Immortals: Hector Scarone


El Mago

Una vecchia istantanea ben esprime lo spirito degli anni Venti che talora sembra sfuggire a noi del calcio tecnologico e ipervitaminico dei campioni imbottiti a milioni e social. I giocatori dell’Uruguay, stazze ridotte, sederi bassi, gambe tozze, bragoni alle ginocchia, con i fiori in mano fanno passerella a Parigi davanti a un pubblico entusiasta, dopo aver vinto l’Olimpiade superando nettamente la Svizzera. Erano le meraviglie del Sudamerica: il calcio già si nutriva di stelle, l’era dei pionieri era una stagione fortunata della vita perché la popolavano campioni assoluti. E sarebbe ingiusto che nel ricordo stingesse la leggenda di Hector Scarone, mezzala destra favolosa di quella squadra da incantesimo, otto anni sul tetto del mondo: due Olimpiadi e un Mondiale vinti dal 1924 al 1930, più due Coppe America.

Non era un gigante, Scarone, tutt’altro (1,71 per 73 chili), ma dicevano che saltasse e poi si fermasse levitando ad aspettare la palla. Perché lassù, quando si ritrovava assieme agli avversari, riusciva ad assestarsi una spinta ulteriore con una giravolta che lo piazzava in modo perfetto per colpire il pallone e inchiodare il portiere. Non per niente Hector Scarone, per molti il più grande giocatore uruguaiano di tutti i tempi, era soprannominato “El Mago”.

Della grande mezzala del Metodo aveva tutto: organizzava il gioco, guidava i suoi con il piglio combattivo del capo, praticava l’arte del gol. La sensibilità dei piedi era tale che fiorivano leggende sulla sua arte. Si diceva che esercitasse il tiro calciando per ore il pallone dentro un condotto dal diametro poco più largo. E che si facesse lanciare in aria bottiglie da trenta metri per colpirle al volo.

Il suo talento prese di petto la grande avventura a quattordici anni, quando cominciò a giocare ufficialmente nello Sportsman, squadra di terza divisione di Montevideo, la capitale in cui era nato il 26 novembre 1898. Si avviava così a mettere tra virgolette il discorso calcistico probabilmente più lungo di tutti i tempi. Un anno dopo entrava nella terza formazione del Nacional, ma ben presto fu chiamato a sostituire il cugino Carlos in prima squadra, quando questi fu ceduto. Prese a collezionare titoli nazionali: alla fine ne avrebbe vinti otto, giocando 369 partite e segnando 300 gol.

Nel 1926, mentre era capocannoniere della Coppa America, venne ingaggiato a peso d’oro dal Barcellona. Attraversò l’Oceano, giocò divinamente in coppia con l’asso locale Samitier, ma dopo pochi mesi e nove partite la nostalgia lo richiamava in patria. In Nazionale giocò in tutto 64 partite. Dopo il successo in Coppa del Mondo nel 1930 tornò in Europa, questa volta all’Ambrosiana-Inter. Fu il primo oriundo della squadra nerazzurra e ci volle del bello e del buono per trovarne le origini italiane, poi rinvenute su suggerimento del padre a Dego, vicino a Genova.

Quando finalmente potè scendere in campo, diede spettacolo, segnando 7 gol in 14 partite e guadagnandosi il soprannome di “Garibaldi” dai tifosi entusiasti dopo una partita con la Lazio in cui segnò due reti nonostante il sangue gli colasse sul viso per una botta al naso. Aveva ormai 34 anni e si trasferì al Palermo, sempre in A, e vi giocò due splendide stagioni, prima di tornare in patria.

Ma la sua carriera non era finita. Nei primi anni Cinquanta è di nuovo in Europa, allenatore del Real Madrid, dopodiché torna in Uruguay e per un breve periodo riprende a giocare. Ha all’epoca 55 anni, il più anziano giocatore che abbia mai militato nella massima serie uruguaiana, e probabilmente in tutto il Sudamerica. Morirà il 4 aprile 1967.

Héctor Scarone
(Montevideo, 26 novembre 1898 – Montevideo, 4 aprile 1967)

StagioneSquadraPres (Reti)
1916-1925 Nacional135 (115)
1926 Barcellona0 (0)
1926-1931 Nacional42 (31)
1931-1932 Ambrosiana-Inter14 (7)
1932-1934 Palermo56 (13)
1934-1936 Nacional15 (6)
1937 Wanderers (M)? (?)
1938-1939 Nacional0 (0)