Immortals: Eddie Hapgood


Il sinistro della difesa

Non ci sarebbe stato l’Arsenal di Herbert Chapman, il capolavoro dell’uomo che cambiò il calcio, senza Eddie Hapgood. Cambiava il modulo, dal Metodo al Sistema, e ai terzini non si chiedeva più di ramazzare l’area, bensì di ammortizzare le ali avversarie. Ai più dotati, tuttavia, non sfuggiva che la nuova collocazione poteva spingerli in avanti, aprendo imprevisti orizzonti di gloria.

Per la verità, Eddie Hapgood, nato nel 1908, aveva tutto per non diventare un grande difensore. Gli mancavano peso e statura: piccolo ed esile, quando i tecnici dell’Arsenal lo visionarono nelle file del Kettering, la squadra dilettantistica in cui aveva cominciato a fare sul serio, restarono sì incantati dalle sue doti tecniche, ma disperarono di poter trasformare quel mucchietto d’ossa in un calciatore di successo. Troppo fragile: sarebbe bastato un refolo di vento per farlo volar via assieme alle sue ambizioni.

Era il 1927. Chapman volle comunque quel ragazzino, convinto di avere per le mani un asso e dimostrò ben presto di aver visto giusto. Al pari dell’italiano De Vecchi, Hapgood volava alto sulle miserie umane. I limiti fisici gli scivolavano addosso senza ferirlo: morbido nel tocco, istintivo nel senso della posizione e indomito nei contrasti, sapeva districarsi in qualunque situazione. Era rapido e tempista negli interventi, il suo piede calava sul pallone con la perentorietà di una sentenza.

In breve, divenne uno dei più forti difensori del calcio dell’epoca, cementando con Male una coppia di terzini di granitica tenuta. Dell’Arsenal dei miracoli divenne capitano, grazie alla personalità in rilievo, permeata di quel maturo equilibrio psicologico che ne faceva l’ideale guida sul campo, a dispetto dell’età ancor giovane, e il contraltare di campioni estroversi come James e Hulme.

La sua intelligenza di gioco aderì in modo naturale alle idee tattiche di Chapman, che aveva potenziato la difesa, col Sistema, solo per poter colpire meglio in attacco. Hapgood sapeva rovesciare il fronte con i suoi lanci lunghi precisi al millimetro o con le incursioni a centrocampo, a dialogare con i costruttori di gioco.

Esordì in Nazionale a Roma contro l’Italia, il 13 maggio 1933 (1-1) e ben presto divenne capitano, il capociurma che nell’epica sfida di Highbury con i neocampioni del mondo ebbe il naso fratturato dalla gomitata di un azzurro, eppure resistette in campo in quella specie di bolgia di colpi dati e presi. Fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, fu nella ristretta élite dei più grandi d’Inghilterra, conquistando cinque titoli nazionali (1931, 1933, 1934, 1935,1938) e due Coppe d’Inghilterra (1930 e 1936) e diventando il portabandiera dello “stile Arsenal” per serietà professionale.

Totalizzò 393 partite col suo club e 30 in Nazionale, poi la guerra gli troncò la carriera, che aveva comunque imboccato il viale del tramonto, come dimostrarono gli impacci contro il “passo doppio” di Biavati nella terza sfida con gli italiani, il 13 maggio 1939 a San Siro (2-2). Giocò ancora tredici volte con la Nazionale nei primi tempi della guerra, peraltro in partite non ufficiali. Chiusa la carriera, divenne allenatore del Blackburn e del Watford, ma senza molta fortuna.

Eddie Hapgood
(Bristol, 24 settembre 1908 – Leamington Spa, 20 aprile 1973)

StagioneSquadraPres (Reti)
1927 Kettering Town12 (0)
1927-1944 Arsenal393 (2)
Nazionale
1930-1939 Inghilterra 30 (0)