KALMAR Jenő: La vera storia della grande Honved

Allenatore e artefice della grande Honved, serbatorio dell’Aranycsapat, spesso dimenticato dalla storia e confinato nell’ombra di Gusztav Sebs

Si è fatta molta letteratura sulla grande Honved e sulla ancor più grande Ungheria, la “squadra d’oro” che ne fu emanazione negli anni Cinquanta, e non poteva essere altrimenti. La straordinaria qualità del calcio e dei risultati prodotti alimentava la leggenda e d’altronde la frammentarietà delle notizie trapelate da un Paese sottoposto alla dittatura comunista consentiva poche verifiche. Cosi è quasi naturale che Jenő Kalmár, l’allenatore e artefice della grande Honved, venga spesso dimenticato dalle storie sull’argomento, confinato nell’ombra di Gusztav Sebes, a propria volta dipinto come un cinico gerarca mentre dello strapotere politico era in realtà una vittima. Ma andiamo con ordine.

Jenő Kalmár era nato nel 1908 a Budapest ed era diventato un campione, iscrivendosi nella fortunata generazione che a cavallo delle due guerre aveva dato lustro al calcio danubiano, ottenendo come miglior risultato il secondo posto dietro l’Italia ai Mondiali 1938. Kalmár fu tra le stelle dell’MTK Budapest e del Ferencvaros, anche se non rientrò nella lista dei Mondiali, su cui premeva una concorrenza tanto larga quanto qualificata.

Chiusa l’attività agonistica, divenne istruttore di calcio. Lavorò con Gamma, Csepel e Dorog e infine, nel pieno della grande riforma statalista che aveva stravolto anche il mondo del calcio, alla guida della Honved. Honved (in ungherese “difesa della patria”) fu il nome imposto alla ex Kispest, gloriosa squadra di Budapest destinata a diventare la rappresentante della fanteria e per estensione dell’esercito, nel quadro di un rivolgimento che associava i club di calcio a enti produttivi o istituzionali. In quanto rappresentante dell’ente più forte, la Honved potè disporre dei migliori giocatori: accanto ai talenti Puskas e Bozsik, ovvero il braccio e la mente, il portiere Grosics, le ali Budai e Czibor, l’attaccante Kocsis, micidiale di testa. Ne venne fuori un complesso formidabile, che passò dalle mani di Ferenc Puskas senior, papà del grande mancino, a quelle di Jenő Kalmár .

Il primo calcio totale

Questi si dimostrò abilissimo ad agitare al meglio il cocktail di piedi e cervelli buoni, trasformandolo in una squadra di eccelsa qualità, con un’impronta tattica inconfondibile: il suo gioco si basava sul possesso di palla tramite corte triangolazioni in tutte le zone del campo, cui seguivano improvvisi cambi di ritmo, con lanci per le frecce avvelenate dell’attacco. Una sorta di calcio totale ante litteram. La Honved vinse cinque titoli nazionali dal 1949 al 1955, si esibì in parecchie applauditissime tournée in Sudamerica e nel resto d’Europa e fornì l’ossatura alla Nazionale allenata da Gusztav Sebes, considerata da molti la più grande squadra di tutti i tempi, vincitrice delle Olimpiadi 1952 a Helsinki.

Jenő Kalmár fece della Honved un complesso in cui fantasia e talento si mescolavano in un assetto tattico equilibrato, nonostante la evidente propensione offensiva. Guidata dalla raffinata regia di Bozsik, schierava due attaccanti travestiti da interni – “testina d’oroKocsis e Puskas – e il centravanti arretrato Tichy. Ferenc Puskas, promosso colonnello, era il leader, come ammetteva lo stesso Kalmár: «Ferenc è il fulcro della nostra formazione soprattutto per l’autorità che egli esercita da vero colonnello in campo, così come lo è nell’esercito. La sua potenza, il suo piglio, il suo carisma lo pongono non soltanto al di sopra della sfera calcistica nazionale, ma pure internazionale».

La tragedia di Budapest

Gli eventi della storia travolsero la squadra, che aveva continuato a dare spettacolo anche dopo il clamoroso stop della Nazionale nella finale mondiale di Berna 1954. L’autunno ungherese del 1956 fu gonfio di entusiasmi e speranze e poi di sangue e tragedia. La rivolta popolare sembrò a tutta prima riuscire e alcuni giocatori della Honved vi presero parte attiva: Czibor, il mediano Kotasz (che in campo gli copriva le spalle), Kocsis. Il calendario internazionale pretendeva in quei giorni la Honved fuori dai confini. Era prassi che con l’interruzione invernale del campionato la squadra partisse per lunghe tournée. Questa volta vi si inframmetteva a dicembre la partita a Budapest con l’Athletic Bilbao per il ritorno degli ottavi di finale della Coppa dei Campioni.

Il direttore sportivo e accompagnatore del club, Emil Östreicher, si recò il primo di novembre assieme al colonnello Puskas direttamente dal primo ministro, Imre Nagy, reinsediato in seguito alla rivolta. Questi non ebbe problemi ad autorizzare la tournée, europea e poi sudamericana: «Andate e vincete» furono le sue parole, «io ho già vinto la mia partita!». Non immaginava quale tragico destino lo attendesse. Poche ore dopo, nel tentativo disperato di evitare l’invasione, il governo ungherese votava l’uscita della Repubblica ungherese dal Patto di Varsavia. Di lì a tre giorni, con lo stratagemma di provocazioni preparate a tavolino, i carri armati russi entravano in azione aprendo il fuoco contro il sogno di libertà del popolo ungherese. I morti si contarono a migliaia. Imre Nagy venne arrestato e sarebbe stato giustiziato nel 1958. Le tragiche notizie raggiunsero Kalmár e i suoi in Spagna. Per qualcuno fu subito chiaro che il ritorno era impossibile.

La libertà a peso d’oro

Emil Östreicher, prima che gli eventi precipitassero, all’arrivo a Vienna aveva rilasciato compromettenti dichiarazioni antisovietiche e i giocatori che avevano partecipato alla rivolta non potevano garantire del proprio destino in caso di ritorno a Budapest. Venne così deciso di continuare la tournée, mentre si prospettava un problema di difficile soluzione: dove giocare il ritorno di Coppa dei Campioni con l’Athletic Bilbao. Östreicher si mise d’accordo con i baschi per giocare il 20 dicembre a Bruxelles, ma la Federcalcio belga in un primo momento condizionò il proprio benestare a quello della Federazione ungherese. Intanto, la preoccupazione immediata era di far uscire dallo stato-prigione i familiari.

Kalmár e altri giocatori pagavano duemila dollari a testa (un milione e 200 mila lire italiane dell’epoca, una fortuna) ai “contrabbandieri della libertà” per far percorrere ai propri cari a piedi gli oltre centosessanta chilometri tra la capitale e il confine con l’Austria. A Milano, dove la tournée li condusse lasciata l’ultima tappa spagnola a Siviglia, il 7 dicembre Kalmár riabbracciava la moglie e così faceva Puskas con la consorte e la figlioletta Anika. L’Honved, applauditissima, giocò a Milano e poi in Sicilia, a Palermo e Catania.

Intanto, i nuovi padroni di Budapest avevano deciso di muoversi con cautela, dilazionando l’obbligo di rimpatrio dei giocatori e consentendo la partita di Coppa a Bruxelles. Qui, il 20 dicembre, in una fitta nebbia, la Honved pareggiò 3-3, uscendo dalla competizione (aveva perso il primo match a Bilbao per 2-3). Quello stesso giorno, in due riprese e in due alberghi differenti, Gusztav Sebes, appena ripristinato vice-ministro dello Sport, incontrava i giocatori nella capitale belga alla presenza del presidente del club, Madarazs, per convincerli a tornare. Veniva loro concesso, nel tentativo di instaurare un proficuo clima di distensione, di proseguire la tournée secondo le date previste fino a marzo, annullando il precedente ordine di tornare a casa dopo il match di fine dicembre. Chi non fosse stato di ritorno per fine marzo, sarebbe andato incontro alla radiazione. Sebes aveva la morte nel cuore, i ragazzi chiesero qualche ora per riflettere. Solo Tichy e Machos, tra i titolari, si fecero convincere, avendo ancora le mogli e i parenti in Ungheria, e seguirono l’ormai ex presidente Madarazs, alcune riserve (Budai I, Palicko, Babolcsai), il massaggiatore e il magazziniere nel ritorno di Sebes a Budapest.

hoved roma 1956 kalmar
Roma-Honved 3-2, dicembre 1956

La mannaia del regime

La situazione in breve precipitava. Stabilite le famiglie a Ospedaletti, vicino a Sanremo, i giocatori apprendevano, al momento di imbarcarsi per Casablanca, che la Federcalcio ungherese aveva cambiato idea, annullando il permesso per la trasferta oltreoceano e ordinando l’immediato rientro di tutti. Era accaduto che Gusztav Sebes aveva perso il posto di presidente della Federcalcio, sostituito dall’ex cassiere Marcel Nagy, deciso a imporre il proprio volere. I giocatori non se ne davano per inteso e seguivano il programma. Dal Marocco la Honved rientrò in Italia, sulla riviera ligure, e infine partì per il Brasile a metà gennaio dalla Malpensa, accompagnata dall’interprete Bela Guttmann.

Poco prima di salire sull’aereo, veniva raggiunta dalla “scomunica” dei nuovi dittatori ungheresi: «La presidenza della Honved ha deciso di privare deI nome di Honved la squadra che viene guidata all’estero dal signor Emil Östreicher e di considerarla dal 22 dicembre 1956 come una formazione occasionale. La presidenza non riconosce Emil Östreicher come direttore della squadra e tantomeno consente di usare il nome di Honved alla squadra formata da diversi giocatori ungheresi. Dopo il 22 dicembre nè la presidenza della Honved nè la Federazione calcistica ungherese avevano dato il permesso per ulteriori tournées all’estero. La presidenza riversa ogni responsabilità morale e materiale connnessa con l’attività di tale formazione calcistica col nome di Honved sulle società che con essa prendono accordi».

La minaccia non spaventò i club brasiliani e venezuelani, che giocarono le sette partite in programma. La comitiva si sciolse a Caracas il 19 febbraio, dopodiché un nutrito gruppo di giocatori decideva di far ritorno a Budapest. Tra questi, il regista Bozsik, cui non venivano risparmiate le dure sanzioni (pesanti squalifiche) inflitte a tutti i rientranti. All’estero restavano Puskas, Czibor, Kocsis, Grosics, Sandor, Szabo e Garamvolgyi, assieme a Kalmár. I primi tre avrebbero scritto pagine gloriose della storia del calcio spagnolo, rispettivamente del Real Madrid e del Barcellona.

Anche Kalmár visse all’estero il resto della sua carriera. Dapprima a Vienna, allenando il Wacker, poi in Israele, alla guida dell’Hapoel Tel Aviv, in Portogallo, al Porto, e infine in Spagna. Qui visse stagioni importanti, guidando il Siviglia, poi Granada, Valladolid, Hercules, Malaga ed Espanol. Proprio alla guida del secondo club di Barcellona riuscì a ottenere grandi risultati di gioco, rapido, essenziale e di ottima presa spettacolare. Al punto che lui stesso definì il suo Espanol (l’attuale Espanyol, dizione catalana) “una piccola Honved”. Il nome della squadra che gli era rimasta per sempre nel cuore. Jenő Kalmár morì a Malaga il 13 gennaio 1990