Nel calcio argentino degli anni ’20, un giapponese di nome Kanichi Hanai divenne leggenda. Da semplice operaio a massaggiatore del Boca Juniors, le sue “mani magiche” curarono campioni e scrissero una storia unica di integrazione.
Tra il 1871 e 1915, Buenos Aires divenne il crocevia di un’epica migrazione che avrebbe portato quasi cinque milioni di persone provenienti da tutto il mondo a cercare fortuna sulle sponde del Rio de la Plata. Le strade della città risuonavano di dialetti italiani, spagnoli, russi, armeni e di decine di altre lingue. La necessità di semplificare questo mosaico umano portò a curiose generalizzazioni: ogni biondo che parlava una lingua slava diventava un “russo“, ogni musulmano un “turco“, ogni italiano un “tano“, ogni spagnolo un “gallego“.
In questa Babele moderna nasceva qualcosa di unico: il lunfardo, un nuovo linguaggio nato dalle strade, e il tango, un ballo che mescolava le influenze di mille culture. Era la Buenos Aires delle mafie internazionali, dei bordelli clandestini, dei balli tra uomini al limite della trasgressione. Nel 1885, La Boca registrò il primo omicidio di stampo mafioso, mentre nei quartieri alti i britannici osservavano con sdegno questo fermento popolare dalle loro terrazze esclusive.
La città stava diventando un laboratorio sociale dove le differenze si fondevano e si scontravano, creando una nuova identità che avrebbe trovato la sua massima espressione proprio nel calcio.
La ribellione dei figli degli immigrati
Fu una rivoluzione silenziosa ma inarrestabile. Il calcio, nato nelle scuole d’élite britanniche di Buenos Aires, stava per essere conquistato dai figli delle strade, dai ragazzi cresciuti nei quartieri popolari, dove ogni spazio vuoto diventava un “potrero” per giocare.
Gli Alumni, i Saint Andrew’s Old Caledonians e i Lomas Athletic, con i loro giocatori dai cognomi anglosassoni e le loro regole rigide, stavano per essere soppiantati da una nuova generazione di club. Il Boca Juniors nacque da un sogno condiviso da cinque giovani di origine genovese in un banco della plaza Solís. Il San Lorenzo venne alla luce sotto la benedizione di padre Lorenzo Massa, figlio di piemontesi. L’Huracán vide la luce grazie all’entusiasmo di figli di francesi e spagnoli.
Questi nuovi club non erano solo squadre di calcio: erano luoghi di aggregazione dove le barriere etniche si dissolvevano. Sugli spalti, un italiano poteva abbracciare un armeno mentre esultavano insieme per un gol di Erico con la maglia dell’Independiente. Il calcio stava diventando il linguaggio universale della nuova Argentina, un ponte tra culture diverse che fino a quel momento avevano vissuto separate.
Era la rivincita del popolo, che aveva rubato il gioco ai “signori” per trasformarlo in qualcosa di completamente nuovo, più passionale, più creativo, più argentino.
Il giapponese che sussurrava ai muscoli

La storia di Kanichi Hanai sembra uscita da un romanzo. Nato nel 1886, la sua vita venne segnata dalla tragedia quando suo padre morì nei primi mesi della guerra russo-giapponese, combattendo contro le truppe zariste. Una perdita che spinse il giovane Hanai, appena diciannovenne, a cercare fortuna oltre i confini del suo paese, lasciando dietro di sé una madre e dieci fratelli.
Con un bagaglio di conoscenze in anatomia, jiu-jitsu e ginnastica, Hanai tentò prima la fortuna in Europa, ma trovò solo porte chiuse. Dopo due anni di vagabondaggio, si ritrovò su una nave diretta a Buenos Aires. Il destino lo portò inizialmente nell’entroterra argentino, dove trovò lavoro come istruttore di ginnastica per le forze di polizia in città come Paysandú e Concepción del Uruguay.
Fu in questa fase della sua vita che conobbe l’amore, sposando la figlia di immigrati italiani, con cui avrebbe avuto cinque figli. Ma la vera svolta della sua vita arrivò in modo del tutto casuale. Dopo aver trovato impiego nei cantieri ferroviari di Dock Sud, un giorno i colleghi lo invitarono a vedere una partita di calcio, uno sport che fino a quel momento non aveva mai catturato il suo interesse.
Durante quella partita tra Dock Sud e Huracán, un infortunio in campo cambiò il corso della sua vita. Senza esitazione, Hanai saltò oltre la recinzione e corse a soccorrere il giocatore ferito. Le sue mani esperte e la sua profonda conoscenza dell’anatomia stupirono tutti i presenti. Da quel momento, la sua fama si diffuse rapidamente nel mondo del calcio argentino.
I dirigenti del Dock Sud, impressionati dalle sue capacità, gli offrirono immediatamente un posto come massaggiatore della squadra. Quello che all’inizio sembrava un semplice lavoro part-time si trasformò nell’inizio di una leggenda. In poco tempo, la sua reputazione raggiunse le orecchie dei dirigenti dell’Asociación Argentina de Fútbol, e da lì, il passo verso il Boca Juniors fu breve. Un operaio giapponese dei cantieri ferroviari stava per diventare una delle figure più amate del calcio argentino.
Le mani magiche di Boca

Nel 1923, quando Hanai apparve per la prima volta con la divisa del Boca Juniors allo stadio Sportivo Barracas, nessuno poteva immaginare l’impatto che questo giapponese elegante avrebbe avuto sulla storia del club. Con il suo maglione bianco e un portamento distinto, si distingueva immediatamente dalla folla che riempiva quello che allora era il più grande stadio d’Argentina.
La sua presenza sul campo divenne presto leggendaria. I tifosi lo acclamavano quando entrava per soccorrere un giocatore, e i calciatori lo veneravano per le sue capacità terapeutiche. Le sue “mani magiche”, come le chiamavano, sembravano avere il potere di guarire qualsiasi infortunio. Pancho Varallo, uno dei più grandi attaccanti dell’epoca, attribuiva molti dei suoi gol alle cure miracolose di Hanai.
La fama del massaggiatore giapponese si diffuse ben oltre i confini della Bombonera. La sua clinica a Dock Sud divenne meta di pellegrinaggio per calciatori di tutte le squadre. Di notte, come in una storia di spionaggio calcistico, giocatori delle squadre rivali si presentavano alla sua porta in cerca di cure. La sua generosità non conosceva bandiere: trattava tutti con la stessa dedizione, anche quando questo significava aiutare gli avversari del Boca.
Un episodio in particolare divenne leggendario: quando il attaccante Bugueyro del Racing Club lo cercò prima di una partita contro il Boca, Hanai non solo lo curò, ma gli disse chiaramente che avrebbe potuto giocare. Quel giorno, Bugueyro segnò il gol della vittoria contro il Boca, dimostrando come l’etica professionale di Hanai andasse oltre qualsiasi rivalità sportiva.
Nel cuore dei tifosi
Hanai ha servito il Boca Juniors per quindici anni, un periodo che ha attraversato la trasformazione del calcio argentino dal dilettantismo al professionismo. Questo giapponese dagli occhiali rotondi era diventato una delle figure più amate nel mondo del calcio argentino nonstante quella fosse un’epoca in cui il razzismo e la xenofobia erano diffusi,
La sua presenza in panchina era rassicurante come quella di un padre. I giocatori lo cercavano non solo per le sue cure miracolose, ma anche per la sua saggezza che instillava tranquillità. Durante le partite, mentre tutti erano presi dalla frenesia del gioco, Hanai sembrava perdersi in contemplazione, con lo sguardo rivolto al cielo, come se il calcio fosse solo una piccola parte di qualcosa di molto più grande.
Nonostante la sua fama crescente, rimase sempre fedele al suo stile discreto ed elegante. I suoi maglioni di lana e le sue cravatte lo facevano sembrare un personaggio uscito da un tango, ma la sua umiltà non venne mai meno. Firmava autografi ai tifosi con la stessa gentilezza con cui trattava i giocatori più famosi.
Quando se ne andò, nel 1939, a soli 54 anni, la Bombonera pianse uno dei suoi figli più amati. Al suo funerale, vecchie glorie del calcio si mischiarono ai tifosi comuni: tutti avevano una storia da raccontare su quell’uomo venuto da lontano che aveva curato non solo i muscoli, ma anche l’anima del Boca.