FRAIZZOLI Ivanoe: l’ultimo Ambrosiano

Ebbe il coraggio di succedere a Moratti. Presidente dal maggio ’68 ricostruì la squadra che aveva vinto in Europa e nel mondo. Da presidente ha vinto due scudetti (’71 e ’80), due Coppe Italia (’78 e ’82), un Mundialito (’81). Nel ’72, l’Inter arrivò alla finale di Coppa dei campioni.


Fraizzoli e Milano, un ambrosiano doc col cuore nerazzurro. Fisicamente, nei toni della voce, nel faccione, nella bonomia, e’ stato l’ultimo presidente dell’Inter davvero ambrosiano: piu’ tipicamente milanese di Angelo Moratti e dello stesso Claudio Rinaldo Masseroni, massiccio e sempre armato di sigaro, il presidente di Skoglund, di Nyers e di Wilkes. Non aveva quarti di nobilta’ industriale, nè l’aureola del self – made man che dal nulla crea un straripante portafoglio, che dalla valigetta di rappresentante, come Moratti, arriva a un impero del petrolio. Anche in questo, assomigliava allo sterminato popolo della fabbrichetta, della bottega che è la ricchezza della città. Faceva e vendeva giacche e livree per i camerieri delle grandi famiglie.

Fraizzoli con l’amatissima moglie Renata

Niente che, prima dell’Inter, avrebbe potuto accendere i riflettori su lui e sulla moglie Renata. Milanesissimamente, la chiamava “Nana” e diceva “la Nana valeva dieci volte la mia situaziun”, dove “situaziun” stava per beni al sole. Quando l’aveva incontrata alla Famiglia Meneghina, il luogo della milanesità borghese, e le si era presentato: “Permette, Ivanoe Fraizzoli”, lei era scoppiata a ridere per quel nome alla Walter Scott. Lui raccontava che aveva spento quella risata inebriandola con un valzer perchè “de bala’ seri propri bravo”.

Anche Moratti era “bravo” a ballare, da ragazzo era soprannominato “il samba”. E Moratti, che aveva un sesto senso per entrare e uscire dalle “cose” al momento giusto, gli cedette l’Inter nel maggio ’68. I tempi, che preannunciavano tempeste sociali, e l’eredita’ morattiana, così carica di trionfi e carismatica anche nel mattatorismo di Herrera “taca la bala”, sembravano destinare quel signore alla graticola del tifo da una parte e dell’ esposizione sociale dall’altra.

Ci voleva un grande coraggio per subentrare, e a Ivanoe Fraizzoli questo coraggio non mancò. Per un uomo come lui, devotamente attaccato alla famiglia e al lavoro, si trattò anche di un atto d’amore verso la squadra per la quale aveva sempre tifato. Ivanoe amava esibire un tesserino comprovante la sua passata militanza nel settore giovanile nerazzurro: “… dopo qualche partita mi dissero di cambiare mestiere” confessò una volta, forse per nascondere la sua giustificata soddisfazione.

Come detto, non era di poco conto la responsabilità che Fraizzoli si era preso: già l’anno prima la squadra, giudicata ormai sazia di vittorie, era stata rivoluzionata ma senza risultati apprezzabili. Ora si trattava di ricostruire l’ambiente e di ricominciare a vincere. Herrera fu rimpiazzato con Foni, Allodi con Manni e, nel giro di due anni, arrivarono Bertini, Giubertoni, Lido Vieri, Frustalupi, Boninsegna, Jair (che era stato un anno alla Roma), Pellizzaro; il vivaio fornì Bellugi, Oriali e Bordon, in panchina Heriberto Herrera subentrò a Foni e venne a sua volta sostituito da Invernizzi: Fraizzoli vinse così lo scudetto 1971, uno dei più entusiasmanti nella storia dell’Inter, anche perchè ottenuto (come già nel 1964/65) con un inebriante sorpasso sul Milan.

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Fraizzoli con Mazzola e Prisco

Quell’Inter era una signora squadra, che l’anno seguente arrivò alla finale di Coppa dei Campioni. Si giocò a Rotterdam contro l’Ajax, e l’Inter dovette inchinarsi a due prodezze di Cruijff, marcato da un giovanissimo Oriali, dopo che sullo 0-0 Boninsegna colpì un palo con un violento tiro da lontano. Una squadra che avrebbe anche potuto riaprire un ciclo, ma gli anni seguenti furono solo di lungo e costante declino, che videro prima il provvisorio ritorno di Helenio Herrera, poi un anno con Suarez e due con Chiappella, con risultati non andavano al di là del piazzamento Uefa.

Fraizzoli cominciò allora un’intelligente e mirata opera di rifondazione, affidandosi al duo Mazzola (ritiratosi al termine della stagione 1976/77) – Beltrami (giovanissimo manager proveniente dal Como) e programmando in tre anni uno scudetto che puntualmente arrivò nel ’79-’80: era l’Inter di Beccalossi e di Altobelli, nella quale Marini, Bordon e Oriali erano ormai dei veterani. Tutti comandati dal sergente di ferro Eugenio Bersellini in panchina.

Dopo il Mondiale di Spagna, Fraizzoli si trovò a fare i conti con le nuove leggi sul trasferimento dei giocatori, perse due giocatori importanti (Oriali e Bordon) e ne fu molto amareggiato: forse in quel momento cominciò a pensare di lasciare la presidenza ma, come era nel suo carattere, volle preparare con cura la successione.

Per iniziare chiamò nel Consiglio Ernesto Pellegrini e lo fece vicepresidente. Era un periodo molto combattuto, si trattava di decidere una volta per tutte di staccare il cordone ombelicale e come ricorda lo stesso Ivanoe, tutto cominciò con l’ insonnia: “Continuavo a rigirarmi nel letto, la Renata una notte mi disse: Ivan, basta, vendi l’Inter, così torneremo a vivere“.

Era l’autunno ’83: Ivanoe Vittorio Fraizzoli, ex pugile (peso medio, si allenava alla palestra “Bosisio”) e ciclista mancato, diede ragione a sua moglie, tifosa dell’Inter come e più di lui, e decise che era venuto davvero il tempo dell’addio. Chiamò Ernesto Pellegrini, allora vice – presidente, che per lettera gli aveva manifestato la propria disponibilità a succedergli e l’operazione venne chiusa. A tempo di record e in gran segreto. Finchè il 15 gennaio ’84, la domenica di Sampdoria Inter 0-2, nello spogliatoio deserto di “Marassi”, chiamò Mazzola e Beltrami, consigliere delegato e d.s. nerazzurri e confessò : “Ragazzi, ho venduto l’Inter“.

La notizia uscì tre giorni dopo e, il 19 gennaio, Fraizzoli spiegò il suo addio: “Con il cuore non si possono più dirigere le società; questo calcio non lo riconosco più. Io sono un uomo d’altri tempi. Il mio calcio era quello di via Goldoni, una serie di traumi mi hanno spinto a lasciare, l’ultimo questa estate, quando Bordon e Oriali, due figli per me, se ne sono andati alla Samp e alla Fiorentina. Io mi sento un De Amicis, ma i De Amicis che vogliono scrivere il libro “Cuore” con le squadre di calcio sono fuori moda“. Scoppiò in lacrime e lasciò.

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IL GIORNO DELL’ADDIO: Fraizzoli tra Mazzola, Pellegrini e Prisco

A suggerire l’uscita non era la preoccupazione di dover moltiplicare il proprio impegno economico (Fraizzoli non aveva mai avuto di questi problemi), ma la certezza che il calcio dei suoi sogni, quello che lo aveva spinto a prendere la tessera dell’Ambrosiana l’1 agosto 1931 e a voler bene soltanto all’Inter, stava diventando un pericoloso gioco di miliardi.

Lui invece considerava il folber una passione fortissima, ma pur sempre un passatempo. All’inglese. Era stato l’uomo più felice del mondo, quella domenica 2 maggio 1971, il giorno del suo cinquantacinquesimo compleanno, quando l’Inter si assicurò l’undicesimo scudetto (poi bissato nell’80), ma quella era un’emozione da vivere con il giusto distacco. Il bilancio in ordine era il suo chiodo fisso, perchè “non so nemmeno che cosa sia una cambiale e i debiti non si fanno neppure nel calcio“.

Per rispetto del bilancio, non aveva esitato a rinunciare ad alcuni giocatori importanti, magari già presi: Anastasi, Tardelli, Ancelotti, Paolo Rossi, Diaz erano tutti scappati via, per un dettaglio, per un impegno non mantenuto (dagli altri), per una sfumatura. Diversa era stata la storia con Platini, preso da Mazzola e Beltrami nel ’78 (leggi qui per approfondire), dopochè Franchi aveva assicurato che le frontiere sarebbero state riaperte immediatamente e poi finito alla Juve quattro anni dopo, per una serie di incomprensioni.

Diventato presidente onorario, Ivan seguì l’Inter con lo stesso affetto, a volte anche in trasferta; comunque a S. Siro non mancava mai: in tribuna d’ onore i coniugi Fraizzoli erano una istituzione. Negli ultimi tempi Ivan si faceva sorreggere fino al suo posto. Malandato com’era, non voleva rinunciare alla sua Inter. Un presidente all’ antica, un gentiluomo corretto e leale, un amico, un imprenditore che si era messo al servizio del suo ideale sportivo; sinceramente nerazzurro fin da bambino, era diventato socio dell’Inter il 10 ottobre 1948 insieme a sua moglie Renata.


Le Testimonianze e i ricordi di chi gli ha voluto bene

Il 6 ottobre 1945 il giovane Ivanoe Fraizzoli, al ballo della Famiglia Meneghina, conobbe una bella ragazza vestita di verde. Si chiamava Renata. Se ne innamorò ballando “Brasil”. Un anno più tardi la portò a un Inter-Napoli che fini 3-2. Pioveva sulla neve, lui sperava che lei dicesse: “Non verrò mai più allo stadio”. Invece non ne sarebbe più uscita. Renata, ragazza bene dell’aristocrazia milanese dei tessuti, s’innamorò del calcio. Pochi mesi dopo quell’Inter-Napoli, Ivanoe e Renata si sposavano. Il 18-5-68, lui diventava presidente dell’ Inter, lei, per sempre, Lady Renata, la “presidentessa”.

Raccontavano: L’Inter è il nostro hobby“. E’ stato di più: il figlio che non hanno potuto avere; per 16 anni lo hanno seguito con un amore profondo, totale. Quando nel gennaio ’84, in un locale di Brera, Fraizzoli spiegò la volontà di passare la mano, a tutti venne d’istinto la stessa domanda: “E Lady Renata?” Fraizzoli rispose: “E’ stata lei a convincermi. Ogni notte mi rigiravo nel letto, senza prendere sonno. Mi ha detto: “Non si può andare avanti così. Vendi, almeno dormirò anch’io“. A pesargli sullo stomaco, più che l’Inter, era il calcio nuovo in cui faticava a specchiarsi. “Ho sempre fatto tutto col cuore, oggi non basta più. Lo so, nel calcio bisogna passare sopra i cadaveri, ma io non ne sono capace“.

Fu onesto fino in fondo, anche nel bilancio: “Bilancio misero: 2 scudetti in 16 anni. Pochi. Ma il mio bilancio morale è ottimo“. Non è poco, anche se al momento di entrare in carica, i propositi erano stati altri: emulare i risultati della Grande Inter. Il giorno che Angelo Moratti, in un ristorante milanese, lo elesse suo successore davanti alla dirigenza interista: “Ecco il mio delfino“, si narra che l’Ivanoe inciampò in una simpatica gaffe: “Ma a me non piace il pesce…“. Tre anni dopo (campionato ’70-71), Fraizzoli dava all’ Inter l’11° scudetto.

Quello di Giovanni Invernizzi, che ricordava: “Mi chiamò per sostituire Heriberto. Mi aveva proposto la prima squadra anche l’anno prima, ma io stavo bene nelle giovanili. Mi diede una garanzia scritta: comunque fossi andato, sarei tornato dai miei ragazzi. Invece vincemmo lo scudetto e l’anno dopo arrivammo fino alla finale di coppa Campioni. Sentirlo dire che era lo “scopritore di Invernizzi”, che mi paragonava a Boniperti per come scoprivo i giovani, vederlo così felice per quello scudetto è stata la mia gioia. Mi disse: “Invernizzi, lei resterà a vita da noi“.

Lady Renata fraizzoli con Corso - vignetta di Marino
Lady Renata e Corso in una vignetta dell’epoca

In quell’Inter campione d’Italia ’70-71, Roberto Boninsegna segnò 24 gol, fu capocannoniere e trascinatore. “Il presidente Fraizzoli mi fece anche troppi complimenti, sembrava che fossi l’unico artefice dello scudetto… E’ vero invece che io gli devo tutto. Helenio Herrera mi aveva bocciato e scaricato a Cagliari, se sono rimasto all’Inter e ci ho passato 7 anni è tutto merito suo. Ma più del presidente, oggi ricordo un padre che tutti i sabato pomeriggio saliva alla Pinetina con la signora Renata, seguiva la messa con noi e ci parlava“.

In prima fila negli affetti di Ivanoe Fraizzoli c’era anche Mariolino Corso. “Sono stato al matrimonio di due soli miei giocatori – disse una volta Fraizzoli -: Corso e Bellugi“. Corso ricorda: “Una persona onesta e affettuosa, la gioia per lo scudetto e la sua amarezza quando Herrera decise di mandarmi via“. Quell’Inter ’70-71, l’Inter di Vieri-Burgnich-Facchetti, di Bertini, primo acquisto della sua gestione, di Boninsegna-Mazzola-Corso, è stata la vera Inter di Fraizzoli.
L’ho sentita più mia – spiegò un giorno l’Ivanoe -. L’altra mia Inter scudettata nell’80 è stata, in gran parte, opera di Mazzola e Beltrami“. Quando nel ’77 Sandro Mazzola smise di giocare, Fraizzoli lo coinvolse immediatamente nella dirigenza. Lady Renata, al capolinea dell’era Fraizzoli, confessò : “Chi ricordo con più affetto? Io tutti, mio marito: Mazzola“.

Mazzola e Fraizzoli

Che riconosce: “Gli devo molto: a 35 anni ha avuto il coraggio di affidarmi la gestione e la ristrutturazione completa della società. Lasciò un calcio che non era più il suo. Il suo ultimo budget prevedeva 3 miliardi per tutti gli ingaggi. Era rigidissimo nel bilancio: non si poteva sgarrare di una riga. Mi sembrava una forzatura. Invece era giusto così“.

Nel sangue gli scorrevano i conti di bottega, l’oculatezza di imprenditore lombardo. Al fianco di Mazzola, nel cantiere che edificò l’Inter il dodicesimo scudetto, quello di Eugenio Bersellini, agiva Giancarlo Beltrami. “Lo conobbi quando ero al Como e stavo per vendergli Tardelli. L’affare saltò solo perchè, dopo le amarezze legate all’acquisto di Libera dal Varese, Fraizzoli pensò di dimettersi e diede via libera alla Juve. Ci ripensò, grazie anche alle insistenze di sua moglie, e mi chiamò all’Inter. Quando gli proposi Altobelli dal Brescia, mi disse: “Beltrami, deve capire che lei ora è all’Inter, una grande squadra”. Non era abituato a pescare nelle categorie inferiori, voleva il nome bell’e fatto. Gli dissi: “Presidente, forse Altobelli non è da Inter ora, ma noi abbiamo un piano triennale per arrivare allo scudetto”. Ci arrivammo“.

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Beltrami e Fraizzoli

Falcão? Un mese avanti e indietro a Roma, con un aereo privato, io e Mazzola. Alla fine era tutto fatto: era libero da contratti. Solo che Falcão, per troppo entusiasmo, non tenne il segreto e a Roma si mossero. Evangelisti, che era molto vicino ad Andreotti, telefonò a Fraizzoli: “E’ vero che lei sta aprendo negozi in via Veneto?” Il presidente chiese il parere della moglie, decisissima: “Io me ne frego, mi tengo il mio Falcão e la domenica ci divertiamo”. Fraizzoli scoppiò a piangere: “Anche tu…” Cercava comprensione. “Ma io sono vecchio…” Alla fine anche la signora si arrese alla situazione e si decise di rinunciare“.

Nel calcio di oggi, dove i contratti firmati valgono poco e i giocatori pretendono tutto, il ricordo della onestà di Fraizzoli mette nostalgia. Aveva una sola parola, e la rispettava fino al paradosso, come quando i carabinieri, in una situazione di pericolo, gli dissero: “La seguiremo, non dica niente a nessuno”. Non lo disse neppure alla sua scorta, che a momenti sparò alla macchina civetta dei carabinieri…

Era un uomo d’ altri tempi. Finito per caso nel calcio della legge 91. Un giorno confessò : “Non ho ancora superato il trauma della partenza di Oriali e Bordon, partiti per qualche soldo in più“.
Bordon: “Ci furono delle incomprensioni, ma Fraizzoli capiva che il calcio stava cambiando. Lo ricordo con affetto e riconoscenza: fu lui a comunicarmi il passaggio in prima squadra e a propormi il primo contratto, con queste parole: “Da oggi fai parte della nostra famiglia“.
Oriali: “Per Fraizzoli e la signora Renata sono stato una specie di figlio adottivo. Mi ha guidato nel calcio e nella vita. Avevo bisogno di soldi da ragazzo e mi faceva “arrotondare” come commesso nel suo negozio in via De Amicis. Non è stato facile spiegargli perchè me ne andavo a Firenze dopo 17 anni di Inter“.


Intervista di Oliviero Beha
La Repubblica, 8 giugno 1984

I MIEI GIORNI DI PRESIDENTE IN UN CALCIO CHE RIMPIANGO

Leggo l’azzurro cartoncino un po’ sbiadito. Ma c’è un errore, lei non si chiama Ivanoe?
Sì, c’è scritto invece Ivanos…ebbè, a tutti capita di sbagliare. Anche adesso che ho chiuso la mia presidenza all’ Inter, dopo quasi 17 anni, non è andata del tutto come volevo, mi sarebbe piaciuto annunciare l’abdicazione per bene, adesso alla fine della stagione, invece la stampa l’ha saputo, io non sono capace di mentire, ho dovuto confermare che passavo la mano a Pellegrini. Chissà come ha fatto la Gazzetta a saperlo, son dei diavoli…“.

Lui diavolo, invece, non è. Si è fatto da solo, ha una nota ditta di confezioni, l’aria simpatica del brumista, venature da Tecoppa, un galantomismo ambrosiano che innamora. Vuole raccontare questi tre lustri di Inter, senza reticenze o quasi. Vorrebbe cominciare da molto più indietro, tuffandosi nel passato, in amnesie, leggeri anacoluti, robusti cambi di voce. In qualche modo, arriviamo fino ai nostri giorni.

– Perchè ha ceduto l’Inter?
Le potrei dire che sono vecchio, oppure che ormai la materia la sta spuntando sullo spirito, e questo non mi piace“.
– Cioè?
E’ cambiato tutto, fuori e dentro il calcio. Lo sa che sono stato minacciato tre volte in questi anni? Delinquenti, delinquenti… E allora devo fare attenzione, e non è più vita, non sono un uomo libero… un giubbetto antiproiettile che pesa 11 kg, l’ho fatto pesare in ditta, è pesante eh! E l’arma? Pensi, girare armato, se ripenso a com’era Milano una volta, adesso, tutta l’Italia è uguale… mi è persino caduta in casa, l’arma, e ha sparato contro il muro… uno spavento“.
– Ma allora lei è proprio ricco, dottore! E’ dottore, vero?
Sì, economia e commercio, è stata dura ma la laurea l’ho presa. E quando posso leggo sempre, credo al miglioramento culturale dell’individuo… purtroppo mia moglie, Renata, ha un unico difetto, che non mi fa leggere a letto perchè le dà fastidio la lampadina… bah! Ricco? Ma no, non sono Agnelli e nemmeno Pellegrini. Sto nei miei limiti, devo far di conto. Io, per esempio, Rummenigge non l’avrei preso“.
– A no, eh…
“Non così, a stretto termine. Doverlo comprare per forza ha fatto salire la cifra, e se si faceva male, prima dell’estate, chi pagava? L’Inter! No, no, vede che vogliono venir tutti in Italia a guadagnare, bisognerebbe essere più oculati”.
– Lei è savio, ma inguaribilmente commerciante. E’ questo che le han sempre rimproverato, di non avere spirito imprenditoriale, di non rischiare: e il tifoso vuole i grossi colpi, l’Inter non è l’ Ascoli.
“Ognuno è come è, distinguiamo i tipi di presidenti e i tipi di tifosi. I presidenti sono di tre tipi: quelli che lo fanno solo per guadagnare, quelli che lo fanno per problemi di immagine e quelli che lo fanno per megalomania. Anzi, di quattro tipi: io l’ho fatto per passione”.
– Pellegrini di che tipo è?
“Direi del secondo, vuole investire bene i soldi nell’immagine, ma è pure appassionato”.
– E Farina?
“Del primo, del primo. Non ci rimette mai”.
– E a proposito dei rapporti tra presidenti e tifosi, degli ultras che la ricattavano che cosa dice?
“Niente, è troppo rischioso parlarne. Le dico solo che come me ricattano anche altri presidenti; e giornalisti, sa? Negheranno, per prudenza, ma è così”.

– Torniamo all’Inter, a Pellegrini. Il suo successore ha voluto fare il colpo, per i tifosi; ma dieci miliardi per Rummenigge sono sempre una cifra…
“Sì, m’aveva detto che doveva fare il colpo a tutti i costi. Ma non m’ha detto dieci miliardi, meno, meno: vuole che le racconti un episodio di Moratti e di Suarez? Moratti comprò Suarez dal Barcellona, per 230 milioni. Sui giornali si lesse 350. Gli dissi: Angelo, ma la cifra è sbagliata! Mi rispose: meglio, fa più figura. Per dirle che sui giornali non esce una, dico una cifra giusta del calcio-mercato, o in più, e si sta zitti perchè fa figura, o in meno, e si sta zitti perchè si dica “hai visto che affare”. Anche oggi è così, pur con le cifre cresciute in modo spropositato. Lo sa che l’Inter incassa un miliardo e più per i contributi Totocalcio? Fino a pochi anni fa ne incassava un venticinquesimo…”.
– Quanto ha pagato l’Inter a Moratti?
“Duecentocinquanta milioni, nel ’67”.
– E da Pellegrini ha avuto? Quattro miliardi, cinque?
“Meno, meno, poco più di tre. Ma guardi che io ci ho rimesso, se facciamo i conti di quel che ho investito poi, e le fidejussioni… no, no, le assicuro che ci ho rimesso”.
– Niente “nero”, vero? Pellegrini sarà stato incredulo…
“Niente, praticamente niente, con la finanza sono a posto. Per dirle che dal calcio non ho guadagnato sotto nessun profilo, le dirò che non ho nemmeno chiamato ditta Fraizzoli la ditta Prada, di mia moglie, per non avvantaggiarmene, mi sembrava giusto che ognuna restasse col suo nome”.
– Lei ha una fama di onestà cristallina, gliel’hanno rimproverato quasi come un difetto, almeno nel calcio…
“Anche la retorica dell’onestà… a Milano diciamo “denari e santità metà della metà”… Guardi, nel mio lavoro quando ho potuto ho sempre rinunciato a dar bustarelle, solo a mali estremi… Eppure le dirò che ho anche conosciuto gente onesta, nella pubblica amministrazione e fuori… Nel calcio sono sempre stato limpido, corretto, mi son detto: Ivanoe, senza acca, eh, Ivanoe, questo è un hobby, una passione, a maggior ragione coricati ogni sera con la coscienza a posto. Devo anche confessare che non sono mai stato indotto in tentazione: non so come avrei reagito, sinceramente, se prima della finale di Coppa Campioni Inter-Ajax mi avessero proposto… Beh, ognuno ha i suoi sistemi”.
– Quali erano quelli di Moratti?
“Altri tempi… comunque ci sapeva fare. Eppure il mio modello di presidente non è stato lui, per quanto bravo, è stato Boniperti, un uomo in gamba, tenace… Eh, Agnelli se li sa scegliere, un giocatore di valore e un gran presidente, che ha vinto tanto. Non sarà una cima culturalmente, ma tenace è tenace… Un po’ ipocrita, ma perchè è piemontese, sa il proverbio, falso e cortese…”.
– E degli altri presidenti che ne pensa?
“Ce ne sono per tutti i gusti, anche secondo il galateo. Un galantuomo come l’ex del Como, Cassina, e altri che… ma non è bello fare i nomi”.
– Lei ha vinto poco, nonostante la sua longevità presidenziale, non c’è paragone con la Juve di Boniperti. Perchè?
“Sa, una squadra ha dei cicli, io sono stato sfortunato, poi le ho detto che non ho usato metodi non raccontabili, la Juve ha una tradizione, una potenza, sì una potenza meglio che un potere, che ha funzionato più della nostra”.
– Dice ambientalmente, arbitri, campagne-acquisti eccetera?
“Ma sì, è quella la potenza. Però due scudetti li ho vinti anch’io, le Coppe Italia, la finale di Coppa Campioni… e la lattina di Mönchengladbach… contro il Borussia. Imponemmo il diritto, per la lattina in testa a Boninsegna, anche se la lattina che Mazzola diede all’arbitro non era quella perchè quella vera Netzer l’aveva buttata nel settore più vicino, che era quello per gli handicappati, che la ritirarono su in tribuna verso di noi e… ma era piena, dura anche quella vera, eh, infatti perse Coca Cola per aria e per questo…”.
– Torniamo agli arbitri. Sorteggio?
“Macchè: arbitri professionisti. E gli arbitri sarebbero tutti d’accordo a esser pagati con bei milioncini, solo che non lo confessano per non fare cattiva figura e perchè tanto i loro capi non lo permetterebbero, e sa perchè, perchè loro non arbitrano più, resterebbero senza… e poi la moviola: Vogliamo dirlo che la moviola così è una turlupinazione? Vengono scelte dai montatori certe immagini e certe no, a discrezione. E questo non va, è già di parte”.

– Lei nelle campagne acquisti ne ha fatte di tutti i colori…
“Sono stato sfortunato, o non mi sono capito con chi doveva svolgerle. Quando Moratti ha lasciato, ha chiamato Allodi e gli ha detto davanti a me: fai la campagna per il nuovo presidente. E lui, che ho visto arrivare dalle province, ragazzino, fa: e i soldi? Ecco qua, e gli firmo un assegno di 100 milioni, per comprare Albertosi. E’ colpa mia se poi comprò Bonfanti? Comunque all’Inter han sempre chiesto il doppio che agli altri. Mi ricordo di un Bellabio del Monza, passato da 90 a 180 milioni per me… E poi i buoni affari li ho fatti anch’io: diedi via Domenghini per Boninsegna, mi spiego? Poi volevo far l’incontrario con Anastasi, dando via Boninsegna, e lì invece presi la fregatura… Certo, ho fatto i miei errori: dovevo prendere Chiarugi, e mi sbagliai e non lo presi. Mazzola mi disse “prendiamo Bruno Conti”, molti anni fa, e tentennai… ma sono anche stato sfortunato: Platini era mio, poi ha avuto gli infortuni, l’ho lasciato, Hansi Müller invece me l’avevano dato per sano, chi poteva immaginare… “.
– E Tardelli?
“Che grande rimpianto: ma nessuno sa che il giorno in cui Cassina e Beltrami, del Como, me lo dovevano cedere erano seduti qui, sul divano, io avevo dato le mie dimissioni dall’Inter, era il ’74 o ’75, sì, le mostro la lettera, avevo affidato l’Inter a Carraro, allora presidente della Lega, per delle puttanate che mi avevano fatto, la faccenda Scala, Libera, il Varese, il Milan…”.
– Libera, un grande affare.
“Viene Scopigno e mi fa: è il nuovo Riva. Lo sa che solo dopo abbiamo scoperto la vera storia? Era un giocatore, sì, ma di carte. Andava tutte le sere in un baretto vicino ad Appiano Gentile, saliva su una scala a chiocciola e arrivava in una stanzetta col tavolo, quattro sedie e un minuscolo divano. Giocava tutta la notte, poi per non farsi veder uscire si stendeva per storto sul divano. Il mattino andava ad allenarsi con i muscoli di sasso, e il medico non capiva… ah, i calciatori. Una volta uno, famoso, famosissimo, non mi giocò con la blenorragia? Gli dissi: ma benedetto figliolo, potevi andarci il lunedì, e almeno dimmelo… Macchè, per i premi scendono in campo con una gamba… E anche i medici, bisognerebbe parlarne. Ormai nelle società sono importanti come nessun altro, prima erano un’aggiunta, e a volte succedono cose incomprensibili… Girano troppi soldi”.
– Perchè ha cacciato Marchesi?
“Perchè fumava il sigaro negli spogliatoi, ed è vietato… E’ un esempio, per dirle che è il principio. Io per il modo di comportarsi cacciai via Bellugi, a quel tempo in Nazionale… E poi gli chiedevo spesso: Marchesi, teniamo Beccalossi, Müller, nessuno o tutti e due? E lui: con calma, vedremo. E non si decideva mai. E allora al Mundialito l’abbiamo cacciato. Ma sa, qui nessuno decide perchè è tutta una partita di giro, son d’accordo tra loro, tecnici, manager, giocatori, tanto poi si ritrovano per cui nessuno decide davvero se può evitarlo… Però Radice mi piaceva”.
– E l’affare Collovati? Due miliardi per la metà, nemmeno Zico costa tanto…
“Non dica così, avevamo venduto Serena, Canuti e Pasinato, poi Farina non li ha voluti, lui incassa e basta e mi ha fregato perchè ho dovuto rinunciare a Schachner, già nostro, per tenermi Serena…”.
– Non le è mai venuto il dubbio che il duo Mazzola-Beltrami abbia preso qualche cantonata, così, senza volere?
“Oh, lo so che dicono cose tremende di loro… Ma Mazzola, Sandrino, è un figlio, io non ne ho avuti, guai se dovessi pensare che… e Beltrami, effettivamente… ma no, se me lo ha consigliato Mazzola, dunque… E Müller, il medico, Bonazzi…”.
– Benazzi…
“E’ lo stesso, diceva che stava bene… Certo, con Falcão… era nostro, le faccio vedere il contratto, me lo aveva portato Sandrino… solo che telefonai a Viola e… Non posso dir di più”.
– E forza…
“Mi chiese se mi rendevo conto dei rischi cui andavo incontro, e così preferii lasciar perdere… Sono stato sfortunato… E tradito da chi avevo cresciuto, come Oriali e Bordon: pensi, lasciare l’Inter per qualche milione in più, l’Inter… Che tempi, ragazzi che maneggiano denari in quantità a diciott’anni, io a quell’età lavoravo e studiavo… Pedalare, ohp… E poi le accuse, dopo aver vinto l’ultimo scudetto pulitissimo nell’anno del calcio-scommesse, la storia di Genoa-Inter, il magistrato… ma come, se i genoani li ho visti abbracciarsi dopo i gol del pari, rotolati per terra, e poi bisogna comprare il portiere per aggiustare la partita, no?, e il nostro Bordon, le giuro, era innocente… E dopo i fatti di Groningen… Trattato come un delinquente… e poi questo giro delle scommesse clandestine… Che dice lei, non saranno queste che… mah! Io ho lasciato, adesso se la vedano gli altri, che mondo, altro che lo spirito!”.

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