Italia 90 e quell’infortunio misterioso

Perché Vicini rispolverò Vialli contro l’Argentina quando la coppia Baggio-Schillaci ci aveva condotto fino alla semifinale?

È un Mondiale, edizione 1990, che gli azzurri affrontano da padroni di casa e dunque con il «dovere» di vincerlo: come era accaduto proprio a noi nel ’34, agli inglesi nel ’66, ai tedeschi nel ’74, agli argentini nel ’78… Probabilmente pochi fanno caso all’incompleto sviluppo della squadra con la quale Vicini aveva debuttato, qualificandosi e concludendo al quarto posto l’Europeo dell’88: uno sviluppo che resterà sostanzialmente incompleto fino al ’91, anno della mancata qualificazione all’Europeo del ’92 e della sostituzione del Ct sulla panchina azzurra. L’euforia organizzativa è tale da far ritenere eccelsa e forte una Nazionale appena passabile, composta a mosaico con gli uomini ai quali gli stranieri hanno lasciato i posti liberi nelle grandi squadre.

Sono i fuoriclasse stranieri a creare il boom italiano nelle coppe europee: la critica di bocca buona fa finta di equivocare, pretendendo da Vicini anche il boom azzurro. Roberto Baggio è già in campo, ma non ha ancora capito se è centrocampista, regista, rifinitore o punta: la sua straordinaria versatilità tecnica minaccia di trasformarsi in un boomerang, esponendolo — ancora immaturo, anche come personalità — ad incredibili escursioni fra i vari ruoli della squadra, in Nazionale e nella Fiorentina.

Nelle stime dei più, l’Eroe ’90 è lui, deve essere lui: Gianluca Vialli, l’attaccante più esperto, più atleta, più forte, più cannoniere di tutti. Ma nel ritiro di Marino, a quattro giorni dal debutto con l’Austria, si avverte un sinistro segnale. Nel senso che al polpaccio mancino Vialli avverte un sempre più fastidioso dolore. Non c’è contusione, un’ecografia dà esito negativo e i medici assicurano: stanchezza, nient’altro, passerà. Non si tenta di stabilire alcuna relazione fra le dolenzie muscolari dell’attaccante sampdoriano e la possente muscolatura “schwarzeneggeriana”, che gli si è andata da qualche tempo disegnando.

Alcuni titoli della Gazzetta dello Sport nei giorni del Mondiale

Vialli gioca con l’Austria, senza incantare: segna Schillaci. Va peggio la partita dopo, contro gli Usa, vinta ancora con un golletto, stavolta di Giannini: Gianluca sbaglia un rigore e forse trema quando Vicini inserisce Schillaci, ma è Carnevale — incavolatissimo — a uscire. Il giorno dopo scoppia, immancabile, il caso. Vialli è il più gettonato dagli intervistatori durante l’ora d’aria nel ritiro di Marino. E non c’è microfono, telecamera, taccuino, cui abbia forza di dire no. Parla, parla molto Vialli, forse perché sente che qualcosa non gira e vuole attivarsi, sondare, prevenire. Come sempre, non dice banalità. Vialli è uno che parla solo quando ha qualcosa da dire. E stavolta ce l’ha. Per esempio:

«Corriamo molto, ma segnamo poco. Non ci divertiamo, certo. Ma questo è il nostro gioco. Se Vicini mi chiedesse di fare la punta alla Butragueno, alla Van Basten, io mi sforzerei di farlo. Ma lui mi dice di correre, di muovermi, di svariare ed io eseguo. Obbedisco e son contento. Chiaro?».

Chiarissimo, ripensando alla centralità di cui Vialli dispone nella Sampdoria, immaginando un Vialli centravanti non solo di maglia ma anche di posizione con Donadoni da un lato e Mancini dall’altro.

«Giochiamo con una sola punta e due mezze punte laterali. A volte la punta sono io, a volte è Carnevale».

La panchina azzurra nel match contro la Cecoslovacchia: Vierchowod, Carnevale, Vialli e Mancini

Questo è il problema, e questo è il messaggio. Ma una fonte genovese, anzi sampdoriana, che segue da anni la squadra azzurra e conosce profondamente Vialli, di cui è estimatore e amico, avverte: «Mette le mani avanti per parare non tanto Carnevale, quanto l’arrivo di Baggio invocato da gran parte della critica». Si, perché Vicini non ha ancora preso in considerazione Baggio ed anzi reagisce con insolita durezza a una anticipazione della “Gazzetta dello Sport”, che sabato 16 giugno annuncia che Baggio debutterà nella terza partita contro la Cecoslovacchia. Quello stesso giorno, letti i giornali, Vicini sbotta:

«A tutti coloro che invocano Baggio, che io naturalmente stimo molto più di questi ultimi, direi soltanto: negli ultimi sei mesi quante volte avete visto giocare Baggio? E se lo avete visto, che opinione ve ne siete fatta? Io ammiro Baggio e lo stimo, ma penso di essergli più amico di quanti vorrebbero mandarlo allo sbaraglio. Questo can-can dei giornali serve solo a montare storie che non esistono».

Azeglio fa questa sparatina sabato 16 giugno, ma lunedì 18 si rimangia tutto e annuncia che all’indomani, contro i ceki, saranno in campo fin dal primo minuto Baggio e Schillaci. È un voltafaccia a 180 gradi, che cosa è successo? I suiveurs della Nazionale, quella scena, se la ricorderanno per quanto campano. Vicini spiega:

«L’assenza di Vialli è forzata, mi pesa molto. Sapete che lo considero fondamentale anche quando non è al cento per cento. Ma ha accusato un dolorino alla coscia destra l’altro ieri. Pensavo che fosse cosa di poco conto, ma fino a stamane non ci sono stati miglioramenti. Il ragazzo non se l’è assolutamente sentita e nessuno ha voluto forzarlo».

Ci mancherebbe. Carnevale, meno ingombrante come popolarità, viene fatto fuori senza dolorini. Chiarisce il tecnico azzurro:

«La sua assenza è un fatto puramente tecnico. È andato bene, ma vorremmo una manovra un po’ più veloce. Con Schillaci accanto a Baggio possiamo permettercela».

Chi ha dato la soffiata alla “Gazzetta” è anche lo stesso esponente dello stato maggiore federale che stava insistendo con l’infastidito Vicini per il lancio del neo-juventino Baggio? La domanda è inevitabile. Ma Vicini la previene confidando:

«Baggio sapeva già da due o tre giorni che avrebbe giocato contro i ceki».

Dunque, non è detto che l’indiscrezione possa essere sfuggita solo a un superiore di Vicini, che magari voleva anche forzarlo dinanzi all’opinione pubblica: potrebbe aver parlato anche un subalterno, cioè Baggio o qualcuno del suo nuovo entourage bianconero. Ma è anche questa una versione con le gambe corte, anzi cortissime. Baggio smentisce subito Vicini:

«Quando ho saputo di giocare? Adesso, con l’annuncio ufficiale della formazione».

I cronisti gli contestano la versione data dal tecnico e allora Baggio tenta di metterci una pezza:

«Forse il signor Vicini ha cercato di farmelo capire nei giorni scorsi, ma io non me ne sono accorto».

Complimenti. La storia azzurra ritrova con un guizzo le grottesche marachelle di una volta.

E Vialli? Ha perduto di colpo l’aria di chi rivendica ruoli e manda messaggi. È scuro in volto, visibilmente avvilito. Conferma la versione dell’infortunio:

«Mi fa male qui, sotto la coscia destra, Sì, già da un paio di giorni. Come giudico i sostituti? Io non giudico nessuno. Quelli che sono qui, sono tutti grandi giocatori. L’Italia arriverà agli ottavi di finale comunque, con o senza di me. Questo è l’importante».

Com’è vero che dietro ogni farsa c’è un dramma. Quanta amara diplomazia, povero Gianluca, sempre sfortunato quando si tratta di grandi appuntamenti. Pena per lui ancora maggiore, perché con Baggio e Schillaci cominciano le notti magiche. Altro ritmo, altra musica. Due gol ai cechi, due all’Uruguay per superare gli ottavi di finale. Nei quarti ci aspetta l’Irlanda. Il Mondiale si è scaldato, gli italiani impazziscono dinanzi alla tivvù e Vialli non si rassegna all’idea di fare tappezzeria per la festa degli altri.

Dall’hotel Helio Cabala, stupendo quartier generale degli azzurri a Marino, escono spifferi di discussioni molto aspre e battibecchi piuttosto frequenti. Ma c’è una nuova, insolita eleganza nel portare avanti polemiche giocate come partite a scacchi. Uno stilista in materia è proprio Vialli, che una mattina, dopo un allenamento particolarmente riuscito, si cala nei panni di John Belushi e fa:

«Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Dai quarti in poi ci sono partite durissime e serve gente con le palle. Tutti dicono che alla Nazionale manca solo Vialli: se è così, io sono pronto. In fondo converrebbe a tutti che io giocassi, visto che quando va male è colpa mia».

Vicini tiene duro ancora contro l’Irlanda, poi per la semifinale con l’Argentina a Napoli si arrende. Forse la ragion «politica» che aveva consigliato l’«infortunio» di Vialli è la stessa che ora consiglia di «guarirlo» per la sfida più importante, più sentita, più «drogata» dalla spettacolare coincidenza di Maradona avversario dell’Italia nella «sua» Napoli.

Troppo rischioso affrontarla con la mina vagante di un «caso Vialli» pronta a scoppiare, con la miccia già accesa. I vaffa di Carnevale, i bronci di Ancelotti son poca cosa: se Vialli spara, dopo un’eventuale sconfitta, sono guai seri con l’opinione pubblica e con la critica.

La vigilia passa nell’atmosfera misteriosa di un surreale black-out. Vicini non dà la formazione. A poche ore dal fischio d’inizio, la sorpresa: gioca Vialli al posto di Baggio. È un flop. Fuori da clima, schemi e passo, Vialli deve restituire il posto a Baggio, a un quarto d’ora dalla fine. Caniggia pareggia il gol di Schillaci e con i rigori veniamo esclusi dalla finale. Saremo terzi, a spese degli inglesi, nella finalina di Bari.

E chiuderemo portandoci dietro per molti anni il mistero sull’infortunio di Vialli — certi giornali parlavano di coscia destra, altri di polpaccio sinistro e altri di polpaccio destro — e su come, quando e perché Vicini cambiò idea su Roberto Baggio. Repentinamente, in quarantotto ore.