Intervista a Gaetano Scirea, aprile 1987

Di Maurizio Crosetti – Guerin Sportivo. Un’intervista rilasciata dall’indimenticato Gaetano nel suo ultimo anno da titolare alla Juventus


Un arcobaleno che duri più di un quarto d’ora, diceva Goethe, non lo guarda nessuno: lo straordinario della vita è un attimo diverso, è il fantastico. Ma esiste una purezza più alta e discreta, la semplicità, impegnativa perché fatta d’equilibrio, costanza, silenzio. Sono parole grosse che il calcio può permettersi raramente e che in fondo fanno paura: per questo è difficile intervistare Gaetano Scirea. Non dirà cose sensazionali, non si mostrerà diverso e apparirà comunque lontano dai nostri affanni.

Nessuno al mondo ha vinto tanto, mai: sette scudetti, una Coppa dei Campioni, due Coppe Italia, una Coppa Intercontinentale, un mondiale. Record assoluto di presenze nella Juve, 539, quindici anni di calcio sereno: potrebbe guardarci tutti dall’alto, c’è chi lo fa per molto meno, invece non dice, non esagera, soprattutto non cambia. Nella fedeltà a se stesso si rivela il personaggio, anzi la persona, che iniziò il viaggio dentro il calcio mostrando paure e sogni.

Arrivò a Torino e sembrava una vignetta senza parole, allenamenti veloci e via, dalla morosa. Decise di sposarla presto, Mariella, così diversa da lui, estroversa, piena di carica. Un pomeriggio Gaetano si presentò a Boniperti, glielo disse, il presidente fu persino sorpreso da tanta timidezza. Sapeva arrossire, Scirea, e gli succede ancora. Ora sta per tornare da Boniperti, devono parlare del futuro e una cosa è certa: dentro il campione bianconero si agiteranno le stesse passioni di quel giorno.

L’INTERVISTA. Qualcuno ha scritto che Scirea, ha già deciso di smettere. È falso. D’accordo, per la prima volta esiste questa possibilità, ma tutto dipende dall’incontro col presidente:
«Valuteremo insieme cosa sia più giusto, la Juventus è il mio punto di riferimento, non intendevo lasciarla, questa è l’unica certezza che ho».

Pur di restare juventino a vita, il libero bianconero accetterebbe anche la panchina:
«Proprio non mi vedo con un’altra maglia addosso, in questa società sono diventato un uomo. Soldà è molto bravo, i dirigenti fanno bene a dargli fiducia. Giuro, non so che fare. Per la prima volta nella mia carriera ho conosciuto incidenti gravi, la pubalgia e poi il tendine rotto, davvero un condensato di sofferenza. Di continuare me la sento e non me la sento, il contratto scade a giugno. Però sono tranquillo: la Juve è la mia casa, piuttosto di abbandonarla sarei davvero disposto a smettere».

È probabile che Boniperti chieda a Scirea di rimanere ancora per una stagione, magari a mezzo servizio. Poi inizierà la carriera di dirigente. Dice l’avvocato Agnelli: «Scirea è la bandiera, non lo lasceremo. Nella vita, l’immagine costruita attraverso il lavoro è tutto: il nostro libero è una persona seria, non è mai stato espulso, non ha mai rilasciato interviste clamorose. Guardate, fossi un arbitro e vedessi che atterrano Scirea in area e lui cade non avrei dubbi: assegnerei il rigore. Uno così non può mentire».

Questa è la garanzia, la promessa, il futuro oltre il calcio. Ma Scirea non è un ruffiano e riesce persino a non essere d’accordo con l’intervista che l’Avvocato ha recentemente concesso a un giornale milanese:
«Giovanni Agnelli ha detto che la Juventus è malata di vecchiaia e che Platini ha coperto per anni i guai degli altri. Con tutto il rispetto per l’Avvocato e per Michel, non condivido. La Juventus non è mai stata “il francese”, abbiamo vinto e perduto insieme, e non è vero che siamo vecchi. L’anno scorso la società ha cambiato parecchio, vincendo subito. L’ultima stagione non può far testo, sappiamo di aver perso troppo però meritiamo la controprova».

— L’Avvocato non va più allo stadio, dice che giocate malissimo: cosa provi?
«Lui è il nostro primo tifoso e vuole divertirsi, è logico. Però non deve abbandonarci: la squadra ha bisogno di tutti, di Agnelli come degli operai della curva Filadelfia. L’Avvocato ci ha sempre voluto bene, non può smettere adesso».

— A proposito dei tifosi: Marchesi non piace a nessuno.
«Contesto i contestatori. Siamo seri, in campo va la squadra, gli errori sono soltanto nostri».

— Torniamo all’Avvocato: critica, però sul mercato prende lezioni da Berlusconi. Che succede?
«Rush vale quanto Gullit e Van Basten se non di più, la Juventus lo ha acquistato da mesi… Vedo anch’io che i rossoneri sono scatenati, ma vorrei ricordarvi che non vincono nulla da una vita: logico che si diano da fare, sono stati pure in Serie B. Per l’Inter vale lo stesso discorso: prenderà anche Scifo, non discuto, ma da quanto tempo non conquista qualcosa d’importante?»

— Intanto la Juve è tagliata fuori da scudetto e coppa, era un po’ che non accadeva: perché?
«È una domanda che mi pongo ogni giorno. E non nascondo di provare un tremendo disagio. La risposta non esiste, è un insieme di spiegazioni: colpa degli infortuni, tutti gravi, della sfortuna, della poca attenzione in certe partite. L’anno scorso Platini calciava una punizione e la palla sbatteva sul sedere di Serena e finiva in rete. È successo nel derby. Adesso non entra neanche a morire. Non cerco scuse, abbiamo colpe precise: ma un anno può anche andare storto, dopo un mondiale ci succede sempre. La differenza tra la Juventus e le altre è semplice: noi ci riposiamo un po’ e rivinciamo subito, gli avversari impiegano secoli…».

— Anche il Napoli sarà una meteora?
«Me lo auguro proprio».

— Maradona…
«Ama un po’ troppo le sentenze, però è un marziano. Prende l’aereo e va in Giappone, gioca, magari torna in Argentina e segna, poi raggiunge il Napoli e incanta, ignora i fusi orari, ingrassa ma non lo fermi. Tremendo».

— Nelle sue imprese si specchia il declino di Platini: sii sincero, siamo alla frutta?
«No, vi sbagliate. Lancio a Michel un pubblico appello perché non abbandoni la Juventus: è ancora fantastico, lo sta dimostrando in questo finale di stagione».

— Qualcuno dice: la Juve si è lasciata sfuggire grandi campioni senza riuscire a sostituirli, si è fatta travolgere da un calcio nuovo e mercenario…
«Falso. Chi è andato via ha smesso oppure non ha vinto nulla. Mentre noi, a parte quest’anno, abbiamo continuato. Se il Re al Madrid non ci avesse eliminato in quel modo, adesso non staremmo a fare certi discorsi. Quella sera non giocavo, ero seduto dietro la porta e vidi una Juve grandissima».

— Dov’è finito il vostro proverbiale carattere? Furino non vi ha insegnato nulla? Perché lotta solo Manfredonia?
«La grinta è frutto dei risultati, anche se qualcuno è convinto del contrario».

— Da un Agnelli all’altro: il dottor Umberto ha chiesto ai tifosi tre anni di pazienza, dicendo che devono abituarsi a soffrire. Cos’è, una resa?
«Il calcio è imprevedibile, può smentire chiunque. Sono convinto che la Juve vi stupirà».

— Boniperti sta combattendo la battaglia per il terzo straniero: è davvero tutto giusto?
«Sapete come la penso: se dall’estero arrivano i fuoriclasse, benissimo. Infatti non ho mai visto un mostro come Platini. Ma se vengono acquistati giocatori normali, allora non sono d’accordo. Abbiamo importato un sacco di stranieri nè carne nè pesce che hanno tolto spazio ai giovani. Il calcio italiano è il più duro e i campioni veri sempre più rari. Dobbiamo stare attenti».

— Tu chi acquisteresti?
«Il migliore, a parte Rush, è Butragueno. Ma il Real non lo molla».

— Hai parlato dei giovani: fai qualche nome.
«Ho visto un campione, si chiama Ciro Ferrara. È il difensore di domani. Tra i centrocampisti il migliore mi sembra Magrin: sa stare in campo, ha un’ottima tecnica, tira punizioni terribili. Per quanto riguarda le punte, segnalo il nostro Buso: dategli tempo, sfonderà».

—- In una recente intervista, Gigi Riva ha detto che tu sei il simbolo del calcio italiano dopo il suo ritiro.
«E uno dei complimenti più belli di tutta la mia carriera. Ho esordito proprio contro di lui al Sant’Elia, era il ’72, neppure ci credevo».

— Tu che nome faresti?
«La nostra generazione ha avuto molti simboli: Zoff, Causio, Bettega, Sala, Gentile, Tardelli. Li ricordo tutti, non ce n’è uno più grande, sono tutti enormi».

— Hai considerato l’ipotesi di smettere: davvero non provi nessuna malinconia? La risposta è immediata:
«No, sarei un ingrato. Ho realizzato tutti i sogni che avevo da ragazzino, faccio un lavoro che mi rende felice: ogni mattina, quando salgo in macchina per andare all’allenamento mi sento soddisfatto, contento. Mio padre ha lavorato per 38 anni alla Pirelli, non c’era da stare allegri. Non ho mai avuto grossi infortuni e me lo sono ripetuto molte volte, quest’anno mentre soffrivo. Non è stato brutto perché ho pensato a tutte le mattine splendide che il calcio mi ha regalato, anzi il Signore. Perché io ci credo».

Bisogna essere felici o almeno provarci, dice Scirea con la sua disarmante e cristallina normalità. Non fosse altro che per dare l’esempio.

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