Introdotto per correggere i difetti del “Golden Goal”, fallì miseramente nel suo intento, creando confusione e problemi tattici. Dopo una breve vita, fu abbandonato, segnando il ritorno al formato tradizionale dei tempi supplementari.
Vi ricordate il tanto vituperato “Golden Goal“? Introdotto a metà degli anni ’90, questo metodo prometteva di porre fine alle estenuanti maratone dei tempi supplementari con un colpo di fulmine: un gol, e la partita finiva all’istante. L’idea era affascinante sulla carta, ma la realtà si rivelò ben presto più complessa e problematica.
Il Golden Goal regalò indubbiamente momenti di gloria memorabile. Chi può dimenticare il trionfo della Germania a Euro ’96, quando Oliver Bierhoff segnò il gol che valse il titolo contro la Repubblica Ceca? O la gioia incontenibile della Francia quando David Trezeguet realizzò il Golden Goal che decise la finale di Euro 2000 contro l’Italia di Dino Zoff? Questi istanti di pura adrenalina calcistica sembravano giustificare l’introduzione della nuova regola.
Tuttavia, ben presto emersero le criticità. Invece di incoraggiare il gioco offensivo come sperato, il Golden Goal paradossalmente indusse le squadre a un atteggiamento ultra-conservativo. La paura di subire il gol fatale paralizzava il gioco, trasformando i supplementari in noiose schermaglie tattiche. Le squadre, terrorizzate dall’idea di concedere anche la minima occasione, preferivano chiudersi in difesa piuttosto che rischiare di perdere tutto con un singolo errore.
Questo atteggiamento difensivo estremo fu particolarmente evidente proprio durante Euro ’96. Nonostante il finale emozionante, molte partite dei turni precedenti furono criticate per la loro mancanza di spettacolo.
Come rimediare?
Nel 2003, di fronte alle crescenti critiche e alla frustrazione di tifosi e addetti ai lavori, UEFA e FIFA decisero che era giunto il momento di voltare pagina. La ricerca di un’alternativa che potesse mantenere l’elemento di suspense del gol decisivo senza sacrificare completamente lo spirito del calcio portò alla nascita del “Silver Goal“.
Il meccanismo del “Silver Goal” era ingegnoso nella sua apparente semplicità: se una squadra era in vantaggio al termine del primo tempo supplementare, la partita terminava. In caso di parità, si procedeva con altri 15 minuti. L’obiettivo era duplice: da un lato, si voleva incentivare un gioco più propositivo, dall’altro, si offriva alla squadra in svantaggio almeno una chance di rimonta.
La UEFA, nel presentare pomposamente la nuova regola, sottolineò come questa fosse il risultato di “ampie consultazioni con un vasto spettro di rappresentanti del calcio europeo“. L’organizzazione era convinta che il “Silver Goal” avrebbe affrontato i problemi creati dal “Golden Goal”, incoraggiando un calcio più positivo nei tempi supplementari e producendo una conclusione più sensata e equa delle partite. Sulla carta…
Lennart Johansson, allora presidente della UEFA, dichiarò con ottimismo: “Abbiamo affrontato i problemi creati dal Golden Goal. Il nuovo sistema incoraggerà un calcio positivo nel periodo dei tempi supplementari e produrrà una fine sensata e più equa della partita.”
Il “Silver Goal” sembrava quindi offrire il meglio di entrambi i mondi: manteneva l’emozione di un possibile finale improvviso, ma dava anche alle squadre il tempo di reagire e potenzialmente ribaltare il risultato. Inoltre, forniva agli stadi un orario di conclusione definitivo, facilitando la gestione della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Il battesimo del fuoco
Il “Silver Goal” fece il suo debutto in grande stile nella finale di Coppa UEFA del 2003 tra Porto e Celtic. La partita, già emozionante nei tempi regolamentari con un pareggio 2-2, si protrasse fino ai supplementari, offrendo il palcoscenico perfetto per testare la nuova regola.
L’atmosfera era elettrica: non solo era in palio un trofeo europeo, ma c’era anche la curiosità di vedere come il “Silver Goal” avrebbe influenzato la tattica e la psicologia delle squadre. Gli allenatori, José Mourinho per il Porto e Martin O’Neill per il Celtic, dovevano ora considerare anche questo nuovo elemento nelle loro strategie.
Ma il gol decisivo di Derlei per il Porto arrivò solo al 115° minuto, rendendo di fatto inutile la nuova regola. La partita si concluse con la vittoria dei lusitani per 3-2, ma il “Silver Goal” rimase inutilizzato, quasi come uno spettatore silenzioso di un dramma che si svolgeva indipendentemente dalla sua presenza.
Questa falsa partenza fu in qualche modo emblematica del destino del “Silver Goal”: introdotto con grandi aspettative, sembrava destinato a rimanere più una curiosità che una rivoluzione nel mondo del calcio. La settimana successiva, la finale di Champions League tra Milan e Juventus terminò 0-0 dopo i tempi supplementari, offrendo un’altra occasione mancata per la nuova regola di mostrare il suo valore.
Un’applicazione limitata
La stagione 2003/04 offriva numerose opportunità per l’applicazione della Silver Goal, ma i risultati furono sorprendentemente scarsi. La Champions League, con il suo formato a eliminazione diretta nelle fasi finali, sembrava il terreno ideale per la nuova regola. Tuttavia, in modo quasi beffardo, non si registrò nemmeno un singolo periodo di tempi supplementari nei turni ad eliminazione diretta.
L’unico esempio di utilizzo del “Silver Goal” in Champions League si verificò durante il terzo turno di qualificazione, ben lontano dai riflettori delle fasi finali. Fu l’Ajax a beneficiarne, sconfiggendo la squadra austriaca del Grazer AK grazie a un rigore trasformato da Tomas Galasek al 103° minuto.
La Coppa UEFA (l’attuale Europa League) offrì qualche occasione in più per il “Silver Goal” di mostrare il suo potenziale. Il formato della competizione, con partite a eliminazione diretta, aumentava le possibilità di tempi supplementari. I futuri vincitori del Valencia furono tra i beneficiari più noti della nuova regola, quando Vicente segnò il gol decisivo contro il Gençlerbirliği negli ottavi di finale.
Questi episodi, seppur interessanti, non riuscirono a catturare l’immaginazione del pubblico o a dimostrare in modo convincente i vantaggi del “Silver Goal”. La regola sembrava più un dettaglio tecnico che un elemento in grado di cambiare il volto delle partite.
Un lampo nella notte di Lisbona
Ma il momento di gloria del “Silver Goal”, quello che l’avrebbe consegnata ai libri di storia del calcio, arrivò durante Euro 2004 in Portogallo. Il torneo era già stato teatro di numerose sorprese, con la Grecia di Otto Rehhagel che aveva sconvolto i pronostici eliminando i campioni in carica della Francia nei quarti di finale.
La semifinale tra Grecia e Repubblica Ceca si presentava come una sfida tra Davide e Golia. I cechi, guidati da stelle come Nedvěd, Koller e Baroš, erano considerati gli ovvi favoriti. Ma la Grecia, con la sua difesa impenetrabile e il suo gioco enigmatico ma pragmatico, aveva già dimostrato di saper sovvertire ogni previsione.
La partita si sviluppò secondo copione: i cechi attaccavano, i greci resistevano. Dopo 90 minuti di gioco intenso ma privo di gol, i supplementari sembravano inevitabili. Ed è qui che finalmente il “Silver Goal” ebbe il suo momento di gloria.
Al 105° minuto, proprio allo scadere del primo tempo supplementare, la Grecia ottenne un calcio d’angolo. Il cross fu preciso, la difesa ceca per una volta non fu impeccabile, e il difensore Dellas si elevò più in alto di tutti, infilando di testa il pallone alle spalle di Čech. Lo stadio ammutolì per un istante, prima di esplodere in un boato.
Quel gol valeva doppio: non solo qualificava la Grecia alla sua prima finale in un grande torneo, ma passava alla storia come l’unico “Silver Goal” decisivo in una competizione internazionale di rilievo. Il nostro Pierluigi Collina, una leggenda del fischietto, ebbe l’onore di decretare la fine della partita in base alla nuova regola.
La Gazzetta dello Sport scrisse: «E’ un Silver Goal che vale oro. Collina fa rimettere il pallone a centrocampo per pura formalità e poi emette il triplo fischio». Mai definizione fu più azzeccata: quel colpo di testa di Dellas incarnava perfettamente lo spirito del “Silver Goal”, decidendo la partita in un modo che il “Golden Goal” non avrebbe permesso.
Il crepuscolo argentato
Nonostante il suo momento di gloria in Portogallo, il “Silver Goal” non riuscì mai veramente a conquistare il cuore di tifosi, giocatori e addetti ai lavori. Le critiche erano molteplici e toccavano vari aspetti della regola.
In primo luogo, c’era un problema di comprensione: il “Silver Goal” era complicata da spiegare al pubblico generale. Molti tifosi faticavano a capire esattamente quando una partita poteva terminare e quali fossero le condizioni per continuare a giocare. Questa confusione si traduceva spesso in momenti di incertezza negli stadi, con il pubblico che non sapeva se esultare o continuare a tifare.
In secondo luogo, la regola creava situazioni tattiche complesse. Gli allenatori dovevano ora considerare non solo “come” segnare, ma anche “quando” segnare per massimizzare il vantaggio della Silver Goal. Questo poteva portare a calcoli strategici che andavano contro lo spirito di un gioco fluido e naturale.
Inoltre, il “Silver Goal” non riusciva completamente a risolvere i problemi che aveva ereditato dal “Golden Goal”. Sebbene offrisse una piccola chance di rimonta alla squadra in svantaggio, continuava a creare una pressione enorme sui giocatori, che potevano vedere i loro sforzi vanificati da un singolo momento di disattenzione.
Forse il problema più grande era che il “Silver Goal” sembrava una soluzione a metà: né la drammaticità improvvisa del “Golden Goal”, né la tradizionale struttura dei tempi supplementari completi. Era un compromesso che, come spesso accade, finiva per non soddisfare nessuno completamente.
Già nel 2004, prima ancora che la Grecia trionfasse a Euro 2004, FIFA e IFAB (International Football Association Board) avevano decretato la fine dell’esperimento. Il “Silver Goal” sarebbe stato abolito al termine del torneo europeo, segnando uno dei periodi più brevi per una regola del calcio moderno.
La decisione fu accolta con un misto di sollievo e nostalgia. Sollievo per il ritorno a una formula più semplice e comprensibile, nostalgia per quei pochi momenti di gloria che il “Silver Goal” aveva comunque regalato.
Con l’abolizione del “Silver Goal”, il calcio tornò così al formato tradizionale dei tempi supplementari: due tempi da 15 minuti, seguiti eventualmente dai rigori. Una soluzione antica ma collaudata, che ha resistito alla prova del tempo.