México ’70 segnò un capitolo cruciale nella storia del calcio inglese. La sconfitta contro la Germania Ovest non solo eliminò Albione dal torneo, ma ebbe ripercussioni profonde, sia sportive che sociali, negli anni a venire.
Il 1970 si presentava come l’anno della consacrazione per l’Inghilterra. Campioni del mondo in carica, una squadra rinnovata e talentuosa, un paese in fermento. L’aria era carica di aspettative, e la tecnologia prometteva di rendere questo Mondiale un’esperienza senza precedenti perché per la prima volta, il calcio sarebbe entrato nelle case degli inglesi a colori, trasformando il verde dei campi messicani in un palcoscenico vivido e reale.
“The World Beaters”
I “World Beaters”, come si facevano chiamare i giocatori della nazionale, avevano persino inciso un album intitolato “The World Beaters sing the World Beaters“. Sì, avete capito bene: calciatori che cantavano hit dei Beatles. Martin Peters, eroe della finale del ’66, si improvvisava cantante con “Ob-La-Di, Ob-La-Da”. Era più di un semplice torneo di calcio; era un fenomeno culturale.
La canzone “Back Home” risuonava ovunque, con quel ritornello che oggi suona quasi ironico: “We will meet with best like before, we’ll be put to the test, knowing we’ll give all we’ve got to give for the folks back home“. Il singolo, rilasciato ad aprile, aveva avuto un tale successo da ispirare l’intero album. Nessuno poteva immaginare quanto quella “prova” sarebbe stata dura.
L’atmosfera nel paese era simile a quella vissuta nelle fasi finali del Mondiale ’66. La febbre del calcio stava per contagiare nuovamente la nazione, ma questa volta con un tocco di modernità e esotismo, grazie alla promessa della TV a colori.

Il Gruppo della morte e il gioiello rubato
Ma prima ancora che il pallone rotolasse sui campi messicani, il dramma era già iniziato. Bobby Moore, il capitano, l’eroe, si trovò coinvolto in uno scandalo surreale. Accusato di aver rubato un braccialetto in Colombia durante un’amichevole pre-torneo, Moore rischiò di non partire nemmeno. “Jewellery gate“, lo chiamarono. Un presagio di sfortuna?
E come se non bastasse, l’Inghilterra si ritrovò nel “gruppo della morte”: Brasile, Romania e Cecoslovacchia, con quest’ultima che si era qualificata battendo la quotata Ungheria 4-1 in uno spareggio a Marsiglia. Un battesimo di fuoco per i campioni in carica, in quello che veniva considerato uno dei gruppi più difficili del Mondiale.
Colori vividi, speranze accese
Nonostante tutto, l’ottimismo regnava sovrano. La TV a colori prometteva di portare il Messico direttamente nei salotti inglesi. Il giallo canarino della maglia brasiliana, il verde intenso dei campi, il blu del cielo messicano: tutto sembrava più vivo, più reale. Era come se la tecnologia stessa volesse rendere omaggio alla grandezza del momento.
La squadra di Sir Alf Ramsey era cambiata, si era evoluta. Keith Newton e Terry Cooper erano i nuovi terzini, sostituendo George Cohen e Ray Wilson. Brian Labone aveva preso il posto di Jack Charlton in difesa. A centrocampo, Alan Mullery aveva sostituito Nobby Stiles come mediano difensivo, indossando persino la sua maglia numero 4.

In attacco, l’imbarazzo della scelta: Francis Lee, Peter Osgood (fresco vincitore della FA Cup con il Chelsea), Jeff Astle (che aveva segnato il gol vincente nella finale di FA Cup due anni prima) e Allan ‘Sniffer‘ Clarke. Un arsenale offensivo così ricco che Ramsey dovette lasciare fuori Martin Chivers, all’epoca l’acquisto più costoso del Tottenham.
Il Duello con il Brasile
Dopo una vittoria per 1-0 contro la Romania, con gol di Geoff Hurst, arrivò la partita che tutti aspettavano: Inghilterra–Brasile, partita passata alla storia soprattutto per la prodigiosa parata di Gordon Banks sul colpo di testa ravvicinato di Pelé e considerata una delle più grandi di sempre.
Nonostante la pressione verdeoro, reduci dal 4-1 alla Cecoslovacchia, la difesa inglese resse stoicamente, con Moore, Labone e Mullery a fare gli straordinari. L’Inghilterra ebbe la sua occasione migliore poco prima dell’intervallo: un cross di Wright trovò Lee smarcato in area, ma il suo colpo di testa finì dritto tra le braccia di Felix. Lo 0-0 del primo tempo rifletteva l’equilibrio in campo.

La svolta arrivò al 59′, quando Jairzinho sfruttò un’incertezza di Cooper per scaraventare il pallone sotto la traversa, segnando quello che sarebbe stato l’unico gol della partita. Ramsey tentò di reagire inserendo Bell e Astle per Charlton e Lee, ma fu proprio Astle a fallire clamorosamente il pareggio da posizione favorevole.
Il Brasile si impose per 1-0, confermandosi favorito per il titolo. Per l’Inghilterra fu una sconfitta onorevole che non compromise il passaggio ai quarti, ma che costrinse i campioni in carica al secondo posto nel girone.
Contro la Cecoslovacchia, l’Inghilterra si presentò con una maglia azzurro cielo, la divisa da trasferta ufficiale per il torneo. Sembrava una buona idea, fino a quando le telecamere non resero quasi impossibile distinguere le squadre, dato che i cechi giocavano in bianco. Un piccolo caos cromatico che, col senno di poi, sembra quasi simbolico della confusione che stava per abbattersi sulla squadra.

La partita si concluse con la vittoria dell’Inghilterra per 1-0. Un risultato che, unito agli altri del girone, assicurò agli inglesi il secondo posto nel gruppo, dietro al Brasile ma davanti a Cecoslovacchia e Romania.
Per i quarti di finale contro la Germania Ovest, si decise di tornare al rosso. Lo stesso colore della maglia indossata nella finale del ’66. Un segno del destino? Un tentativo di rievocare la magia di quattro anni prima?
La sfida di León
León, Messico. 1.815 metri sul livello del mare. Un caldo asfissiante. E una partita che iniziò come un sogno e finì come un incubo. Gordon Banks venne messo fuori gioco da un’intossicazione alimentare con Peter Bonetti, il portiere del Chelsea, informato solo all’ultimo momento sul pullman verso lo stadio. Ma nonostante tutto, la partita si mise sui binari giusti. Al 31°, arrivò il vantaggio: Alan Mullery, dopo una splendida azione corale iniziata a centrocampo, si inserì in area e concluse al volo un cross di Keith Newton. Era il primo gol in nazionale per Mullery, e non poteva scegliere momento migliore.

L’Inghilterra rientrò in campo determinata e al 49° raddoppiò. Ancora una volta fu Newton a crossare, questa volta per Martin Peters che insaccò da distanza ravvicinata. 2-0 e quarti di finale in pugno, o almeno così sembrava.
Perché al 68°, Franz Beckenbauer accorciò le distanze. Il “Kaiser” si fece spazio al limite dell’area e trafisse Bonetti con un tiro rasoterra.
Ramsey decise allora di sostituire Bobby Charlton, una mossa che sarà molto criticata in seguito. Ma l’Inghilterra non crollò, anzi. Nei minuti successivi, Colin Bell sfiorò il 3-1 in più occasioni e Geoff Hurst fu vicinissimo al gol con un colpo di testa.
Ma a 4 minuti dalla fine la Germania trovò il pareggio. Uwe Seeler segnò con un “bizzarro” colpo di testa all’indietro a scavalcare Bonetti. 2-2 e tutti ai supplementari, dove l’Inghilterra provò a reagire. Hurst e Labone confezionarono delle mezze occasioni, ma era evidente che la squadra stava accusando la fatica e il caldo.
E a 12 minuti dalla fine arrivò il colpo di grazia: Gerd Müller, soprannominato “Der Bomber”, si coordinò in una splendida rovesciata e fulminò Bonetti. Era il 3-2 finale. Game Over.

Le lacrime di una Nazione
La sconfitta contro la Germania Ovest a León segnò la fine del sogno inglese di México ’70. Più di una semplice eliminazione, rappresentò un punto di svolta nella storia del calcio inglese.
L’impatto della sconfitta si estese ben oltre il campo di calcio. Si dice che abbia contribuito alla sorprendente sconfitta elettorale di Harold Wilson nelle elezioni generali, appena quattro giorni dopo. Dal rettangolo verde alle urne, l’Inghilterra sembrava aver perso la sua magia.
Bobby Charlton, con la prospettiva di chi ha una medaglia d’oro del ’66 al collo, ha sempre sostenuto che la squadra del ’70 non fosse migliore di quella del ’66, semplicemente perché non aveva vinto. Un giudizio forse troppo severo, ma che riflette il peso delle aspettative e la delusione per l’opportunità mancata.
La sconfitta segnò l’inizio di un lungo periodo buio per il calcio inglese. L’Inghilterra non si qualificò per un grande torneo fino al 1980, e dovette attendere il 1982 per tornare a un Mondiale. Il divario con la Germania Ovest, che all’epoca aveva lo stesso numero di trofei internazionali dell’Inghilterra (un solo Mondiale ciascuna), diventerà enorme negli anni successivi.
México ’70 rimane così uno dei “e se” più grandi nella storia del calcio inglese. Forse, se avessero superato la Germania Ovest, gli inglesi avrebbero potuto battere l’Italia di Valcareggi in semifinale. E se fossero arrivati in finale, avrebbero potuto imparare dagli errori della fase a gironi per battere il Brasile e mantenere la corona, potenzialmente creando un’estate ancora più gloriosa ed emozionante di quella del ’66, all’alba di un nuovo mondo calcistico.
Ma questo rimane solo un sogno, un’ipotesi, un “what if” che continua a riecheggiare nella storia del calcio inglese. México ’70, con tutte le sue promesse e delusioni, resta scolpito nella memoria come uno dei momenti più agrodolci nella storia della nazionale dei Tre Leoni.