Justin Fashanu: quando il coraggio non basta

Penso che abbia, anzi che abbiamo creato una situazione in cui lui sia stato isolato. Non credo che noi avessimo accettato il fatto che lui fosse gay. E quando dico “noi” sto probabilmente cercando di difendermi dal dire “io”. (John Fashanu, in un’intervista dopo il suicidio del fratello).

Non voglio dare altri motivi di imbarazzo ai miei amici ed alla mia famiglia […] Spero che il Gesù che amo mi accolga e che io possa infine trovare la pace… (Justin Fashanu, nel biglietto trovato sul suo corpo).

Justin Fashanu nasce il 19 febbraio 1961 nella zona est di Londra dalla guyanese Pearl e dal nigeriano Patrick. Quando i suoi genitori divorziano Justin, assieme al fratello John (di un anno più giovane), viene collocato in un orfanotrofio facente riferimento ad un’associazione caritatevole inglese. In un secondo momento i due fratelli, che all’epoca hanno rispettivamente 6 e 5 anni, vengono affidati ad una famiglia della middle-class inglese residente nel Norfolk che li adotta e li cresce. Il piccolo Justin ha iniziato a tirare i primi calci al pallone sin da quando può reggersi in piedi e le sue qualità di attaccante lo segnalano all’attenzione del Norwich City, che lo tessera prima nella squadra giovanile e nel 1978 gli fa firmare il primo contratto professionista. Poco dopo, all’inizio del 1979, Fashanu fa il suo esordio in campionato, conquistandosi il posto da titolare a suon di gol.

Nel 1980 la sua carriera raggiunge l’apice. Nella partita vinta contro il Liverpool segna infatti una rete spettacolare, che a fine stagione gli varrà il premio assegnato dalla BBC per il gol dell’anno. Il gol ai Reds, insieme agli altri 39 segnati nelle 103 presenze con la maglia dei Canaries, porta definitivamente il suo nome alla ribalta nazionale, tanto che l’estate successiva Brian Clough decide di portarlo al Nottingham Forest sborsando una cifra record. Fashanu diventa infatti il primo giocatore di colore ad essere pagato un milione di sterline e, scherzo del destino, al Forest si trova ad ereditare la maglia numero 9 di quel Trevor Francis che due anni prima era stato il primo giocatore inglese a superare tale spesa.

Le contemporanee apparizioni di “Fash” nella nazionale inglese Under 21 fanno presagire una scintillante carriera per l’attaccante le cui orme il fratello John sta nel frattempo seguendo con la maglia del Norwich ma proprio dal trasferimento a Nottingham prende avvio l’inizio della fine.
I rapporti con il tecnico s’incrinano infatti ben presto, in parte per il magro rendimento dell’attaccante ed in parte a causa delle voci che aleggiano sulla vita privata di Justin. Nonostante sia fidanzato con una ragazza, infatti, la sua frequentazione di locali notturni per omosessuali non manca di suscitare l’attenzione dei pettegoli media britannici, ed anche il suo allenatore sembra poco entusiasta, per usare un eufemismo, dell’immagine offerta dal giovane bomber. Il fatto che sia stato il primo a spendere 1 milione di sterline per un giocatore di colore non vuol dire che Clough sia immune da pregiudizi, e lo dimostra attaccando senza mezzi termini quello che definisce esplicitamente un “fottuto finocchio”.

Le aspettative per la definitiva esplosione della sua carriera sarebbero già sufficienti a mettere sotto pressione un giovane di vent’anni, la pesante atmosfera causata dal ‘gossip’ sulla sua vita privata rappresenta un ulteriore ostacolo di cui Fashanu farebbe volentieri a meno. Le sue prestazioni sul campo non possono che risentirne ed i soli 3 gol segnati in 32 presenze non sono certo un buon modo per indurre Clough a cambiare opinione. Il tutto senza dimenticare il razzismo di molte tifoserie, che, oltre ai beceri cori di rito, giungono al punto di lanciare banane in campo quale ultimo gesto di sberleffo.

Attenuanti a parte, la sostanza è che Clough ne ha abbastanza ed appena se ne presenta l’occasione (l’estate successiva) lo scarica in prestito al Southampton, dove gioca poco, 9 partite, ma va a segno 3 volte. Tanto basta per suscitare l’interesse del Notts County, che lo acquista dai concittadini del Forest per sole 150.000 sterline. Con la maglia delle ‘gazze’ trascorre due anni e mezzo, gioca 64 partite e segna 20 reti, ma soprattutto subisce un infortunio che darà un ulteriore spinta verso il baratro alla sua carriera. Nella partita dell’ultimo dell’anno nel 1983 Fashanu viene infatti colpito al ginocchio da un avversario, i cui tacchetti gli provocano una serie ferita che stenta a guarire.

Nel frattempo Fashanu ha raggiunto una maggiore consapevolezza riguardo alla propria sessualità, ma il timore di uscire allo scoperto gli impedisce di ammettere pubblicamente la realtà delle cose, nonostante i pettegolezzi al riguardo siano già da tempo in circolazione. Justin decide così di cercare consolazione nella Chiesa evangelica, a sua volta ben poco aperta – per non dire in condizione di aperta condanna – verso l’omosessualità, che lo spinge a rifiutare le proprie inclinazioni e a tentare invano di instaurare relazioni sentimentali con delle donne. Il suo comportamento in campo e fuori non può che risentirne, così Fashanu prosegue la sua inesorabile discesa.

Nell’estate del 1985 è il Brighton & Hove Albion a pagare 115.000 sterline per assicurarsi le sue prestazioni, ma dopo solo 16 partite (e 2 gol) la ferita al ginocchio si infetta e ne mette a serio rischio la carriera. Fash è costretto a lasciare la costa sud dell’Inghilterra ed a volare negli Stati Uniti per sottoporsi ad un intervento chirurgico. Dopo alcuni anni, siamo nel 1988, può considerarsi di nuovo un calciatore, con la maglia dei Los Angeles Heat prima e degli Edmonton Brickmen poi, riprendendo anche confidenza con il gol.

La voglia di riscatto e la consapevolezza di poter ancora dare molto al calcio lo spingono a tornare in Inghilterra, dove diverse squadre sembrano disposte a concedergli un’opportunità. La prima è il Manchester City, ma le cose non vanno bene. Justin ci prova così col West Ham, ma non va meglio. Poi tocca all’Ipswich Town e poi al Leyton Orient. Nel 1990 è così costretto ad accettare la proposta dei dilettanti del Southall, che gli offrono il doppio ruolo di allenatore-giocatore.

È in questi momenti, probabilmente rendendosi conto che il grande treno non passerà comunque più, che Fashanu trova il coraggio, o la rassegnazione, di ammettere pubblicamente la propria omosessualità. Così il 22 ottobre del 1990 The Sun pubblica in esclusiva l’intervista con la sconvolgente notizia. Forse Justin spera di essere d’esempio per le numerose celebrità – tra cui, a suo dire, anche altri dodici calciatori professionisti – che ancora tengono nascosta la propria omosessualità, ma nessuno lo segue e lui si trova ad essere il primo, e finora unico, giocatore inglese a dichiararsi gay e subisce da solo tutte le conseguenze del caso.

Le prime critiche che lo colgono riguardano il perché si sia affidato, per pubblicare tali rivelazioni, ad un quotidiano disposto sì a pagare parecchio per ottenere simili esclusive, ma appartenente non a caso a quel genere di stampa popolare considerata scandalistica e di infimo livello. “Ho pensato sinceramente che se mi fossi dichiarato sui peggiori giornali, e fossi al tempo stesso rimasto forte e positivo riguardo al fatto di essere gay, questi non avrebbero avuto più nulla da dire in merito” si difende il calciatore. Nulla di più ingenuo, col senno di poi. Di certo, infatti, se l’ex astro nascente del calcio britannico sperava in questo modo di trovare qualche sollievo ai propri tormenti, fare “outing” si rivela una pessima mossa, anche se lui in seguito negherà di essersene mai pentito: il fratello John lo rinnega pubblicamente e la comunità nera britannica decide di dimenticarsi il significato della parola discriminazione definendolo un “patetico ed imperdonabile affronto per tutta la comunità”. Anche gli amici, compresi quelli di vecchia data, smettono di richiamarlo al telefono, il tutto mentre la stampa lo crocifigge costruendo quante più storie ed illazioni possibili. Justin finisce così per ritrovarsi ancora più solo e disperato di prima.

Finita la stagione calcistica in Europa, Fashanu torna oltreoceano per indossare la maglia dei Toronto Blizzard, salvo tornare in Inghilterra per aggregarsi ai dilettanti del Leatherhead. Poco dopo, siamo nell’ottobre del 1991, un provino per il Newcastle gli offre l’ultima illusione di rientrare nel calcio che conta dalla porta di servizio, ma la speranza svanisce presto e l’attaccante si ritrova a giocare nel Torquay United, squadra di terza divisione e comunque meglio dei dilettanti. Nonostante la retrocessione della squadra, Fashanu dimostra di essere tornato in forma e convince così la dirigenza ad affidargli l’incarico di allenatore-giocatore. Nel 1992-93 il Torquay sfiora la finale dei play-off promozione perdendo 4-1 a Preston dopo aver vinto l’andata per 2-0.

Fashanu cambia aria e si trasferisce a nord, in Scozia, precisamente ad Airdrie dove, con la maglia degli Airdrieonians, segna 5 gol in 16 partite. Dopo non molto si sposta di nuovo per tentare l’avventura in Svezia con il Trelleborg, ma altrettanto velocemente fa ritorno in Scozia, dove viene arruolato dagli Hearts of Midlothian, con la cui maglia granata ha tempo di scendere in campo 11 volte e di andare a segno in una occasione. Poi il suo comportamento extrasportivo comincia ad andare decisamente oltre il limite dell’accettabile ed i giornali scandalistici acquistano dal suo agente storie sul coinvolgimento di personaggi del mondo politico in rapporti omosessuali con lo stesso Fashanu. Le rivelazioni potrebbero provocare un vero terremoto politico se non si rivelassero false e costruite ad arte per spillare soldi ai tabloid.

Nell’aprile del 1994, l’aver tirato in ballo Stephen Milligan (membro del Parlamento trovato morto due mesi prima in seguito ai tragici esiti di un tentativo di asfissia autoerotica) in una di queste storie si rivela fatale per Justin, che viene cacciato dagli Hearts per comportamento disonorevole. Chi lo conosce personalmente attribuisce simili scompensi alle discriminazioni subite, ma quel che conta è che comportamenti stravaganti come questo, o come la breve relazione con la chiacchierata attrice Julie Goodyear (a sua volta omosessuale, o quantomeno bisessuale, dichiarata), gli regalano fiumi d’inchiostro sulle pagine dei tabloid, ma non lo aiutano certo a recuperare presso l’ambiente calcistico quel credito ormai irrimediabilmente compromesso.

Fashanu per trovare un ingaggio è così costretto a volare di nuovo oltre un oceano, questa volta quello Indiano, dove gioca diciotto partite – con undici gol – con i Miramar Rangers di Wellington, Nuova Zelanda. Nel 1997 è di nuovo negli Stati Uniti, dove è arruolato dagli Atlanta Ruckus. Quando entra in contrasto con la dirigenza per questioni contrattuali, Fashanu decide di averne abbastanza ed appende definitivamente le scarpette al chiodo, spostandosi nel Maryland, dove il presidente di una nuova squadra, il Maryland Mania Club, gli offre la panchina. La squadra si sta preparando a competere nella seconda divisione di un paese nel quale il calcio ha tentato di affermarsi diverse volte in passato, anche con il patrocinio di grandi campioni, ma sempre invano. Non si tratta quindi del massimo da un punto di vista professionale, ma è altrettanto vero che Justin sembra aver finalmente trovato un angolo di pace, lontano da quell’Inghilterra che lo ha rinnegato, con nuovi amici e con una dirigenza soddisfatta del suo lavoro di tecnico.

Sembra. In realtà è solo la quiete prima della tempesta finale. I primi venti minacciosi cominciano a spirare il 25 marzo 1998, quando un ragazzo diciassettenne del luogo telefona alla polizia affermando di essersi risvegliato, dopo una notte di baldoria, nel letto di Fashanu, mentre questi stava abusando sessualmente di lui. Il giocatore viene ovviamente interrogato dagli inquirenti, cui appare sorpreso, rinnega le accuse a proprio carico e si dichiara disposto a sottoporsi al test della macchina della verità ed a fornire campioni di sangue quando sia necessario. Constatata la sua disponibilità a collaborare e visto che, dichiarazioni del ragazzo a parte, non sussistono al momento altre prove del crimine, la polizia non ritiene necessario l’arresto preventivo.

A quel punto però, il fatto di trovarsi a fronteggiare un’accusa grave come quella di violenza sessuale su un minore appartenendo contemporaneamente a due categorie allora quasi universalmente discriminate come quella degli omosessuali e quella dei neri, senza contare tutte le aggravanti del caso (consumo di marijuana, reperimento di bevande alcoliche a favore di minorenni, per non parlare della legge che al tempo in molti stati degli USA proibisce la sodomia ed i rapporti orali anche all’interno del matrimonio) fa probabilmente precipitare Justin nel panico. E così, il 3 aprile successivo, quando la polizia si reca nel suo appartamento per sottoporlo a perquisizione scopre che Fashanu lo ha abbandonato il giorno dopo l’interrogatorio, per fuggire e fare ritorno in Inghilterra.

In patria vive in stato di clandestinità usando il cognome da nubile della madre e cerca invano di contattare vecchi amici per difendersi dal polverone che si sta scatenando su di lui. Chiama il suo ex agente sostenendo di essere stato incastrato e chiedendogli di vendere l’esclusiva alla stampa, ma questi non lo richiama più. Il 2 maggio si reca al Chariots Roman, una sauna gay nel quartiere londinese di Shoreditch, nei pressi di Liverpool Street. Il proprietario della sauna si rifiuta in seguito di rivelare particolari sulla visita di Fashanu, preferendo tutelare l’immagine di riservatezza e discrezione offerta dal proprio esercizio piuttosto che intascare i soldi dei tabloid. Tuttavia frequentatori del Chariots assicurano di averlo visto di buon umore e per nulla depresso dalla situazione che sta vivendo. John Fashanu ha in seguito raccontato in un’ntervista di aver ricevuto una chiamata al cellulare quella sera, di aver sentito il respiro della persona in silenzio all’altro capo del telefono e, una volta intuito che si trattava del fratello, di aver riattaccato seccato.

Potrebbe essere l’ultimo tentativo di cercare aiuto da parte di Justin, che il giorno dopo, è il 3 maggio 1998, viene trovato impiccato con un cavo elettrico all’interno di un garage semi-abbandonato poco lontano dalla sauna. Le indagini stabiliscono che l’ex calciatore vi si è introdotto subito dopo aver lasciato il Chariots e si è suicidato. Nel biglietto ritrovato sul suo corpo, Fashanu spiega di essere arrivato al tragico gesto una volta resosi conto di essere stato già giudicato colpevole per il caso di stupro ancora prima dell’inizio del processo. Nel breve messaggio dà anche la propria versione su quanto accaduto nel suo appartamento nel Maryland, secondo la quale il rapporto sessuale ci sarebbe stato, ma con il consenso del giovane, che al mattino avrebbe chiesto dei soldi in cambio del silenzio su quanto accaduto. Ricatto al quale Justin si sarebbe rifiutato di cedere andando incontro, secondo la sua difesa postuma, alla ritorsione sotto forma di accusa di violenza sessuale.

La sua controversa vicenda, come sempre accade, lascia spazio alle reazioni più variegate: dal dolore e dalle accuse di coloro che lo considerano un martire nella lotta alle discriminazioni all’indifferenza – che sa molto di sollievo – di quanti, come ad esempio l’intero movimento calcistico inglese, lo vedevano come motivo d’imbarazzo. Al rimorso di un fratello, John, che dopo averlo rinnegato ed avergli tolto la parola per anni, si trova davanti alle drammatiche conseguenze dei propri gesti.
Tuttora c’è chi difende Justin attribuendo tutte le sue colpe – oltre che le sue sventure – ai condizionamenti subiti a causa del razzismo e dell’omofobia; c’è chi ricerca le motivazioni dei suoi scandalosi exploit nelle difficili condizioni affettive che era stato costretto ad affrontare da piccolo; c’è chi è sicuro della sua innocenza rispetto alle accuse di stupro ed addirittura propone delle ipotesi complottistiche in merito alla morte di “Fash”; c’è chi ritiene che il suicidio non sia stato altro che l’estrema fuga dalle proprie colpe.
A tanti anni di distanza, senza mezzi adeguati e soprattutto in una sede non adeguata, è pressoché inutile cercare di stabilire in quali circostanze Justin Fashanu abbia sbagliato per colpe proprie e in quali sia stato vittima incolpevole di situazioni avverse. Altrettanto inutile è perdersi in voli pindarici chiedendosi quali obiettivi avrebbe potuto raggiungere in un mondo più giusto o cercando di stabilire il coefficiente di incidenza delle discriminazioni subite sull’evolvere della sua carriera o ancora chiedendosi se con un carattere più forte e con spalle un po’ più larghe non avrebbe affrontato più convenientemente gli ostacoli incontrati.

Quello che appare oggettivo, oltre le singole interpretazioni, è che l’astro nascente del calcio inglese si sia trovato ad affrontare come avversari più pericolosi non la pressione delle aspettative o le scivolate dei difensori avversari quanto piuttosto il razzismo e l’omofobia. E che, al momento di confessare la propria omosessualità, si sia visto rinnegare da chiunque, abbandonato da un intero movimento calcistico, da amici e familiari. Il fatto che la sua carriera avrebbe potuto ugualmente portarlo a militare tra i dilettanti prima di avere trent’anni è materia di supposizioni indimostrabili, i fatti di cui sopra non lo sono. E, purtroppo, è già abbastanza per rendere quella di Justin Fashanu una storia in cui il calcio ha perso.