La Juve e la Coppa stregata

Ad Atene, il 25 maggio ‘83, un gol di Felix Magath consentì all’Amburgo di Happel, sfavorito dai pronostici, di conquistare il titolo europeo.

Un appuntamento mancato con la storia. La Coppa dei Campioni sfuggita proprio quando sembrava a portata di mano. Un trofeo che rimase un miraggio. La Juventus, infarcita di campioni del mondo (sei) e potenziata da una coppia di autentici fuoriclasse stranieri (Platini e Boniek), andò incontro ad un’inopinata disfatta allo stadio Olimpico di Atene. Era il 25 maggio 1983. Contro un avversario nettamente più debole, l’Amburgo guidato dall’austriaco Ernst Happel, le premesse c’erano tutte per mettere le mani sul primo titolo europeo per club, dieci anni dopo la sconfitta di Belgrado contro il grande Ajax di Cruijff. Giovanni Trapattoni, reduce da due scudetti consecutivi, l’aveva confidato a Giovanni Arpino già il giorno della finale mondiale di Madrid del luglio ’82: “Sarà l’anno più duro, il più difficile per me. Sarà tremendo”. Il cammino europeo juventino fu praticamente senza intoppi. Sbrigata agevolmente la pratica danese Hvidovre, i bianconeri incrociarono i belgi dello Standard Liegi, compagine temibile, finalista di Coppa della Coppe nella stagione precedente. Una formazione tosta, regolata 2-0 al “Comunale” dopo il sofferto pareggio in trasferta (1-1).

Ai quarti di finale, Zoff e compagni realizzarono il capolavoro stagionale, eliminando i detentori del trofeo: gli inglesi dell’Aston Villa. Fu la vittoria più bella della stagione. Una partita “straordinaria”, come la definì Ezio De Cesari, grande firma del Corriere dello Sport. Forza, determinazione e un pizzico di spavalderia permisero alla Vecchia Signora di vincere per la prima volta in Inghilterra nella sua lunga storia internazionale. Il “Villa Park”, lo stadio dei campioni d’Europa in carica, assistette in silenzio alla superba prestazione juventina, all’insegna di una grande forza tecnica, pari alla vigoria agonistica. Platini e Boniek, incontenibili, sconquassarono la difesa inglese. In avvio, Rossi andò in gol alla prima occasione. Azione da manuale sulla fascia sinistra: Bettega per Cabrini, cross del Bell’Antonio deviato in rete da Pablito. Era passato poco più di un minuto dal calcio d’inizio. Brio non lasciò spazio al temibile centravanti britannico Peter White, bloccandolo anche nel gioco aereo. Dopo aver sfiorato il raddoppio in contropiede, la squadra del Trap incassò l’1-1, segnato da Cowans nei primi minuti della ripresa. L’Aston Villa, dopo aver provato a ribaltare il risultato, subì la stoccata decisiva. Minuto 81: lancio millimetrico di Le Roi Michel per Boniek che firmò il gol della vittoria, il colpo da ko che spalancò alla squadra di Trapattoni le porte delle semifinali.

L’undici schierato da Trapattoni nella calda serata di Atene

Curiosità televisiva: la Rai mandò in onda solo una sintesi della partita in tarda serata, nel corso di Mercoledì Sport. Nella breve finestra andata in onda sul Tg1 delle ore 20, i tifosi fecero in tempo a vedere il gol lampo di Rossi tra l’indifferenza generale in studio, con il giornalista intento a ricordare ai telespettatori l’appuntamento con la sintesi della gara. Fu l’emittente privata TMC a trasmettere la diretta ma solo per il Nord Italia. L’inserzione pubblicitaria di una nota marca di olio (quello del mangiar bene per sentirsi in forma) impedì la visione del primo gol. La Juve ammirata al “Villa Park” era una squadra quasi perfetta. Formidabile la difesa dove Zoff si confermò ai livelli del Mundial spagnolo, Gentile e Cabrini terzini laterali capaci di prestazioni sempre d’alto livello e con la coppia centrale, composta da Brio e Scirea, ermetica e affiatata. A centrocampo, con l’instancabile Bonini, Tardelli, Platini e Boniek formavano un reparto tutto classe e forza atletica mentre in avanti, le punte Rossi e Bettega si completavano a vicenda. Uno degli schemi più frequenti prevedeva veloci interscambi tra Bettega e Boniek, con il primo pronto ad arretrare per aprire spazi al polacco, terrificante in contropiede. Quella squadra entusiasmò e diede spettacolo in campo internazionale. Strapazzato l’Aston Villa nella partita di ritorno (3-1), in semifinale i bianconeri trovarono il Widzew Lodz, l’ex squadra di Boniek. I polacchi, capaci di eliminare il Liverpool, si dimostrarono un osso duro. La pratica venne già regolata all’andata, con un nitido 2-0 griffato da Tardelli (tiro deviato da Grebosz) e Bettega. Nella gara di ritorno, Rossi frustrò le speranze polacche di rimonta, azzerate dal gol del 2-2, su rigore, di Platini.

L’Amburgo, dopo aver eliminato i tedeschi orientali della Dinamo Berlino, la squadra di Erich Mielke, il deus ex machina della Stasi, andò sul velluto contro i greci dell’Olimpiakos prima di regolare, senza particolari difficoltà, i sovietici della Dinamo Kiev di Oleg Blochin. Per gli anseatici fu molto sofferta la qualificazione in finale, maturata dopo due partite equilibrate contro i baschi della Real Sociedad. Il pareggio di San Sebastian (1-1) rimandò tutto al match di ritorno in terra tedesca. Al Volparkstadion, il portiere Arconada divenne il protagonista, neutralizzando i tentativi dei padroni di casa. Nell’ultimo quarto d’ora i tre gol. Jakobs sbloccò le marcature, Alvarez trovò il pari cinque minuti dopo. A decidere la qualificazione fu Von Heesen, autore del gol (84’) che condusse ad Atene i rossi amburghesi. L’austriaco Hernst Happel, classe 1925, centrò così un record: primo allenatore a raggiungere, con tre squadre diverse, la finale di Coppa dei Campioni. Chiamato “il tiranno” dai suoi giocatori, Happel sorrideva raramente e detestava i giornalisti sportivi. Aveva una rarissima capacità: seduto nella sua sedia da regista, gli bastava osservare per pochi minuti un suo giocatore durante l’allenamento per capire se si poteva fidare. Con il calcio italiano vantava un’ottima tradizione, avendo sempre vinto.

I tedeschi di Happel

Un cursus honorum di grandissimo rispetto, il suo, dove mancava solo il Mondiale, sfuggitogli nel ’78 in Argentina quando allenava l’Olanda. Happel capì subito che aria tirava in finale non appena Passarella, con una gomitata, fece saltare quattro denti a Neeskens. La sua forza era lo studio maniacale degli avversari per trovare l’antidoto in grado di annullarli. L’Amburgo era già stato capace di fermare il dominio bavarese in Bundesliga, conquistando il campionato tedesco davanti al Colonia. Nella finale contro la Juventus, il tecnico austriaco costruì l’impresa attorno ai tre nazionali tedeschi a disposizione: il difensore Manfred Kaltz, il regista Felix Magath e il possente centravanti Horst Hrubesch, praticamente un armadio, il panzer per antonomasia. Non potendo schierare l’incontrista Hartwig, squalificato, Happel tirò fuori dal suo cilindro tattico la marcatura fissa di Rolff su Platini mentre Bastrup e Milewski furono impiegati a sostegno di Hrubesch. Tra i pali andò l’esperto Stein, una sicurezza. Completarono l’assetto titolare Wehmeyer, Jakobs, Hieronymus e Groh.

Trapattoni schierò la Juventus con l’undici atteso alla vigilia: Zoff, Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Boniek, Tardelli, Rossi, Platini e Bettega. Ad Atene arrivò una moltitudine di tifosi bianconeri: circa 40 mila contro gli appena 4 mila teutonici. Oltre un centinaio di voli charter dall’Italia, treni speciali, autobus e automobili. Una larga parte del tifo bianconero riteneva quella finale impossibile da perdere. Erano state già stampate persino le magliette ricordo: Juventus campione d’Europa 1983. Anche nell’albergo della capitale greca, che ospitava la comitiva juventina, il clima era di festa annunciata. Cabrini andò in marcatura su Bastrup mentre a Brio venne affidato Hrubesch. L’Amburgo aggredì subito il centrocampo juventino con Milewski a sinistra e Groh a destra, capaci di limitare Bonini e Tardelli. Il primo acuto della partita rispecchiò il canovaccio della vigilia: la Juventus andò vicina al vantaggio prima con Platini e quindi con un colpo di testa in tuffo di Bettega, deviato da una prodezza di Stein. Pochi minuti dopo, al 9’, arrivò la doccia gelata. Magath, servito da Groh, partì palla al piede dalla trequarti juventina.

Una danza macabra la sua: saltato Bettega ed evitato il tackle di Tardelli, il ventinovenne tedesco lasciò partire un tiro mefitico quasi dal limite dell’area. Una botta che si insaccò non molto distante dall’incrocio dei pali alla sinistra di Zoff. Il portiere bianconero abbozzò l’intervento, poi si ritrovò in ginocchio, quasi frastornato, mentre i giocatori avversari esultavano. Quella conclusione, a metà tra un pallonetto e un diagonale, si abbassò repentinamente, insaccandosi in rete. Sugli spalti calò una cappa di gelo mista a silenzio. I bianconeri accusarono il colpo, Boniek salvò sulla linea una conclusione di Kaltz, diretta nell’angolino basso alla destra di Zoff. Lo squadrone del Trap, super accessoriato in ogni reparto, sembrò una ciurma di spaesati. Rolff annullò Platini, Tardelli rimase impigliato tra Wehmeyer e Milewski, blocco preparato da Happel per togliere velocità a Schizzo.

Nella seconda metà di gara, Trapattoni avanzò Platini, concedendo anche a Scirea di spostarsi in avanti. La partita rimase bloccata, cristallizzata. I minuti passavano inesorabili. L’impalpabile Rossi lasciò il campo a Marocchino, tornante destro che in giornata di grazia sapeva rendersi molto incisivo. Gli fu affidato il compito di perforare lateralmente la retroguardia tedesca, registrata dagli impeccabili Jakobs e Hieronymus. Di palle gol neanche l’ombra. La mediocrità avvolse persino Boniek, uno dei pochissimi juventini a superare la sufficienza. Trap provò anche Bettega centravanti, per sfruttarne le doti di colpitore di testa proprio mentre Happel inseriva Von Heesen al posto di Bastrup, potenziando ulteriormente il centrocampo. La frenesia di rimontare fece sbagliare ai bianconeri persino i passaggi più elementari. Si gridò al rigore dopo uno scontro in area tra Stein e Platini, l’arbitro Rainea lasciò correre. I restanti minuti non riservarono altre emozioni: la coppa dalle grandi orecchie prese il volo per Amburgo. La Juventus degli “otto tenori”, costretta a scucirsi anche lo scudetto, vinto dalla Roma di Liedholm, sbagliò la partita più importante, passando alla storia come una grande incompiuta. Per il calcio tedesco fu una parziale ma significativa rivincita post mondiale.

Il giorno dopo, La Gazzetta dello Sport titolò a tutta pagina “Juve ci hai tradito”, ponendo anche un interrogativo verso il portiere bianconero (“Zoff, che cosa hai fatto?”) e sottolineando la sostituzione di Pablito (“Trapattoni caccia Rossi”). Intervistato da Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 6 novembre 2016), l’ex portiere juventino ha spiegato così la rete di Magath: “Dissero che avevo preso gol da 30 metri ma era un tiro quasi dal limite dell’area. Adesso li chiamano eurogol, allora scrissero che ero cieco”.

Il giornalista e scrittore torinese, Giovanni Arpino, tifoso bianconero, analizzò così la finale di Atene. “Lasciamo perdere i toni tragici. – scrisse Arp – La partita ha avuto una sua perfetta, leggibilissima, controllabilissima logica interna. I tedeschi, che nella loro spocchia, motivata da invidiabile arroganza atletica, pretendono tutto e vengono regolarmente beffati, non appena si fanno umili vincono pure loro. La Vecchia Signora, che ha garbo, stile e sa obbedire anche alle tradizioni negative, che non mangia i suoi figlioletti pur se lievemente traditori, ha scelto la sconfitta di Atene per far sorridere ‘fratello Zeffirelli’ che subito dopo la partita ha pubblicamente ringraziato, disturbandolo, Iddio per tanta grazia ricevuta. Non sappiamo – concluse l’autore di Azzurro Tenebra – se il Padreterno gli ha risposto: forse preferisce restare neutrale e non immischiarsi con i santini di celluloide del celeberrimo regista toscano”. Prendendo in prestito la metafora utilizzata da Roberto Beccantini, i panzer amburghesi furono gli indiani, i Sioux. La Juventus, viceversa, i soldati del generale Custer che, invece di stanare gli indiani, ad Atene si fecero circondare e caddero in trappola.

25 maggio 1983 – Stadio Olimpico – Atene
AMBURGO – JUVENTUS 1-0
Rete: 9′ Felix Magath 1-0
AMBURGO: Uli Stein; Manfred Kaltz, Ditmar Jakobs, Holger Hieronymus, Bernd Wehmayer, Jürgen Groh, Wolfgang Rolff, Lars Bastrup (Thomas von Heesen 56), Felix Magath, Jürgen Milewski, Horst Hrubesch (c). CT: Ernst Happel
JUVENTUS: Dino Zoff (c); Claudio Gentile, Sergio Brio, Gaetano Scirea, Antonio Cabrini, Massimo Bonini, Michel Platini, Marco Tardelli, Zbigniew Boniek, Roberto Bettega, Paolo Rossi (Domenico Marocchino 56). CT: Giovanni Trapattoni
Arbitro: Nicolae Rainea (Romania)