Immortals: Giuseppe Meazza


Il Balilla

Avevano diciassette anni, quei due occhioni maliziosi su un attaccapanni di pelle e ossa, quando vennero gettati nella mischia. Si giocava la Coppa Volta, a Como. L’Inter perse la partita del mattino e il centravanti Castellazzi si infortunò. «Mister» chiese a tavola Poldo Conti, ala destra nerazzurra, al tecnico Veisz, «chi gioca oggi al centro dell’attacco?». «Quel ragazzo là, il Peppino». «Quello? Ma se l’è un Balilla…». Balilla erano i ragazzini che il Regime inquadrava militarmente: dagli otto ai quattordici anni. Era il settembre 1927, lo sbarbatello andò in campo e infilò due gol. Per tutti da quel momento fu “il Balilla”.

Un eroe popolare, il campione capace di portare due volte l’Italia al titolo mondiale, il campione che tutti i ragazzi avrebbero voluto diventare. Con la brillantina a far luccicare i capelli, lo sguardo maliardo, i lussi del bambino nato nella miseria di Porta Romana e finito in una coppa di champagne grazie al talento con cui sapeva accarezzare il pallone al modo di una bella signora. Il suo “gol a invito” diventa celebre nel mondo, lui che parte su un ben dosato lancio dalle retrovie, arriva nei pressi dell’area, indugia per un attimo come indeciso, inducendo il portiere a uscire per prendergli il tempo ed esponendolo al proprio dribbling beffardo: una finta, il numero uno aggirato nella polvere e la sfera accompagnata dolcemente in rete.

Socchiude gli occhi sotto le folte ciglia, il Pepp, e ricorda il debutto in azzurro, a diciannove anni: infortunatosi il napoletano Mihalic, Pozzo rinuncia pure all’altro bomber partenopeo, Sallustro, mandando in campo contro la Svizzera a Roma il ragazzino. La mamma del quale, Ersilia, è corsa apposta in treno fino alla capitale. Sui primi, goffi errori dell’emozionato esordiente, la povera donna viene seppellita dagli insulti e fischi del pubblico, partigiano degli esclusi Sallustro e Volk. Il piccolo dramma non ha lieto fine: dopo la mezz’ora Meazza si sblocca, segna due gol, porta i suoi alla rimonta e alla vittoria per 4-2, ma intanto mamma Ersilia se ne è andata via singhiozzando (anche se alcuni biografi la inventeranno portata in trionfo dagli ormai ex contestatori).

Giuseppe Meazza è nato il 23 agosto 1910, ha cominciato a giocare nella “Campionese”, squadretta dei ragazzi di Via Maestri Campionesi, poi un provino lo ha portato nelle giovanili dell’Inter, con l’esordio da terzino perché al tecnico Soldera mancava un difensore. A diciassette anni è titolare e macina gol. Capocannoniere tre volte, con due scudetti e una Coppa Italia e un totale di 348 partite e 239 reti con l’Ambrosiana-lnter, nel 1939 lo ferma il “piede gelato”, un embolo che gli blocca la circolazione del piede sinistro.

Guarisce dopo mesi, grazie all’intervento chirurgico di un medico all’avanguardia, ma l’Inter lo considera finito e lui emigra sull’altra sponda, al Milan, per due stagioni, 37 partite e 9 reti; poi alla Juventus, 27 partite e 10 reti, e nel dopoguerra assaggia l’Atalanta (14 presenze, 2 gol) e chiude nella sua Inter, con 2 reti in 17 partite. È il 1947. Con la Nazionale ha messo insieme 53 partite e 33 gol e due titoli mondiali, 1934 e 1938.

Col tempo, da centravanti si è fatto interno, per favorire in azzurro sfondatori puri come Schiavio e quattro anni dopo Piola. Al ricordo della sua classe è intitolato lo stadio di San Siro, a Milano. È morto il 21 agosto 1979, poco prima del suo 69esimo compleanno.

Giuseppe Meazza
(Milano, 23 agosto 1910 – Lissone, 21 agosto 1979)

StagioneSquadraPres (Reti)
1927-1940 Ambrosiana-Inter348 (240)
1940-1942 Milano37 (9)
1942-1943 Juventus27 (10)
1943-1944 Varese20 (7)
1944-1946 Atalanta14 (2)
1946-1947 Inter17 (2)