga Bahia e Flamengo. Tornato in Nazionale a metà degli anni Venti, colleziona in tutto 17 partite con 8 reti. La straordinaria longevità lo porta a giocare fino a 43 anni. Il più prolifico bomber di ogni tempo è morto nel 1969.
Arthur Friedenreich
(San Paolo, 18 luglio 1892 – San Paolo, 6 settembre 1969)