Immortals: Renzo De Vecchi


Il figlio di Dio

Quel pomeriggio la bravura del terzino sinistro del Milan rasentava il soprannaturale: «Bravo Renzo!» gridò a squarciagola un celebre capotifoso di nome Bonfiglio. «Bravo, sei il figlio di Dio!». Da quel giorno, Renzo De Vecchi, nato a Milano il 3 febbraio 1894, ebbe quell’incredibile soprannome.

Figlio di una famiglia agiata, si era appassionato al pallone come mezzala sinistra in un piccolo club, il Minerva, da cui era entrato nel Milan praticamente bambino. «Papà» avrebbe raccontato poi «mi pagava le quote sociali e non perdeva una partita del Milan». L’esordio in prima squadra era stato precocissimo, due anni dopo, quando da poco aveva passato i quindici d’età e già della sua bravura si favoleggiava. Una volta, in una partita tra titolari e riserve, si era permesso di sradicare la sfera dai piedi di Herbert Kilpin, il vecchio capitano-fondatore, ogni qualvolta questi si accingeva al tiro; e ne aveva ricevuto in cambio un paio di robusti calci nelle terga, a duro ammonimento del rispetto dovuto ai colleghi anziani.

Spinto dalle sue prestazioni in rossonero, volò in Nazionale, stabilendo il giorno del debutto (26 maggio 1910, Ungheria-Italia 6-1) il primato assoluto di giovane età: 16 anni, 3 mesi e 23 giorni. Lui stesso avrebbe poi descritto il viaggio a Budapest come il ricordo più dolce della sua carriera: la mamma lo aveva accompagnato alla stazione per affidarlo ai dirigenti, poi era entrato in campo nella ripresa, calzando le scarpe normali, non trovandosi più quelle da calcio. Tempi di un football eroico, che De Vecchi, col suo fisico gracile e minuto, contribuì ad ammantare di leggendaria epopea. Dopo la sensazionale vittoria sui padroni di casa alle Olimpiadi di Anversa (3-2), Ettore Berrà lo cantò così:

«Stratega della difesa, aveva un piede fatato. Tutti i palloni finivano sul suo sinistro implacabile. Col gran naso al vento fiutava il pericolo come il nostromo fiuta ravvicinarsi del fortunale».

E un altro grande del tempo, Bruno Roghi, così ne narrava le gesta dopo una vittoria sulla Germania:

«Nel tumultuoso serrate della squadra tedesca, tutta forza, rudezza, ira, lo stile e la voce di De Vecchi sovrastavano la mischia. Un grande atleta e un impareggiabile incitatore».

Quel fisico esile che ancora oggi lo rimpicciolisce nelle sbiadite foto d’epoca, era in realtà uno strumento vigoroso ed elastico, pronto ad assecondarne ogni pretesa agonistica. Perfetto nel colpo di testa, rapinoso nell’anticipo, autoritario nei rilanci da vero regista difensivo, De Vecchi dopo quattro stagioni al Milan si trasferì al Genoa, nel 1913, per un ingaggio di 24 mila lire: un operaio guadagnava allora due-tre lire al giorno.

Potè così dare un senso al proprio albo d’oro, vincendo lo scudetto nel 1915 e, dopo l’interruzione bellica, nel 1923 e 1924. Chiuse a 35 anni, l’8 dicembre 1928, contro la Reggiana. In Nazionale aveva totalizzato 43 partite. Dopo, divenne autorevole commentatore per il “Calcio Illustrato”. È morto nel 1967.

Renzo De Vecchi
(Milano, 3 febbraio 1894 – Milano, 14 maggio 1967)

StagioneSquadraPres (Reti)
1909-1913 Milan64 (7)
1913-1929 Genoa269 (37)
Nazionale: 1910-1925 Italia 43 (0)