Juventus 1982-1985: Gloria e Tragedia

Indimenticabile Juve, quella di Platini e Boniek. Che più di altre toccò le corde emotive del tifo per essere oggi rimpianta dai tifosi della Signora del calcio italiano come l’ultima, perduta età dell’oro.

Diversi fattori contribuirono a issare quella Juve sul piedistallo della memoria futura, a partire dalle grandi conquiste internazionali che legò per prima al pedigree societario, infrangendo un resistente tabù, per proseguire con i vertici spettacolari attinti dalla sua manovra in punta di bulloni e di fioretto, chiudendo con le magie dei suoi irripetibili fuoriclasse. Nacque a coronamento di un ciclo più grande, il decennio di battaglie e vittorie di Trapattoni e Boniperti, scrivendone nella storia del calcio le espressioni più alte, ma anche, bruscamente, la parola fine.

BLITZ

Il 30 aprile 1982, con un sensazionale blitz oltrefrontiera, il nume tutelare della Juventus, Gianni Agnelli, conquista alla causa Michel Platini, asso francese annoverato tra i massimi big europei. Si va ad aggiungere a un altro acquisto boom per la stagione successiva, quello del polacco Zbigniew Boniek, già concluso da tempo. Di lì a un mese e mezzo, trasformando con esemplare professionalità un rigore contro il Catanzaro, la «vittima» del doppio ingaggio straniero, l’irlandese Liam Brady, consegna alla Juve il ventesimo scudetto della sua storia. Su quel triangolino tricolore si chiude un ciclo e un altro, fragorosamente felice, è pronto ad aprirsi.

SQUALIFICA

È appena rientrato in campo, per un breve scampolo finale di stagione, il più forte centravanti italiano, Paolo Rossi, appiedato per due anni dallo scandalo delle scommesse. Quando il campionato 1982-83 prenderà il via, avrà messo tra il futuro e quel nero capitolo un trionfale titolo mondiale in Spagna, come capocannoniere e miglior giocatore. A quel punto è pronta la Juventus dei sogni.

In porta il monumento Dino Zoff, campione del mondo in Spagna a 40 anni. Davanti a lui, la coppia di terzini Gentile-Cabrini, una delle meglio assortite della storia del calcio azzurro, pur essa premiata dal titolo iridato. A completare la difesa la torre Brio, stopper di straordinari mezzi atletici, e il più grande di tutti, il libero Gaetano Scirea, erede di Franz Beckenbauer.

Il centrocampo distribuisce mirabilmente i compiti: la fatica tocca all’antico guerriero Furino e al suo erede designato, Bonini, oltre che all’universale per eccellenza, l’altro mundial Tardelli; sulle fasce operano il lungo Marocchino, dinoccolato artista di mezzi tecnici largamente superiori alla stabilità psicologica (eufemismo) e il discontinuo Zibì Boniek, attaccante atipico dalle micidiali progressioni; infine, «le roi», Michel Platini, regista, leader e goleador al tempo stesso, dopo alcuni mesi di nebbioso ambientamento.

In attacco, i guizzi di Pablito Rossi e gli ultimi acuti del grande Roberto Bettega. Una miscela esplosiva di ferree chiusure difensive e scoppiettante spettacolo offensivo.

TRAP

Platini prende ordini da Trapattoni… o viceversa?

Ad agitare lo shaker tattico è l’allenatore vincente per antonomasia, Giovanni Trapattoni, grande interprete del calcio all’italiana, che tuttavia in campionato trova un ostacolo insormontabile nella Roma pilotata sui binari della zona da Nils Liedholm. Non vince lo scudetto, la Juve tutta stelle, ma dà spettacolo sui campi d’Europa con una memorabile cavalcata trionfale in Coppa dei Campioni, che purtroppo si infrange sugli scogli della finale, apparentemente accessibilissima, contro l’Amburgo in una stregata notte ateniese. Un gol da lontano di Magath scopre le paure di una squadra prigioniera del maligno sortilegio che da sempre nega ai colori della Signora il più prestigioso traguardo continentale. La Juve si accontenta della Coppa Italia, del Mundialito Clubs e del titolo di capocannoniere di Platini.

TRIONFO

La Signora in Giallo, stagione 1983/84. In piedi da sx: Scirea, Gentile, Platini, Boniek, Brio, Tacconi. Accosciati da sx: Rossi, Bonini, Vignola, Cabrini, Tardelli.

La stagione successiva il tappo esplode dalla bottiglia in un gioco pirotecnico di gol e calcio da favola. L’addio di Bettega viene compensato con l’ingaggio di un modesto centravanti di provincia, il veneto Penzo, mentre il giovane trequartista Vignola assicura il ricambio alla batteria dei fantasisti offensivi: in difesa Tacconi raccoglie l’eredità di Dino Zoff, giunto al capolinea dopo una leggendaria carriera, e il coriaceo Favero sostituisce il vecchio drago Gentile. Non c’è più l’alterno Marocchino, così come la bandiera Furino è stata ammainata, lasciando spazio all’infaticabile Bonini. Trapattoni blocca la squadra su magici equilibri tattici e la Juventus mette a segno una storica doppietta, con scudetto e Coppa delle Coppe.

TRAGEDIA

Lo sconcerto di Scirea e Bonini nella tragica serata dell’Heysel

I tempi, ormai, sono maturi per abbattere l’ultimo tabù, legato alla Coppa dei Campioni. Purtroppo, la vittoria, cui la Juve nell’84-85 sacrifica ogni altro obiettivo stagionale ad eccezione della Supercoppa europea (conquistata in una memorabile battaglia sulla neve a spese del Liverpool), si concretizza in una livida sera di sangue e violenza. A Bruxelles, nell’angusto stadio Heysel, il 29 maggio 1985, un assurdo assalto dei famigerati hooligans, sostenitori ad alto tasso alcolico del Liverpool avversario della Juve, provoca il crollo di un muro nel settore «Z» e una spaventosa carneficina. Muoiono trentanove tifosi italiani, la partita prende il via con un’ora e venti di ritardo in un irreale clima di orrore e affettato agonismo. La Juve vince grazie a un rigore benevolmente accordato, ma non c’è cuore di far festa.

SIGILLO

Cabrini solleva l’Intercontinentale 1985

Per il vero trionfo occorrerà attendere qualche mese, quando la squadra bianconera, profondamente rinnovata, si ritroverà a Tokyo per il sigillo della Coppa Intercontinentale contro l’Argentinos Juniors. Partiti i «capi storici» Tardelli, Boniek e Paolo Rossi, Boniperti e Trapattoni hanno rivitalizzato la Signora costruendo un nuovo capolavoro tattico su misura per Michel Platini. Invariato l’assetto difensivo, il tecnico piazza una formidabile diga a centrocampo affiancando a Bonini l’ex laziale Manfredonia, mediano di efficacissime propensioni difensive accoppiate a piedi tutt’altro che analfabeti.

Con le spalle così adeguatamente coperte, può sbizzarrirsi un reparto d’attacco di eccezionale assortimento: il genio di Platini ispira due tornanti di fantasia, Mauro a destra e il raffinato danese Michael Laudrup a sinistra, mentre al centro l’ariete Serena, centravanti dal mortifero stacco di testa, garantisce peso all’intera manovra offensiva.

A Tokyo, l’8 dicembre 1985, la Juve arriva tranquilla, con un nuovo scudetto già in cassaforte. La partita è di straordinaria bellezza e intensità, i preziosismi si sprecano, alla fine i bianconeri vincono ai rigori (2-2 al termine dei tempi regolamentari).

L’ADDIO

A primavera, il mito si incrina, quando si sparge la notizia che dopo dieci anni di trionfi Giovanni Trapattoni si accinge a lasciare la Signora per una nuova avventura all’Inter. Il rilassamento generale mette pure a repentaglio lo scudetto, insidiato dalla Roma di Eriksson, che però frana in vista del traguardo. Il Trap se ne va carico di gloria; Platini, ormai appagato, vivrà un’ultima stagione priva di bagliori e stimoli prima di appendere precocemente le scarpe al chiodo.