La coppa del nonno Hrubesch

Il romanzo di Euro 80, l’europeo organizzato in casa e rovinato alla vigilia dallo scandalo del calcioscommesse. Germania campione, Belgio rivelazione e Italia delusione.

Avviandosi al suo ventennio di vita, il campionato europeo aveva ormai esaurito la fase sperimentale. Dopo le iniziali incertezze, l’idea di Henri Delaunay era stata baciata dal successo. La fase conclusiva destava ormai grande interesse tecnico e nel contempo garantiva solidi ritorni economici al paese organizzatore e all’Uefa. Viene quindi deciso, a partire dall’edizione del 1980, un rivoluzionario cambiamento di formula: non più quattro, ma otto nazioni finaliste, sette espresse da altrettanti gironi di qualificazione e l’ottava ammessa di diritto, in qualità di ospitante. In tal modo, il campionato d’Europa si avvicinava sempre di più al Mondiale.

Ma la molla decisiva che fece approvare la proposta risultò più materiale: moltiplicando il numero degli incontri, si sarebbero moltiplicati anche gli utili. L’occasione era troppo ghiotta perché Artemio Franchi se la lasciasse sfuggire. Il grande dirigente toscano era un diplomatico di primo livello, e la sua influenza in ambito europeo e mondiale si era continuamente espansa. L’Italia all’epoca era fresca dall’aver organizzato le finali del 1968, ma le garanzie messe in campo da Franchi disintegrarono la pallida concorrenza.

Artemio Franchi, il più grande dirigente calcistico italiano

D’altra parte, dopo i tempi bui, per la Nazionale azzurra era tornato a splendere il sole. Bernardini, pur attraverso ripetuti insuccessi, aveva gettato le basi della squadra del futuro. Si era sobbarcato la parte più ingrata del lavoro, ma aveva consegnato a Bearzot un’Italia fresca, rinnovata, moralmente compatta. Il “vecio” ci mise molto del suo, sul piano morale e su quello tattico. Ai Mondiali del 1978 in Argentina l’Italia era stata la vera sensazione del torneo, e il quarto posto finale non le aveva certo reso merito.

La critica internazionale, abituata ad accusare il nostro calcio di difensivismo esasperato, era stata colta di sorpresa da un’Italia che praticava un gioco d’iniziativa, che aveva in Scirea un libero di costruzione alla Beckenbauer, che teneva due punte fisse in avanti, più un tornante della classe, e della vocazione offensiva, di Franco Causio. L’Italia era stata battuta da Olanda, in semifinale, e Brasile, nella finale del terzo posto, solo perché il grande Zoff era stato sorpreso da tiri da lontano. Però Paolo Rossi, “Pablito”, era stato il giocatore più ammirato del Mundial. E con lui Bettega, finissimo attaccante universale.

Franchi, insomma, riteneva di centrare l’en plein. Offrire una grandiosa dimostrazione di efficienza organizzativa e nel contempo guadagnare, come nel 1968, il gradino più alto del podio. Il destino però decise in altro modo. Proprio alla vigilia della fase finale, infatti, esplose in tutta la sua virulenza lo scandalo del calcio-scommesse, che trascinò nel vortice campioni di primissimo piano, Rossi su tutti, e portò il calcio a credibilità zero, nell’opinione pubblica. La gente disertò gli stadi, per una crisi di rigetto nei confronti dei propri idoli da cui si era sentita tradita, e al posto del preventivato successo finanziario il torneo, pur splendidamente e meticolosamente organizzato, registrò un colossale bagno di sangue.

Sul piano tecnico Bearzot, privato all’ultimo minuto della coppia d’attacco titolare RossiGiordano e danneggiato da qualche direzione arbitrale ostile, dovette ripiegare su un deludente quarto posto, pur non essendo mai sconfitto. Un piazzamento che risulterebbe inspiegabile, se non alla luce delle singolari circostanze, perché si collocò fra due felicissimi mondiali, quello già citato d’Argentina e quello vittorioso di Spagna 1982.

Siccome le disgrazie non vengono mai sole, Euro 80 ebbe anche l’onore, si fa per dire, di portare alla ribalta, al seguito dell’Inghilterra, il fenomeno degli hooligans. Ma andiamo con ordine.

Con l’Italia ammessa di diritto, i restanti trentun paesi furono divisi in quattro gironi da quattro squadre e in tre gironi da cinque. Una razionale scelta delle teste di serie evitò sorprese clamorose e spedì alla fase conclusiva tutte, o quasi, le formazioni più attese.

Guidata da un grande Kevin Keegan, sette gol nel girone di qualificazione, l’Inghilterra sbaragliò la concorrenza britannica delle due Irlande; il Belgio, che il Ct Guy Thys aveva impostato con una tattica ostruzionistica ma efficace, venne a capo di misura di Austria e Portogallo; la Spagna precedette sul filo di lana la Jugoslavia; l’Olanda, ancora una volta, ebbe la meglio sulla Polonia, così come la Cecoslovacchia, campione in carica, riuscì a precedere di un punto la Francia. La Germania non ebbe problemi contro rivali davvero modesti (Turchia, Galles e Malta), e la sola sorpresa parziale fu la Grecia del goleador Mavros, abile a sfruttare l’inatteso crollo dell’Urss, favorita del girone e finita invece all’ultimo posto, dietro anche a Ungheria e Finlandia.

Le otto superstiti vennero divise in due raggruppamenti: Germania, Cecoslovacchia (le finaliste della precedente edizione) Olanda e Grecia nel primo; Italia con Inghilterra, Belgio e Spagna nel secondo. Le vincenti dei gironi si sarebbero contese il titolo, le seconde sarebbero andate alla finale per il terzo posto.

Arbitro Michelotti, il gala di apertura, in un Olimpico drammaticamente semideserto, fu affidato a GermaniaCecoslovacchia. Decise, dopo un match non esaltante, un gol di Kalle Rummenigge. A Napoli, la favoritissima Olanda venne a capo dei greci, soltanto con un contestato rigore decretato dall’arbitro della DDR Prokop.

Attorno al torneo, l’atmosfera era comunque gelida. Provarono a riscaldarla, a Torino, gli hooligans, animando con micidiali scorrerie nel centro cittadino la vigilia di BelgioInghilterra. Sul campo, gli inglesi andarono all’assalto e i belgi si difesero, secondo copione. I belgi avevano un grande portiere, Pfaff, e una punta in eccezionale forma, Ceulemans. Il primo limitò i danni a un gol di Wilkins, il secondo lo pareggiò per l’1-1 finale, giudicato piuttosto sorprendente.

Tackle di Migueli su Graziani in Italia-Spagna 0-0

L’Italia debuttò a Milano contro la Spagna. Un mezzo disastro, che non diventò un disastro intero solo perché la traversa fermò un calcio piazzato di Juanito e l’arbitro annullò un gol a Santillana. Lo zero a zero finale, una manna, scatenò la contestazione del pubblico al grido di “buffoni, buffoni”.

GermaniaOlanda fu preceduta da un minigolpe in casa tedesca. Il Ct Derwall fu praticamente costretto, da Rummenigge e Hansi Muller che erano i padroni della squadra, a cambiare formazione: Stielike libero, lancio di un giovanissimo mediano, Bernd Schuster, che fu poi la rivelazione del torneo, e spazio in attacco all’anziano Horst Hrubesch, detto nonno-gol, un colosso inarrivabile nell’aprire varchi ai colleghi di reparto.

Così ridisegnata, la Germania fu protagonista di un avvio spettacolare, salendo presto a tre a zero, con una tripletta di Klaus Allofs. Solo negli ultimi dieci minuti Rep e Willy Van de Kerkhof ridussero le distanze. A punteggio pieno, i tedeschi erano praticamente in finale. Infatti, nell’ultimo match con la Grecia (già sconfitta dalla Cecoslovacchia) si limitarono a gestire lo 0-0, mentre l’Olanda non riuscì a superare i cechi (Nehoda e Rep in gol) e riprese la via di casa.

Klaus Allofs, protagonista della tripletta contro i resti dell’Olanda

L’Italia, dopo l’infelice presentazione, si giocava tutto contro l’Inghilterra. A Torino, una squadra azzurra in gran parte juventina trovò una migliore accoglienza e fu proprio un bianconero doc, Marco Tardelli, a decidere una partita dura e incerta, con un gol a 12 minuti dal termine. Il Belgio, dal canto suo, batté la Spagna 2-1. Importante il punteggio, perché a parità di punti e differenza reti, decideva il maggior numero di gol segnati. Il Belgio era primo, e contro l’Italia gli sarebbe bastato pareggiare per volare in finale contro i tedeschi. Gli azzurri erano invece costretti a vincere. Ormai tagliata fuori l’Inghilterra, il cui successo sulla Spagna risultò utile solo alle statistiche.

A Roma l’Italia andò cocciutamente all’assalto e il Belgio alzò le sue collaudate barricate. Il fuorigioco sistematico fece impazzire gli attaccanti azzurri, Graziani e Bettega, cui nella ripresa si aggiunse anche Altobelli. Tridente a secco, buie prospettive, quando nell’area belga Meeuws fermò un tiro diretto a rete con un chiaro e volontario fallo di mano: l’arbitro portoghese Garrido si voltò dall’altra parte. Era scritto che il calcio italiano dovesse scontare i suoi peccati e bere sino in fondo l’amaro calice. Lo zero a zero mandò i belgi alla finalissima e l’Italia (che pure non aveva subito neppure un gol) al match di consolazione per il terzo posto, contro i ceki.

L’inutile finalina si giocò a Napoli, finì a uno a uno con gol di Jurkemik e Graziani e pretese ben diciassette calci di rigore prima di emettere il verdetto. Fulvio Collovati fallì l’ultimo tiro, l’Italia fu quarta tra i fischi dei ventimila, scarsi, del San Paolo.

La gioia dei Diavoli Rossi e lo scoramento degli Azzurri

L’ultimo atto si annunciava senza storia, ma non fu così. La Germania, favoritissima, partì lancia in resta. Dopo dieci minuti, il biondo Schuster sfondò sulla fascia e sulla sua centrata Hrubesch fulminò Pfaff con una botta micidiale. Ma il Belgio aveva poco da perdere e infinita pazienza. Rimase rintanato, ad aspettare la fine della tempesta, e poco alla volta prese in mano il gioco. Hansi Muller, il regista tedesco, incontrò una delle sue giornate di pigrizia e fu sovrastato dal vecchietto Van Moer, le cui impeccabili geometrie non si erano inquinate con l’età.

A un quarto d’ora dalla fine, un fallo di Stielike a cavallo della linea d’area, fu interpretato nel modo più severo dall’arbitro romeno Rainea. Vandereycken trasformò il rigore e la Germania si trovò in mezzo al guado. Il Belgio sospirava i supplementari: il suo gioco al risparmio lo conservava in eccellenti condizioni di freschezza.

La Germania temeva la proroga e i rigori, che già l’avevano condannata quattro anni prima. Risolse tutto, a un minuto dalla fine, nonno Hrubesch. Con la doppietta in finale, fu l’indiscutibile match-winner di un campionato europeo che quasi tutti, a parte i vincitori, non vedevano l’ora di dimenticare.

Horst Hrubesch esulta: Euro 80 è suo