22 aprile 1951 – Juventus Inter 0-2: quando gli stranieri fanno gol…

Nel campionato dei record 1950-51 tra le due litiganti Juventus e Inter, vinse il Milan, ma lo spettacolo offerto quel 22 aprile 1951 rimase nella storia…

Era il campionato ’50-51, dominavano Milan, Juventus e Inter (tanto per cambiare…). I rossoneri vinsero con 60 punti, contro i 59 dell’Inter, e i 54 della Juventus (la serie A era a 20 squadre, si giocava 38 partite, ma 60 punti restano sempre 60 punti). E sapete quanti gol si segnavano, allora? Eccovi subito: il Milan e la Juve 107, l’Inter 103! Era un calcio ad altissimo livello, anche se i terzini non avevano ancora l’abitudine di sganciarsi in avanti (per fare che?), non c’era il libero, chi cercava di difendersi con il catenaccio, come il Padova, finiva per buscare ugualmente 68 reti. Perché gli attacchi erano autentiche macchine da gol, reparti irresistibili, qualcosa che non si è mai più visto in Italia. Pensate: nel Milan giocavano i Gren-Nordhal e Liedholm; nella Juve Karl Hansen-Boniperti-Praest; nell’Inter Wilkes-Lorenzi-Skoglund-Nyers. Solo a ripensarci, viene l’acquolina in bocca.

Stefano Nyers, autore della doppietta vincente

Succede che il 22 aprile del 1951, a poco meno di un mese dalla conclusione del campionato, l’Inter debba andare a giocare a Torino, contro la Juve, che sta davanti al Milan di un solo punto. Ovvio che la Juve dovesse puntare al successo pieno per non perdere il vantaggio sui rossoneri, mentre l’Inter, a due lunghezze dalla capolista, cercava almeno il pari per non perdere terreno. C’è molta attesa, ovviamente. La Juve, che gioca in casa, è favorita, sia pure di poco. Ha un attacco atomico: Muccinelli, Karl Hansen, Boniperti, Vivolo, Praest. Ottima anche la difesa, con i terzini Bertuccelli e Manente e la mediana d’oro: Parola, Mari e il giovane Bizzotto, un tecnico finissimo che non conobbe (chissà perché la fama che avrebbe invece meritato. L’Inter risponde con alcuni difensori fortissimi: il portiere Franzosi, poi Blason e Giacomazzi, Giovannini (che emigrò negli Stati Uniti), il finissimo Achilli, detto «gamba de seller». Ma è l’attacco quello che promette sfracelli: Armano (la prima ala tornante del nostro calcio), Wilkes, l’olandese volante, un interno che anticipava il grande Cruijff, un giocatore di illimitate risorse tecniche e atletiche; Lorenzi, detto «Veleno», per il caratterino tutto pepe; il povero Nacka Skoglund, tecnico di raro talento e uomo sciagurato e infantile fino all’autodistruzione; infine Stefano Nyers, da collocare ai primissimi posti in una ideale graduatoria che tenga conto dei calciatori di tutti i tempi. Non ebbe la notorietà di altri grandi campioni perché, apolide, venne in Italia fuggiasco dall’Ungheria via Parigi e non poté giocare in Nazionale; e allora la Coppa dei Campioni non l’avevano ancora inventata quelli dell’Equipe. Nyers aveva tutto: velocità con la palla incollata al piede; dribbling in corsa e da fermo e specialmente il tiro di destro, che esplodeva con potenza terrificante. Giocava ala sinistra e, battendo a rete prevalentemente col destro, capite subito quale fosse l’efficacia e la precisione micidiale, dei suoi tiri: un autentico fenomeno.

Quel 22 aprile l’Inter fece letteralmente polpette della Juventus, battuta per 2-0 sul suo campo, al cospetto di una folla ammutolita e attonita. E il Milan ebbe praticamente via libera per la vittoria finale. La battaglia divampò subito, violentissima. La Juve attaccava a larghe folate offensive, cercando di mandare in piazzuola di tiro Karl Hansen e Praest, i due danesi dal tiro micidiale. Ma Blason, Giacomazzi, Giovannini, quel giorno, erano giganti. I nerazzurri attaccavano con triangolazioni strette, secondo il loro stile. Wilkes, dribblatore imprendibile, si portava a spasso come un cagnolino ubbidiente un mediano della forza e della tecnica del veronese Bizzotto. Lorenzi, scatenato velocissimo irridente, beffava il grande Parola, troppo statico per stroncare le serpentine vertiginose di «Veleno», un attaccante che avrebbe potuto giocare stupendamente anche oggi, per lo scatto bruciante e la velocità di esecuzione, allora doti rarissime anche nei giocatori più forti. Eppoi, Nyers. Lo marcava Bertuccelli, un toscano di gran classe, più volte nazionale, tattico consumato: ma quel giorno Bertuccelli vide le streghe. Nyers dilagava, imprevedibile. Sui lanci di Skoglund, mezza punta offensiva si direbbe oggi (allora i calciatori non portavano simili etichette appiccicate sulle spalle, erano semplicemente dei fuori classe e basta) Nyers scattava a ripetizione, torturando il povero Bertuccelli che non sapeva a quale Santo votarsi.

Karl Aage Praest

E infatti Nyers, a metà del primo tempo, scaricò alle spalle del portiere bianconero, su tocco sopraffino di Nacka, un bolide che andò a scuotere la rete fin quasi a schiantarla! Era il principio della fine. La Juve, col sangue agli occhi, si rovesciò, furente, nell’area nerazzurra. Boniperti, grandissimo, impegnò più volte «Nane» Franzosi in alcuni interventi miracolosi, Praest scaricò un bolide al volo che rischiò di mandare in frantumi la traversa nerazzurra e… Nyers segnò il secondo gol, quello che chiuse la partita: Armano artiglia la palla nella sua area (era il tornante, non dimenticatelo), scatta, serve in profondità Lorenzi, un tocco laterale a Wilkes, due dribbling per aprire la difesa bianconera a ventaglio, il servizio a Nyers. Bertuccelli era un difensore correttissimo, giocava in punta di forchetta, ma quella volta, perso per perso, agganciò il piede d’appoggio dell’ungherese e lo stese quant’era lungo, a due passi dalla sua porta. Rigore: Nyers batteva dagli undici metri con tale potenza che non si riusciva neppure a vedere la palla prima che l’abbraccio della rete riuscisse a smorzarla…

E sapete chi era l’arbitro di quella memorabile partita? Era il romano Dattilo bravissimo diciamo pure uno fra i migliori in assoluto, e non soltanto per gli Anni ’50. Ma aveva una civetteria: non concedeva, mai, i calci di rigore. Fu al centro di polemiche roventi appunto per questo suo modo di arbitrare per le meno molto personale. Ma quella volta Dattilo, probabilmente ammirato per la bellezza della manovra interista, e sicuro che Nyers, se non lo avesse atterrato, sarebbe andato infallibilmente in gol, venne meno al suo «credo»: e puntò il dito sul dischetto degli undici metri, con un gesto che in tutta la sua carriera avrà fatto sì e no una decina di volte (e a stare larghi…). Se qualcuno tenta di convincervi che oggi, il calcio è più bello di allora, perché più veloce, più atletico, più agonistico, non dategli ascolto. Il calcio non è podismo o gara di resistenza, o lotta libera tra nerboruti gladiatori. Il calcio è arte, intelligenza, ragionamento, istinto, classe: e il calcio di quegli anni ruggenti era tutto questo e qualcosa di più.