La genesi del Girone Unico

Nel 1897 il Genoa vince il primo scudetto, ma dovranno passare ancora 30 anni prima che il calcio in Italia diventi adulto con la nascita del Girone Unico…


LO SCENARIO

La nascita del girone unico in Italia come in Spagna, in Cecoslovacchia come in Francia, prese avvio da una serie di fattori che si rivelarono compiutamente negli Anni Venti. I sottili equilibri della Pace di Versailles favorirono, con la ricostruzione, lo sviluppo dell’industria e, di conseguenza, il «bisogno» dello spettacolo calcistico. La grande fortuna dei tornei olimpici del 1924 e del 1928, aprì le pagine dei giornali a nomi nuovi, leggendari, arrivati da oltre oceano, che colpivano immancabilmente la fantasia popolare. Il calcio, da sport che era, divenne anche spettacolo e come spettacolo incrementò e favorì lo sviluppo di quelle società che potevano disporre di strutture adatte a ricevere la domanda di migliaia di sportivi. Divaricazione netta, quindi, fin da allora, del calcio metropolitano da quello provinciale; la tenacia, la passione, la generosità, divennero virtù complementari all’organizzazione societaria, al possibile concorso di pubblico.

Finiva l’epoca del pionierismo, che aveva conosciuto giornate indimenticabili ed esaltanti, su campi recintati alla meglio, dove la passione del pubblico ad un metro dalle righe, alitava sul campo e spingeva i giocatori ad imprese leggendarie. Finiva l’epoca della gloriosissima Pro Vercelli, del Casale dalla nera casacca stellata, del Bologna glorioso che nel 1925 riuscì a spuntarla sul Genoa dopo cinque finali, del Genoa stesso che, nato direttamente da genitori inglesi, si avvalse dell’esperienza dei figli di Albione e dominò la scena calcistica italiana del primo quarto di secolo.

GENOA PRIMA DI TUTTI

Erano ormai trascorsi trent’anni dal primo campionato tricolore organizzato dalla appena nata FIGC nel 1898. Trent’anni in cui il «Football» aveva conosciuto progressi formidabili, grazie alla passione per lo sport di alcuni personaggi che hanno il merito di aver seminato una terra fertile e generosa. Gli sviluppi dell’organizzazione societaria in Italia presero l’avvio dalla nascita a Genova, nel 1893, del Genoa Cricket and Athletic Club. Fondato da residenti inglesi, aveva sede nel Consolato britannico, i giocatori manco a dirlo, erano tutti inglesi, compresi i dirigenti. Personalità di spicco era James Spensley, che fu anche fautore, nel 1897, di una riforma dello statuto che permetteva agli italiani di frequentare i locali del club e di prendere parte agli incontri.

Genova fu quindi la prima capitale del calcio italiano, seguita a ruota da Torino che già nel 1898 contava tre delle quattro squadre che partecipavano al primo torneo per la qualifica di squadra campione d’Italia. Dopo il primo incontro di calcio fra squadre di città diverse (6-1-1898; Ventimiglia; FBC Torinese-Genoa 1-0), l’idea di un torneo si fece strada prepotentemente. Nacque la Federazione ed il torneo fu organizzato in poco tempo per il maggio di quell’anno. Il primo scudetto fu appannaggio del Genoa che lo vinse a Torino su un Campetto di Porta Susa. Capitanava la squadra il dottor Spensley ed il compito non era certo facile, visto che i vincitori parlavano lingue diverse e cioè inglese, francese e tedesco.

Il Genoa campione 1899: Da sx: Ghigliotti, De Galleani, Spensley, Edoardo Pasteur, Leaver, Enrico Pasteur, Passadoro, Arkelss, Dapples, Deteindre e Agar

GLI SCUDETTI DELLA PREISTORIA

Nei trent’anni di pionierismo del calcio italiano si possono caratterizzare tre tempi distinti. Agli inizi le squadre erano formate in gran parte da stranieri che svolgevano la loro attività lavorativa in Italia, inglesi e svizzeri soprattuto.Il Genoa, che vinse i tre scudetti consecutivamente, il Milan (1901), la Juventus (1905) si avvalevano della loro presenza decisiva. Il riscatto degli indigeni venne con la Pro Vercelli che, affacciatasi per la prima volta sulla scena delle finali nel 1908, mise d’accordo tutti vincendo il titolo. Ma c’erano state polemiche violente; la FIGC aveva dettato l’ostracismo contro gli stranieri, Milan, Genoa e Torino non presero parte alla competizione, la Juventus si ritirò dopo appena due incontri. L’anno successivo, la Pro Vercelli suffragò con una altra vittoria il trionfo dell’anno prima, e non ci furono scuse, poiché al torneo per lo scudetto avevano partecipato tutte le squadre di maggior nome avendo la federazione ritirato la discutibile decisione autarchica.

L’Inter che nel 1910 conquistò in modo roccambolesco il suo primo scudetto

RIVINCITA DELLA PROVINCIA

Fenomeno tipicamente provinciale, la Pro Vercelli di tutti italiani dominò la scena fino al 1913, con l’unica eccezione del 1910, quando a vincere il titolo fu l’Internazionale. Si affacciò poi il Casale, tradizionale avversario della Pro, ed il Genoa chiuse il periodo anteguerra conquistando il suo settimo scudetto. Al ciclo degli stranieri, che aveva caratterizzato il periodo 1898-1907, era seguito il periodo del calcio provinciale con le vittorie a ripetizione della Pro Vercelli e del Casale. Con la ripresa dell’attività calcistica del dopoguerra, si aprì il ciclo del calcio cittadino e metropolitano. Nel 1920 fu l’Internazionale di Campelli e Cevenini III a vincere, e anche se negli anni successivi, la Novese e la Pro Vercelli riuscirono ancora a sventolare la bandiera della provincia, il fenomeno calcio stava imboccando una strada diversa, quella dei grandi agglomerati urbani con più ampie possibilità selettive e finanziarie. Novese e Pro Vercelli vinsero il doppio campionato 1921-22 e fu quello l’addio del calcio provinciale. La conversione del «football» da sport e spettacolo portava folle ai campi e soldi nelle casse per cui l’ambiente andava decisamente trasformandosi in due direzioni. Da una parte, le società che potevano contare su una maggiore partecipa- zione di pubblico alle partite e che tendevano a monopolizzare il campionato, e dall’altra le società di provincia, costrette al declino e alla funzione di vivaio per le società maggiori. Il contrasto d’interessi giunse in Federazione e sfociò nello scisma che è alla base del doppio titolo del 1921-22. Le società maggiori avevano incaricato Vittorio Pozzo di elaborare un progetto di riforma del campionato per selezionare e ridurre le formazioni partecipanti al campionato.

IL CALCIO DIVENTA ADULTO

In realtà, Vittorio Pozzo si batteva per il progresso tecnico del gioco ed in quell’occasione divenne strumento delle società maggiori che intendevano indirizzare il torneo verso obiettivi chiaramente finanziari. Queste avevano minacciato di uscire dalla Federazione se al campionato fossero state accolte più di ventiquattro adesioni e, vista l’inutilità della minaccia, si confederarono dando vita alla Confederazione Calcistica Italiana che organizzò un proprio torneo vinto dalla Pro Vercelli. La FIGC organizzò il torneo per proprio conto ed assegnò il titolo alla Novese. Fu quella l’occasione d’ingresso sulla scena del calcio italiano di moltissime società del Centro-Sud che completò l’opera iniziata dalla Federazione nel 1912, quando aveva facilitato l’accesso alla massima divisione per propagandare il calcio su tutto il territorio nazionale. Lo scisma rientrò nell’anno successivo, prevalse il criterio selettivo con l’organizzazione del campionato in Lega Nord, suddiviso in 3 gironi, e Lega Sud su quattro. Ogni Lega avrebbe fornito una finalista al titolo italiano. Fu ancora il Genoa a vincere il primo campionato della nuova era caratterizzata dalla selezione tecnica ed economica. E il 1924 segnò la vittoria completa delle società maggiori che riuscirono

La Pro Vercelli del 1921. L’anno dopo vincerà il suo ultimo campionato e segnerà il declino del calcio provinciale

finalmente a far passare il loro progetto di limitazione a 24 squadre per il campionato di Lega Nord, la finale con la partecipante di Lega Sud era poco più che una formalità. Intanto, fra le pieghe degli interessi finanziari, nascevano i primi episodi di professionismo come il caso Rosetta nel 1923 e quello Allemandi nel 1927, La selezione tecnica ed economica voluta e attuata facilitò la nascita del girone unico. Ormai sulla scena c’erano autentici squadroni come il Bologna di Schiavio e Della Valle, il Torino di Baloncieri-Libonatti-Rossetti, la Juventus di Hirzer e Viola. L’occasione dei grandi incontri di cartello era il veicolo sul quale incanalare la crescente popolarità del calcio, la decisione xenofoba della carta di Viareggio che aveva decretato l’ostracismo agli stranieri dopo il campionato 1926-27, venne aggirata con la possibilità di avvalersi dell’opera dei calciatori dalla doppia nazionalità e cosi arrivarono in Italia gli «oriundi» Orsi, i Monti, i Pedullo ecc. ecc. Tutto era pronto per il girone unico e la Federazione ne aveva regolamentato l’accesso qualificando le prime otto della Lega Nord ed altrettante dalla Lega Sud. Le sedici prescelte divennero invece diciotto, poiché Napoli e Lazio non riuscirono a dirimere la vertenza tra di loro dopo tre incontri finiti in pareggio e la Triestina fu ammessa per meriti patriottici.

IL BALILLA BATTEZZA IL GIRONE UNICO

Il primo torneo a girone unico coincise con la valorizzazione completa del miglior prodotto di tutti i tempi del calcio nazionale: Giuseppe Meazza. Il «Balilla», come venne chiamato dalla stampa di regime, aveva cominciato a tirare i primi calci nella massima serie ad appena diciassette anni nell’Internazionale che divenne Ambrosiana per la guerra che il regime aveva dichiarato ai termini stranieri. Meazza era un fenomeno e lo dimostrò proprio nel campionato 1929-30. La Juventus era attrezzata per vincere lo scudetto, con Orsi, Combi, Rosetta, Munerati, Varglien, Cevenini, Vojak, così come il Genoa che contava nelle proprie fila gente come De Prà, portiere leggendario, Levratto, Banchero, ma Meazza fu il migliore di tutti e trascinò l’Ambrosiana alla vittoria finale con i suoi gol puntuali. Ne segnò 31 delle 33 gare disputate e nelle partite decisive con il Genoa che terminò secondo e la Juventus, terza, non fece mancare lo svolazzo della sua firma. Era una buona squadra, l’Ambrosiana dello scudetto 1929-30, anche se in sede di Coppa Europa Centrale fu eliminata dallo Sparta dopo aver superato nei quarti l’Ujpest in quattro drammatici incontri. Il portiere Degani, Allemandi Viani Serantoni Conti erano la guardia d’onore per Meazza che inventava il calcio ogni domenica. Erano altri tempi, si segnava di più (969 reti nelle 306 partite) il pubblico non ancora diviso in fazioni, cercava lo spettacolo e non si accontentava del punticino anche sgraffignato. L’Ambrosiana segnò comunque 85 reti in 34 partite, una media discreta, e sì appuntò sulla maglia il primo scudetto. Retrocessero in seconda divisione Padova e Cremonese, la Pro Vercelli portabandiera del calcio provinciale finì nona, la Triestina fu l’unica a potersi vantare di aver battuto sul proprio campo i campioni d’Italia.

IL QUINQUENNIO DELLA JUVE

Con lo scudetto sulla maglia, l’Ambrosiana perde colpi: è sconfitta undici volte, le prodezze di Meazza (25 reti) non bastano. Al calo piuttosto notevole denunciato dai nerazzurri, fa riscontro l’esplosione della Juventus, che allinea una formazione fortissima. Combi tra i pali, Rosetta e Caligaris due leggende, Barale, Varglien I (i 100 m in 11’2), Rier, Munerati, Vecchina, Ferrari, accanto ai due sudamericani Cesarini e Orsi. Gioca il metodo allora in voga (mediani sulle ali, il centromediano in funzione da stopper e di rilancio, i due terzini liberi da marcamenti spazzano l’area, mezze ali arretrate che fanno la spola, estreme ben larghe, centravanti sempre in agguato). E’ un gioco spettacolare e Carcano, che è l’allenatore, lo conosce bene. La Juve vince il campionato, ma non lo domina, alterna giornate splendide ed altre inquietanti. Perde ad esempio 0-5 in casa della Roma, e 0-4 al Comunale di Bologna, e le stesse Roma e Bologna le insidiano fino alle ultime giornate la vittoria in campionato. La Roma si piazza seconda, ed è un grandissimo campionato, quello del giallorossi, che vantano fuoriclasse come Masetti (un portiere di grande scuola), Bernardini (il «Rivera degli Anni Venti»), il centravanti Volk (che vincerà la classifica cannonieri con 29 reti) e l’ala azzurra Costantino.

Il Bologna, piazzatosi sesto nel primo campionato a girone unico, ha costretto il celeberrimo Ermann Felssner a rinnovare la squadra. Sono arrivati Reguzzoni (buon goleador) dalla Pro Patria, e Francisco «Piteta» Fedullo, dall’Uruguay. Fedullo è un fuoriclasse, con rare presenze nel «plantel» uruguaiano, perché ha la strada sbarrata da Scarone e Cea, due monumenti dell’Uruguay bi-campione olimpico e campione del mondo.Lo ha segnalato Ivo Fiorentini, un faentino emigrato in Sudamerica che manda entusiastiche corrispondenze all’allora nascente «Calcio Illustrato» e che, al ritorno in patria, intraprenderà la carriera di allenatore con buoni risultati. Fedullo è un fuoriclasse, Reguzzoni segna a ripetizione, ma la squadra stenta ad ingranare all’inizio e Felssner deve fare le valigie per lasciar posto a Giulio Lelovich. Cosa sarebbe accaduto se il Bologna avesse mantenuto un ritmo più regolare? Chi lo sa. Forse avrebbe impedito alla Juve di vincere lo scudetto ed iniziare quella magnifica serie di successi strepitosi che la qualificarono come la squadra più amata d’Italia.La Juventus riuscì a vincere pur avendo segnato meno e incassato di più di Roma e Bologna, nessuno pensava quindi al ripetersi di tale avvenimento, il club torinese ingaggiò un altro fuoriclasse argentino che aveva partecipato alla finalissima di Montevideo e che era stato allontanato sia dalla nazionale, sia dalla squadra di club che lo riteneva responsabile di una condotta poco coraggiosa nella disfida finale con gli uruguaiani. All’arrivo, Monti pesava quasi un quintale, ma si mise a dieta e dimostrò sul campo di essere ancora un validissimo campione. Ancora la Juve sugli scudi e forse alla base della popolarità immensa che incontrò in quegli anni stava il fatto che i bianconeri affrontavano ogni incontro con l’unico imperativo di vincere e ci riuscivano spesso, sia sul campo amico che in trasferta.

A rinforzare il Bologna, che aveva finito il torneo precedente in crescendo, era arrivato un altro campione dal Sudamerica, inviato dallo stesso Fiorentini che già aveva segnalato Fedullo. Quello rossoblu diventa un vero squadrone, con Schiavio, fra i due sudamericani (che segna venticinque reti ed eguaglia il formidabile Petrone, uruguaiano campione olimpico che gioca nella Fiorentina), con una difesa formidabile chiusa dal «gatto magico» Gianni, ed imperniata su Baldi «il centromediano in frac» e Monzeglio e Gasperi, due terzini di grande levatura. Il Bologna impegna la Juve allo spasimo e si gioca il campionato a Torino l’1 maggio 1932. Mancano poche giornate alla fine, il Bologna è staccato di un punto e gioca il tutto per tutto. Segna Maini ma Orsi pareggia su rigore contestabile; Schiavio riporta in vantaggio i bolognesi, ma Vecchina con una doppietta chiude il discorso, vince ancora la Juve e l’avvenimento contingente dell’anno prima, rischiava di diventare una, abitudine. E lo diventa, poiché la Juventus riuscirà ogni anno a sostituire gli elementi ormai logori ed a mantenere inalterato il valore di squadra.

La Juventus 1931/32

Il terzo scudetto della trafila tramanda una classifica in cui l’Ambrosiana è staccata di otto punti; il quarto un buon recupero dei milanesi che terminano a quattro lunghezze. Era arrivato Sernagiotto, brasiliano a sostituire Munerati, «Farfallino» Borel segnava i gol. la Juve vinceva i tornei con la media inglese attiva, segno di regolarità e forza. Il quinto scudetto della serie fu molto più sofferto. Ad inizio torneo si involò la Fiorentina di Perazzolo, Amoretti e del ceco Nehadoma, poi l’Ambrosiana incalzava con Meazza, Frione, Demaria, Ceresoli, la Juve incontrò traversie di ogni genere. Carcano si dimise per i lazzi ingenerosi della stampa, Orsi a marzo fece le valigie, la squadra era vecchia e logora ma riuscì con un sussulto d’orgoglio ad alterare l’ultima conquista.Per la trentesima giornata – nel 1934-35 il torneo fu disputato a 16 squadre – con Juve ed Ambrosiana appaiate a 42 punti, erano previsti gli incontri Juventus-Fiorentina e Lazio-Ambrosiana. Il compito sembrava più difficile per i bianconeri che ospitavano la Fiorentina, terza in classifica mentre il successo pareva alla portata dei milanesi. Andò tutto a rovescio come spesso succede nel calcio. La Juve agganciò la vittoria con una rete di Ferrari, e l’Ambrosiana fu invece sconfitta dalla Lazio (2-4) con una tripletta del centravanti biancoceleste Piola che, rivelatosi nella Pro Vercelli (tra l’altro aveva stabilito con la gloriosa maglia della Pro il record delle reti segnate in una giornata, sei, due anni prima nel corso dell’incontro Pro Vercelli-Fiorentina 7-1) era passato alla Lazio per imposizione di regime. La Juve vinse ancora, dunque, stabilendo un record e segnalandosi per l’impresa fra le squadre più conosciute d’Europa; ma il ciclo era finito. Combi aveva abbandonato, Orsi e Cesarini tornavano in Argentina, Caligaris precedeva Rosetta sulla strada del ritiro. Ferrari andava all’Ambrosiana, si imponeva un ringiovanimento che fu ancora più difficile per la scomparsa di Edoardo Agnelli.