Gianluca Vialli, l’uomo-chiave del Mondiale azzurro. Predestinato a guidare l’Italia al titolo iridato, alla fine si ritrovò nei panni del grande sconfitto. Ma che accadde realmente a Italia ’90? È vero che fu diviso dal suo mentore Vicini da un lungo braccio di ferro?
Il Ct azzurro aveva costruito la Nazionale attorno a Vialli, che l’aveva ripagato con gli exploit prima degli Europei. Poi, il campione doriano era scivolato in un periodo di crisi, una crisi di crescita muscolare che ancora all’epoca dei Mondiali andava trasformandolo da agilissima seconda punta in centravanti peso massimo. Nella Samp, il partner Mancini risolveva ogni problema servendolo su misura; in Nazionale, non disponendo più di un partner altrettanto abile e non riuscendo a liberarsi al tiro con la leggerezza saettante di qualche tempo prima, compensava la ridotta pericolosità sotto rete con un imponente lavoro di ripiegamento in aiuto ai compagni. Evidenti pertanto le sue responsabilità per la sterilità azzurra, emersa nei mesi precedenti il Mondiale, così come obbligati i nomi dei due possibili antidoti: Schillaci e Baggio.
Da giocatore intelligente, Vialli aveva capito che l’eventuale esplosione dei due avrebbe potuto essergli fatale e mise le mani avanti. Il braccio di ferro tra il Ct e il suo bomber comincia il 15 giugno, all’indomani di Italia-Usa, la partita in cui Schillaci ha fatto il proprio ottimo esordio e il pubblico a lungo ha invocato Baggio: «Corriamo molto e segniamo poco?» spiega Luca ai cronisti; «è vero, ma è Vicini a farci giocare cosi. Se il Ct mi chiedesse di fare l’attaccante puro alla Van Basten, lo farei. Mi chiede di muovermi, di svariare e io eseguo, con soddisfazione». Come dire: è inutile pensare a Baggio, eventualmente il miglior partner di Schillaci sono io.
Anche Vicini parla a nuora (i cronisti) perché suocera (Vialli) intenda: «Chi di voi ha visto giocare Baggio negli ultimi sei mesi? E chi l’ha visto giocare bene? L’ho già dimostrato in altri momenti: Baggio lo rispetto più io, tenendolo fuori, che voi, invocandone il lancio immediato, attribuendogli un ‘insostenibile funzione miracolistica». Anziché tranquillizzarsi, Vialli sente puzza di bruciato. Da sabato 16, data di questa dichiarazione, a lunedì 18, vigilia di Italia-Cecoslovacchia, qualcosa accade. Probabilmente, un chiarimento tra Ct e giocatore. Al termine del quale, quest’ultimo si ritrova fuori squadra. Entrano Schillaci e Baggio, nonostante la pubblica bocciatura di quest’ultimo. Vicini dribbla le polemiche adducendo un malanno a una coscia di Vialli (sui cui dettagli non si saprà mai nulla di certo).
La partita va benissimo e Vicini, il giorno dopo, si arrabbia di brutto quando un cronista chiama in causa la fortuna, che gli ha servito su un piatto d’argento la coppia-gol ideale: «Eh, no, io questa coppia l’ho scelta fra i sei eccellenti attaccanti a disposizione. Se avessimo perso, avrei meritato le critiche. Ora non pretendo elogi, ma non è neppure giusto dire che l’abbia decisa il caso». Una sorta di indiretta conferma del carattere diplomatico del malanno di Vialli. Ma Baggio, come mai è stato “riabilitato” dopo la stroncatura? «A Baggio l’avevo preannunciato da quattro giorni, che avrebbe giocato, ma con una consegna precisa: guai a te se lo racconti in giro, non deve saperlo neppure tua moglie», risponde il Ct riuscendo a rimanere serio. Poco più in là, Baggio smentisce coi cronisti: «L’ho saputo prima? Si, all’annuncio ufficiale della formazione». L’Italia ha trovato la coppia-gol, la conferma con l’Uruguay appare scontata.
Descritto come un malato immaginario, il 22 giugno, a tre giorni dal nuovo impegno, Vialli sbotta: «Vi prego di credermi, sono un uomo completamente felice, non un giocatore distrutto. E certi giudizi medici li prendo con beneficio d’inventario». L’Italia passa il turno. Il 27 giugno, tre giorni prima dei quarti di finale (Italia-Eire), Vialli esce allo scoperto: il malanno non c’è più, cita John Belushi: «Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare». Trasparente il riferimento a Baggio, con destinatario Vicini. Proprio quel giorno, però, il Luca nazionale si prende una tracheite con febbre, ed è costretto a letto. Recupera per la partita, ma il Ct ha buon gioco a mandarlo in panchina. Nuova vittoria.
La vigilia di Italia-Argentina il braccio di ferro arriva al diapason e Vicini comincia a temere che una sconfitta potrebbe scatenare Vialli coi cronisti. In più, pensa che contro la coriacea Argentina, in ambiente forse ostile, un “duro” non farebbe male alla squadra. Così, dopo lunga meditazione, decide di giubilare Baggio. Intercettato all’uscita dall’hotel Vesuvio sul lungomare di Napoli, nel primo pomeriggio, un membro dello staff federale si lascia sfuggire con alcuni cronisti: «Per l’Argentina si cambia. Arriva una grossa novità». I presenti capiscono che si tratta di Vialli. Il sogno mondiale comincia a svanire.
Dopo la sconfitta, il 6 luglio, alla vigilia di Italia-Inghilterra, il giocatore si scaglia contro Vicini: «Sono amareggiato. Ho capito che servivo solo quando c’era bisogno di un mulo o di qualcuno che si snaturasse. Mi è stato chiesto di sacrificarmi e io mi sono sacrificato, come prima di me si era sacrificato Carnevale. Ho accettato pur nella consapevolezza di andare incontro a una brutta figura, perchè nel gioco di questa Nazionale uno dei due attaccanti deve sacrificarsi per il compagno. Risultato: ho perso morale e posto. Peccato, perchè altri giocatori hanno avuto la possibilità di giocare in modo diverso e di mettere in mostra il meglio del loro repertorio».
Due anni dopo, a Vicini ormai silurato, rincarerà la dose: «Purtroppo a Italia ’90 ero sicuro che non avremmo vinto, perché non avevamo un gioco. Finché è durata la freschezza fisica le iniziative dei singoli ci hanno portato avanti, ma quando è subentrata la stanchezza ci siamo trovati nell’incapacità di far correre la palla. Con l’Argentina siamo usciti ai rigori, ma la partita l’avevano vinta loro tatticamente. Mi è rimasto un cruccio: a me e Carnevale veniva richiesto un lavoro che fu risparmiato a Baggio e Schillaci. E infatti loro, liberi di fare gli attaccanti e basta, segnarono, mentre noi, che dovevamo partecipare al gioco della squadra, non ne eravamo capaci».
Ecco la soluzione del giallo: esisteva un dissidio tecnico-tattico tra Vialli e il Ct. Il primo vinse il braccio di ferro, ma ne scapitò la Nazionale, che perse in semifinale. Infatti, se il resto della squadra funzionava benissimo con Schillaci e Baggio, perché Vicini avrebbe dovuto chiedere a Vialli un lavoro diverso da quello dei due attaccanti vincenti?