LALAS – LAUDRUP – LAW – LIBONATTI – LIEDHOLM – LINDSKOG – LOJACONO
Fra questi spicca per il suo look proprio il rosso e barbuto stopper Lalas, una sorta di incrocio fra Buffalo Bill e il Generale Custer. E al termine del Mondiale, fra lo sbalordimento generale, il Padova ingaggia il musicista-calciatore. Istrionico per natura, annuncia che per lui il calcio non conta più della musica. La sua popolarità valica i confini della città, viene conteso dalle trasmissioni televisive e invitato ad esibirsi dal vivo con la chitarra. Incide un Cd (“Far from dose”), ma non si limita agli aspetti coreografici. Smentendo ogni previsione, in campo Lalas sa farsi rispettare.
Centrale difensivo di grande temperamento e eccezionali doti fisiche, segna una rete al Milan, spianando alla sua squadra la strada di una vittoria epica. All’ultimo tuffo il Padova si salva e conferma Lalas anche per la stagione successiva, che però interromperà per tornare al “soccer” made in Usa.
La raccomandazione fu talmente forte che la Signora parcheggiò l’appena diciannovenne talento alla Lazio di Chinaglia. Le due stagioni trascorse nella capitale furono contraddittorie: il primo anno “Miki il Vichingo”, tocco morbido, gran dribbling e invenzioni geniali, contribuì in maniera determinante alla salvezza in extremis della squadra, ma nulla potè nel campionato successivo, che si concluse con la retrocessione dei biancazzurri. Quello sfortunato episodio diede il “la” a tutte le sue future tribolazioni: il suo tecnico di allora, Lorenzo, lo soprannominò ”Pollo Freddo”, alludendo alla sua scarsa propensione al sacrificio. La Juventus lo volle comunque alla sua corte, per realizzare una delle squadre capolavoro di Trapattoni. Schierato sulla fascia sinistra, dirimpetto a Mauro con Serena sfondatore centrale e l’appoggio di un certo Platini, Laudrup visse una stagione straordinaria, vincendo la Coppa Intercontinentale (con una sua importantissima rete), poi il ventiduesimo scudetto. La sua avventura in bianconero continuò con risultati meno convincenti, e tra polemiche che lui non alimentava e non amava. A venticinque anni, Michael Laudrup partì per la Spagna, prima Barcellona e poi Real Madrid, dove diede nuovi saggi della sua raffinatissima classe prima di chiudere la carriera con l’Ajax nel 1998
Nel 1927 vinse lo scudetto, poi revocato per il “caso Al-lemandi”. Si ripetè l’anno dopo, quando tutta Italia ammirava il gioco armonioso e spettacolare del “trio”: 89 gol misero a segno in tre (35 Julio, 31 Baloncieri, 23 Rossetti). Fantastica anche la carriera in Nazionale, con 17 partite e 15 reti. Nel 1929 si ammalò e fu a lungo fuori squadra. Si riprese prontamente e chiuse nel Toro sostituendo Baloncieri, ritiratosi, e lasciando la maglia a Busoni. Emigrò al Genoa, per riportarlo in A, poi tornò in patria, dove è morto nel 1982. Viveur instancabile, di allegria contagiosa, spendeva cifre enormi per coltivare la propria eleganza. Al punto che, nonostante i lauti guadagni, dovettero pagargli il biglietto del piroscafo quando decise di fare ritorno nella sua Argentina.
Liedholm divenne una istituzione rossonera, conquistando 4 scudetti e due volte la Coppa Latina, antesignana della Coppa dei Campioni. Leggendario per la precisione del gioco, vuole la leggenda che un applauso liberatorio di San Siro salutasse, dopo anni, il suo primo passaggio sbagliato. Nel 1958, a trentasei anni, fu gran protagonista del Mondiale, segnando il gol d’apertura nella finale col Brasile, poi vincente, di Pelé. Via via arretrò il proprio raggio d’azione, prima a centrocampo, da mezzapunta a sontuoso regista offensivo, poi in difesa, come “libero” di straordinaria efficacia, eccellente nelle chiusure, specie in acrobazia, e impeccabile nei rilanci, da vero regista arretrato della squadra. Per anni, senza sbavature, dispensò il suo magistero di strepitoso campione anche di correttezza: in dodici campionati, non subì mai un’ammonizione.
Diede l’addio al calcio giocato a trentanove anni, con una bacheca colma di trofei. In Svezia, contava due scudetti e 23 presenze in Nazionale, con ben undici reti. Diventato allenatore (Milan, Roma, Fiorentina, Verona e Varese), vinse altri due scudetti con Milan e Roma.
Spentosi nel settembre 2002 per complicazioni sovvenute a seguito di un’operazione ai polmoni, i magistrati indagarono sulla sua morte ritenendola “sospetta” in relazione al fatto che Lojacono avesse militato nello stesso periodo nella Sampdoria in cui vi militarono altri quattro calciatori le cui morti furono dovute alla SLA: Tito Cucchiaroni (morto in un incidente stradale, ma presumibilmente affetto da SLA), Ernst Ocwirk, Guido Vincenzi e il portiere Enzo Matteucci.