ITALO ALLODI – settembre 1976

Intervista Guerin Sportivo, settembre 1976

Allodi fa il punto del neonato progetto di Coverciano: «Era l’unico sistema per rilanciare il calcio italiano se si vogliono raccogliere i frutti bisogna preparare prima di tutto gli istruttori. E’ il maestro che forma l’allievo».


TORINO – Italo Allodi come Franco Maria Malfatti. Ha fatto la riforma della scuola. E forse la sua è stata più difficile, perché ha riportato sui banchi gli allenatori, ovvero i maestri. La riforma Allodi, contrariamente a quella di Malfatti, non ha ricevuto critiche. Tutti gli hanno detto bravo e tutti hanno scritto che finalmente l’università di Coverciano è diventata una cosa seria. Non si limiterà più a consegnare diplomi.

«Era l’unico sistema per rilanciare il calcio italiano – spiega – se si vogliono raccogliere i frutti bisogna preparare prima di tutto gli istruttori. E’ il maestro che forma l’allievo».

– Ma i frutti arriveranno?
«Io penso di sì, ma naturalmente non bisogna aver fretta, la mia è stata una programmazione proiettata nel tempo. E io dico che ì frutti arriveranno proprio dal settore giovanile».

– Hai fiducia nei nostri giovani hippies?
«Come talento naturale non ci batte nessuno, ma vediamo che chi ha talento non ha fondo. Occorre quindi un allenatore, che lo completi, che gli dia il fondo».

– Gianni Brera sostiene che la nostra razza ha complessi di inferiorità che sono atavici.
«Secondo me invece questo discorso non è più valido da quando è finita la guerra, è arrivato il boom e anche il figlio dell’operaio ha potuto nutrirsi con bistecche e vitamine».

– C’è anche chi dice che i nostri giovani non hanno la mentalità degli sportivi.
«E questo può essere vero. Ho letto proprio l’altro giorno un intervista di Ferruccio Valcareggi che è sempre un uomo dì buon senso. Faceva notare che mentre lui alla sua età va sempre a giocare a tennis ì suoi figli preferiscono giocare a carte».

– A proposito: perché in campo internazionale si vince meno che ai tempi della tua Inter?
«Perché l’Inter non era soltanto dì Moratti di Herrera e del sottoscritto. In quell’Inter c’erano anche grandi campioni, a cominciare da Suarez, da Jair, da Peirò, e non bisogna dimenticare i vari Angelillo, Maschio, Szmaniak».

– Sono tutti stranieri …
«Appunto, gli stranieri ci aiutavano a vincere, come ci avevano aiutato nel 1934 a diventare campioni del mondo. L’Inter che vinceva era anche l’Inter degli stranieri. E c’erano stranieri anche nell’Ajax della favolosa Olanda, come ci sono stranieri nei Borussia della Germania Campione del Mondo».

-Sei quindi per la riapertura delle frontiere?
«Io adesso sono dall’altra parte della barricata e come direttore del Settore Tecnico devo cercare di risolvere il problema in maniera autarchica, però non si possono disconoscere certi dati dì fatto».

– Vuoi far studiare gli allenatori per almeno due anni, li vuoi mandare all’estero, hai intenzione di invitare a Coverciano i «mostri sacri» di un tempo. Lo fai per dimostrare che il calcio è davvero cambiato?
«Cambia il mondo, cambia, la società, è logico che cambi anche il calcio. Guai se non ci fosse l’evoluzione. Ma io voglio invitare a Coverciano i più grandi tecnici del passato perché così gli allenatori delle nuove leve possono prendere conoscenza anche degli schemi di una volta».

– Rocco ha già detto che non viene: considera un’offesa il tema che gli hai scelto, non si considera il padre del catenaccio.
«Forse Rocco non ha capito quello che intendevo dire o forse quello che ha detto lui è stato male interpretato. Nel mio invito non c’era alcuna offesa».

– Rocco ha detto anche che è assurdo affidare la direzione del corso allenatori a uno che al massimo è stato «secondo» di Fabbri al Mantova.
«Io al Mantova ero direttore generale e in più facevo il secondo a Fabbri. In tre anni abbiamo vinto tre campionati, segno che qualcosa l’abbiamo fatto».

– Ma Rocco …
«Senti, io non voglio polemizzare con Rocco, anche perché ho grande stima di lui. Devo solo far notare che il suo discorso non regge».

– Perché?
«Perché è come dire che il direttore di un’azienda, poniamo la Fiat, dovrebbe aver fatto, che so, il tornitore. Un ragionamento del genere non sta in piedi».

– Forse Rocco ce l’ha perché dopo Valcareggi non gli hai offerto la Nazionale…
«Io non gli ho mai offerto niente e lui sa benissimo che se non è stato scelto lui come successore di Valcareggi non è dipeso da me».

– Carraro gli aveva promesso che l’avrebbe portato a Monaco, poi gli è stato detto che il suo posto era stato preso da Alfredo Casati, tuo segretario.
«Casati a Monaco è venuto come turista e lo non so se Rocco sarebbe venuto in Germania come turista. Eppoi se parla così per quella faccenda, significa che ha del risentimento, quindi non può essere obiettivo, non parliamone più».

– Ma questa polemica ti scoccia o no?
«Non capisco perché il «panni» non perde occasione dì tirarmi le frecciatine mentre per me lui è stato un grande allenatore».

– Parli al passato …
«Certo, perché uno a 64 anni non può pretendere di andare sul campo, però, uno che ha 64 anni e ha accumulato una grande esperienza può mettere al servizio degli altri questa sua esperienza».

– Secondo te…
«Nel calcio Italiano ci deve essere posto per tutti questi “mostri sacri” perché hanno un patrimonio di esperienza da trasmettere. Eppoi perché ho sempre sostenuto che anche il grande allenatore della Juventus, del Torino, del Milan e persino della Nazionale ha qualcosa da imparare, che so, dall’allenatore del Pontassieve».

– Nel calcio…
«Non solo nel calcio ma anche nella vita c’è sempre da imparare da tutti. Si impara nel grande stadio, come nel prato e persino nel cortile. Purché ci sia la buona volontà».

– E’ vero che volevi portare a Coverciano anche Valcareggi?
«Era stato Valcareggi a telefonarmi, ci siamo visti e lo gli ho detto quello che è poi apparso sui giornali: e cioè che per un uomo come Valcareggi un posto a Coverciano ci sarebbe sempre stato. Non dimentichiamo che, dopo Pozzo, Valcareggi è quello che ha vinto più di tutti».

– Poi però ha preferito il Verona …
«Segno appunto che nel calcio c’è posto per tutti».

– Ora gli ex giocatori vogliono entrare nella stanza dei bottoni: Rivera, Riva, Mazzola. Come giudichi questo atteggiamento, positivo o negativo?
«Io ti dico che l’impressione migliore l’ho ricavata da un recente colloquio con Bulgarelli che è entrato nel Bologna in punta di piedi. Ho visto che è lieto di portare nel Consiglio la sua esperienza come è lieto di far sua l’esperienza degli altri, che sono più abituati di lui ad amministrare».

– In altre parole, dici che i calciatori come dirigenti devono fare la gavetta invece di fare il golpe,
«Certo, e su questo sono d’accordo con Rocco: prima di prendere gli applausi si deve dimostrare di valere».

– Finora…
«I grandi giocatori non sono mai diventati dei grandi allenatori e nemmeno dei grandi dirigenti, con la sola eccezione del nostro amico Boniperti».

– E quindi secondo te…?
«La via giusta è quella seguita da Bulgarelli. Nel colloquio che abbiamo avuto ne ho ricavato l’impressione che ha le idee chiare e soprattutto tanta buona volontà. E sono certo che Bulgarelli sarà ancora utile non solo al Bologna ma anche al calcio italiano».

– Tornando ai «mostri sacri», non ti fa tenerezza un Edmondo Fabbri in Serie B?
«Io a Fabbri sono molto affezionato e posso dire che nessuno è stato più sfortunato di lui. Ha pagato per colpe non sue».

– Alludi alla Corea?
«Guarda, l’altro giorno ho avuto modo di rivedere il filmato della famosa partita decisa dal meccanico dentista Pak Doo Yk e mi sono divertito a contare le occasioni da gol mancate dagli italiani».

– Quante ne hai contate?
«Sessantasette. Sarebbe bastato realizzarne due e Fabbri si sarebbe salvato. Purtroppo il calcio è fatto così. Una palla sbatte sul palo e rimbalza in rete, sei un fenomeno, la stessa palla piglia il palo e va fuori, sei un coglione».

– Quello che conta è il risultato …
«E io con il senno di poi, e quindi a mente fredda, ti posso assicurare che a Stoccarda è mancato solo il risultato. Tutto il resto era stato perfetto».

– Ma la Polonia …
«E senza tema di smentite posso dire che con la Polonia abbiamo perso proprio la partita che non meritavamo di perdere».

– Sei pentito di non aver accettato la Nazionale che Franchi ti aveva offerto al ritorno in Italia?
«No, allora ero coinvolto anch’io nella spedizione, quindi dovevo essere considerato colpevole come gli altri».

– Però…
«Ora mi dedico alla scuola degli allenatori (e sono più che mai convinto che si debba seguire l’esempio dell’Est) però spero proprio che un giorno tornino a offrirmi la Nazionale, perché non nego che la Nazionale è il mio sogno e resta in cima ai miei pensieri».

– Se l’Italia non dovesse andare in Argentina…
«II mio augurio è che l’Italia batta l’Inghilterra e come Valcareggi sarei disposto a pagare di tasca mia per realizzare questo traguardo, perché anch’io sono tifoso della Nazionale».

– Però egoisticamente…
«Come tifoso mi auguro che tutto vada bene e non ci sia mai bisogno di me. Ma come Italo Allodi spero davvero di poter realizzare un giorno quello che non mi è stato possibile realizzare a Stoccarda».

– Tu un tempo eri considerato il «re del mercato». Come giudichi il mercato di oggi, quello che dal Gallia si è spostato all’Hilton e poi al Leonardo da Vinci?
«Per me non è cambiato assolutamente niente. Già il mercato del Gallia era una vetrina come è adesso. Le società sagge gli affari migliori li facevano prima, non aspettavano di andare a farli al Gallia».

– Qual’è il tuo giudizio sull’avvocato Campana e l’Associazione Calciatori?
«L’avvocato Campana è un uomo preparato e soprattutto una persona per bene. Il suo apporto è stato decisamente positivo. Sedendosi a un tavolo con il presidente dell’associazione Calciatori un accordo si trova sempre. Perché pure lui ha a cuore le sorti del calcio italiano».

– Tu hai seguito le varie riforme della presidenza Pasquale. Si pensava che fossero il toccasana per le nostre società, ora si dice invece che Pasquale ha sbagliato tutto. Tu che ne pensi?
«Io dico che per giudicare i vantaggi e gli svantaggi delle SpA bisogna essere degli esperti: fiscalisti, commercialisti, e uomini di legge, non mi considero un esperto e lascio ad altri il giudizio. Posso dire però una cosa: il dottor Giuseppe Pasquale ha sempre agito con la convinzione di fare l’interesse del calcio italiano».

– Come amministratore di se stesso …
«Ma indipendentemente dalla sua posizione personale, cioè dal crack, sono certo che ha sempre agito in buona fede. E non credo che abbia tratto particolari vantaggi dalla sua posizione calcistica».

– Negli ultimi anni è cambiato anche il giornalismo sportivo: come giudichi questa metamorfosi?
«Anche il giornalismo si è adeguato ai tempi, come era logico. Oggi non si potrebbe più scrivere un articolo limitandosi a dire: forza Italia! Oggi è necessaria un’analisi critica della partita e tutto questo io lo giudico positivo».

– Però…
«Questa critica deve essere fatta da persone competenti e d’esperienza. Oggi si dà la penna in mano a un ragazzino di venti anni che non sa né di calcio né di giornalismo, lo si manda negli spogliatoi e quello fa scoppiare una rissa».

– Quindi…
«Non diamo le bombe in mano a gente che non sa nemmeno di avere una bomba, potrebbe sfasciarsi tutto».

– Anche dal giornalismo sono spariti i «mostri sacri»: Ghirelli, Palumbo, Panza, Zanetti e ora Gismondi. E’ stata una grave perdita, secondo te?
«Io dico che questi personaggi hanno fatto molto per il calcio italiano, per le società che ho amministrato e anche per me personalmente e ritengo che anche nel mondo del giornalismo dovrebbe esserci posto per tutti come nel calcio».

– Invece adesso i giornalisti si bruciano come gli allenatori.
«E per chi è stato al vertice di un giornale, non è poi facile inserirsi. E quello che capita agli allenatori. Chi accetta volentieri come segretario quello che è stato un allenatore? Si ha paura nel giornalismo, così come si ha paura nel calcio».

– Ma è giusto?
«Per quello che mi riguarda non ho mai avuto paura di nessuno e ho sempre pensato che nel mondo c’è posto per tutti».
– Potresti trovare un posto anche a Rocco.
«Perché ritengo che Rocco possa essere ancora utile al calcio italiano».

– Facendo l’addetto stampa della Triestina?
«Anche venendo a Coverciano a spiegare ai giovani cosa è stato il famigerato catenaccio!».