MARCO INNOCENTI: Quando il calcio ci piaceva più delle ragazze

Diciotto profili di personaggi, squadre ed eventi che hanno contraddistinto la storia calcistica degli anni sessanta


Sfoglio le pagine scritte da Marco Innocenti, dopo la lettura tutta d’un fiato. Un libro all’indice per chi non ama il calcio; caldamente raccomandato a chi ha da tempo immemore superato la maggiore età; consigliato a coloro che, amando il pallone, vogliono sapere qualcosa di più degli antenati del fubol. Scorrono pagine dense di nomi, personaggi: taluni hanno fatto la storia, altri la cronaca di quegli anni; altri ancora sono caduti nel dimenticatoio, dopo effimere celebrità che non hanno saputo o voluto reggere.
E’ come sfogliare un album di ricordi o (se l’autore giornalista e collega di testata ce lo consente), come rigirare le pagine dell’amatissimo album delle figurine che ha accompagnato la nostra adolescenza, legata indissolubilmente al bitorzoluto pallone di cuoio con tanto di lacci e di siringa da rigonfiare con la pompa della bicicletta. Innocenti ci prende subito alla gola, nell’introduzione: “…Sembra di riviverlo (quello sport, ndr), quando si declamavano le formazioni come versi di una poesia, si giocava a pallone fino a tarda sera, si dribblava il nulla in cortile, si tirava contro il muro, ci si dissetava alle fontanelle, si bucavano le scarpe, si segnavano le ginocchia…“.

Uno smisurato arcipelago di volti che ne richiamano altri, in un intreccio indissolubile tra sport, calcio, costume, politica. Da capitan Picchi, condottiero della mitica Inter di Moratti padre e di Helenio Herrera, con il sottofondo della colonna sonora di Michelle e dei Beatles fino alla storica Italia – Germania 4-3 ( proprio così, la citazione è d’obbligo con tanto di risultato annesso) del 17 giugno 1970 che chiude idealmente il decennio dei “favolosi” Anni Sessanta, l’incontro per eccellenza, per dirla con Gian Paolo Ormezzano, che come nessun altro “ha inciso così profondamente i pensieri e le credenze nazionali”.

Ebbene, in questo crogiolo intessuto con la sapienza di un cronista di razza, ciascuno si sente libero di puntare l’indice dove il cuore e la fantasia lo portano. Il mio si è fermato su Niccolai, di Santa Lucia di Lizzano, provincia di Potenza. Di professione stopper del Cagliari e della Nazionale ai Mondiali del 1970, di nome di battesimo Comunardo. Chi era costui? Perché mai soffermarsi proprio su un giocatore che manco ha l’onore del titolo di un capitolo, doverosamente dedicato al Cagliari campione d’Italia, a Rombo di Tuono Gigirriva, allenati dal gran fumatore e filosofo Scopigno?

Non c’è una spiegazione, forse per la simpatia istintiva che un ragazzo della provincia lombarda sentiva verso una squadra simbolo del riscatto della provincia italiana tutta, oltre che di un’isola, e forse per l’apparente vicinanza con un difensore salito alla ribalta delle cronache grazie alle sue spettacolari autoreti. Comunardo, a differenza di noi dell’oratorio, era tutt’altro che scarso e sempre si difese dicendo che il primato di autoreti toccava a Francesco Morini, arcigno difensore di casa Juve. Eppure, parlo a nome di tutti i brocchi dei campetti, quella figurina ha rappresentato il simbolo di qualcosa d’abbordabile, di uno che era riuscito a ricavarsi un posto tra i semidei del pallone.

“Quando il calcio ci piaceva più delle ragazze”, corredato da bellissime immagini in rigoroso bianco e nero, è un inno non tanto ai fab Anni Sessanta, quanto alla giovinezza senza confini e senza età che Innocenti ci racconta con la precisione dello storico e la passione di un ventenne. Attento al più piccolo dettaglio, perché l’album sia completo sino all’ultima figurina, da vero seguace della dea Eupalla.

C’è poi una ragione oggettiva che rende plausibile il ritorno alle gesta eroiche di quasi mezzo secolo fa. Quei due lustri hanno infatti trasformato la passione popolare del calcio, sempre esistita, in un fenomeno sociale che ha travalicato i confini del campo di casa per colorarsi delle insegne di altre città d’Italia e del mondo «per la prima volta sui nostri schermi tv», come si direbbe parafrasando la pubblicità cinematografica di allora. Il calcio diventa in quegli anni fenomeno planetario e nel nostro Paese è passione diffusa, agisce da contagio e si fa moda, costume.

Formidabili quegli anni per i talenti messi in mostra sui nostri campi, dal citato Picchi, ad Angelillo, da Rivera al paron Rocco a Schiaffino, da Sivori a Meroni, da Riva a Brera, da Carosio a Best sino a Pelè. Quanti campioni, quanti allenatori, quanti cantastorie, quante leggende, quante vite da copertina, quanti drammi e quanti onesti pedatori che ci facevano pensare che il sogno non era in fondo impossibile, come Comunardo Niccolai, di Santa Lucia di Lizzano, provincia di Potenza.

Perciò attendiamo fiduciosi il seguito sugli Anni Settanta. Guai a Innocenti se dimenticherà di inserire nella sua galleria Egidio Calloni, lo sciagurato Egidio di Gianni Brera, che passò alla storia per il numero incredibile di reti dissipate in maglia rossonera dinnanzi alla porta. Quell’epiteto, pesante come un macigno, Calloni lo visse anche con giusto fastidio. Per noi piedi storti era e resta un simbolo di un calcio popolare, anche se in realtà era e fu buon giocatore. A noi piaceva così: «Se Egidio, lo sciagurato, gioca in serie A, perché noi no?».

di Giuseppe Ceretti

Marco Innocenti
Quando il calcio ci piaceva più delle ragazze
Edizioni Mursia,
pp. 246