La misteriosa morte di Giuliano Giuliani

Napoli. Estate del 1988. Ferlaino epura Claudio Garella e con lui tutti i fedelissimi di Maradona, per far capire al “Pibe de Oro” chi comanda nel Napoli calcio. C’è da cercare un nuovo portiere, e il presidente prepara il grande colpo: Walter Zenga. Il numero uno di Inter e Nazionale è in rotta con la società, ma Ernesto Pellegrini, il presidente nerazzurro, all’ultimo momento ci ripensa, dirottando a Napoli il portiere già destinato ad arrivare a Milano: Giuliano Giuliani.

Giuliano Giuliani è l’uomo giusto, ha già sostituito Garella nell’Hellas Verona senza farlo rimpiangere, in più conosce bene Bianchi (alla base dello scontro tra Ferlaino e Maradona), che ha già avuto al Como. Maradona lo stima perché è l’unico portiere al mondo ad avergli parato due rigori, come vendetta per essere stato beffato da un tiro da centrocampo finito in rete. Quella del Napoli di Maradona è l’occasione della vita. E della morte.

Buenos Aires. Novembre 1989. Va in scena uno degli eventi mondani del secolo. Le nozze di Diego Armando Maradona. Dopo molteplici scandali e figli sparsi per il mondo, la stella argentina ha deciso di sposare Claudia, la donna che gli è sempre rimasta accanto nonostante i numerosi tradimenti. Due cerimonie separate, civile e religiosa, accompagnate da risse coi fotografi e contestazioni popolari. Maradona non ha ancora il tatuaggio del Che e non è ancora amico di Fidel, bensì dell’ultraliberista Menem, e lo sfarzo monumentale per la cerimonia indigna i più poveri. Trecento chili di asado attendono gli ospiti italiani all’aeroporto di Buenos Aires. Ed è solo l’aperitivo. Mentre per la festa è stato affittato il Palasport della Capitale, che non farà chic ma almeno può contenere l’incredibile folla di invitati e fornire il palco per le esibizioni di Fausto Leali e Franco Califano a far da colonna sonora. Roba dura per capirsi. Per Giuliano Giuliani, troppo dura.

Giuliano Giuliani è un ottimo portiere, stimato e rispettato dai compagni che lo dipingono come una persona tranquilla, introversa, lontana dai riflettori. Non partecipa a scorribande notturne, non fa parte del giro di Maradona, non dilapida guadagni in cocaina o gioco d’azzardo, ma anzi li utilizza per investimenti oculati. È socio a Como di una galleria di pittura di cui è un grande appassionato ed è sposato con una donna bellissima: Raffaella Del Rosario, un passato da fotomodella e un presente come soubrette in trasmissioni sportive. Molto chiacchierata in curva, dove ogni partita al San Paolo si ripete lo stesso rito scaramantico: quando Giuliani si sistema in porta qualcuno si alza e grida: «Giulià tu ’na cosa bona tieni», e il resto della curva in coro risponde: «’A mugliera!».

Con la maglia del Napoli Giuliani conferma quanto di buono ha fatto vedere a Verona, tanto da arrivare alle soglie della Nazionale, le cui porte sono però chiuse dal trio Zenga, Tacconi, Pagliuca. In segno di riconoscimento viene convocato come secondo per una amichevole e soprattutto viene inserito nel dream team della Nazionale olimpica che partecipa ai giochi di Seul 1988, allenata da Rocca, secondo dietro a Tacconi e davanti a Pagliuca. Squadra che parte con il pronostico della vigilia, ma che viene travolta dallo Zambia con un quattro a zero e torna a casa con somma umiliazione e rigurgiti razzisti da parte dei quotidiani per essere stati bastonati da una squadra africana. A farne le spese sarà il capitano Roberto Cravero (anche capitano del Torino), che diventerà il capro espiatorio. Considerato da tutti l’erede naturale di Franco Baresi (a cui aveva fatto da riserva agli Europei di Germania 1988), dopo quel giorno non metterà più piede in alcuna Nazionale.

Anche nella carriera di Giuliani non mancheranno le serate negative, specie sul palcoscenico europeo: l’erroraccio in finale di andata di Coppa Uefa contro lo Stoccarda (che per fortuna non comprometterà la vittoria finale del primo trofeo internazionale); la notte buia di Brema dell’anno successivo, quando incassa cinque gol, uno peggio dell’altro, decretando l’uscita anzitempo dalla competizione. È fatto così Giuliani, capace di grandi parate e passaggi a vuoto, come quel velo di tristezza malinconica che ogni tanto gli attraversa il volto. È infatti forse il carattere, la personalità, l’unico punto debole di quel numero uno. In un’epoca di showman tra i pali, Giuliani è troppo ordinario per colpire la fantasia di tifosi e giornalisti. E a un certo punto scivola in panchina proprio nel momento topico della stagione. Il Napoli è primo, mancano solo quattro partite alla fine del campionato. L’allenatore Bigon gli preferisce Di Fusco, storico numero dodici diventato famoso per essere stato chiamato da Ottavio Bianchi a sostituire, al settantanovesimo minuto, Careca (sic!) – e in futuro per aver brevettato il “deviatore di traiettoria” per la preparazione dei portieri.

La cosa desta qualche sospetto. Ma poi Giuliani recupera il posto per le ultime partite. Ed è scudetto. Il secondo per la città. La stagione successiva, però, Giuliani non c’è più, viene ceduto all’Udinese. Per la terza volta di fila nella sua carriera è chiamato a sostituire Garella, perdendo così l’occasione di giocare in Coppa dei Campioni. Gli incroci con Garella si fermeranno in Friuli, perché Giuliani non andrà mai all’Avellino e in nessun’altra squadra. Al suo terzo anno a Udine le cose iniziano a precipitare: la parabola sportiva coincide con quella umana. Come era successo per Garella con l’addio al Napoli calcio, la sorte da buona si trasforma in cattiva. Un brutto infortunio gli fa perdere il posto da titolare e a trentacinque anni è costretto ad appendere i guanti al chiodo, ma questo è niente rispetto a quello che lo attende.

Ben altri infortuni ne stanno minando la serenità: la fine del matrimonio, entrato in crisi proprio a Napoli, e il clamoroso arresto per spaccio di coca. Non ci si può credere: Giuliano Giuliani, il riservato, arrestato con l’accusa di acquisto di cocaina a fini di spaccio. Chi lo conosce rimane sorpreso, e difatti il portiere verrà rilasciato nel giro di poche ore senza alcuna imputazione a suo carico. Ma tanto basta a infangare la dignità dell’uomo e del giocatore. È come se qualcosa di strano si stesse abbattendo sul calciatore, sul suo conto si susseguono voci insistenti, maldicenze e cattiverie riguardanti il suo stato di salute. Si dice sia malato ma non si capisce di cosa. Già l’anno prima un articolo su un quotidiano aveva lanciato la bomba: Giuliani è malato di Aids, ma a questo non era seguita né una conferma né una smentita da parte del diretto interessato. Nessuno sa se sia vero, non che sia strano per un protagonista dell’ambiente del Napoli di quegli anni, ma a stupire è che sia proprio uno regolare come lui.

Ciò che è sicuro è che Giuliani esce di scena dal grande calcio in punta di piedi. Nonostante la separazione, continua a essere un buon padre per Gessica. E sarà proprio dopo aver accompagnato la figlia a scuola che, andando in ospedale per sottoporsi al vaccino per l’influenza, i dottori si renderanno conto che le sue condizioni di salute sono peggiorate e lo convincono al ricovero. Quel giornale aveva ragione, Giuliano Giuliani, sieropositivo, contrae l’Aids e muore. Con dolore. In solitudine. Con accanto solo la ex-moglie. Il primo caso finora conclamato di calciatore morto per la terribile malattia.

2003. La rivista «Controcampo» pubblica un’intervista shock: l’ex moglie di Giuliani vuota il sacco raccontando come sono andate le cose. Buenos Aires. Novembre 1989. Maradona si sposa e invita tutti al suo matrimonio. Anche la famiglia Giuliani. Solo che la moglie ha appena partorito e non se la sente di affrontare il viaggio, perciò lo lascia andare da solo. Dirà poi a se stessa e al giornalista che quello è stato l’errore più grave della vita. Perché a Buenos Aires suo marito si troverà coinvolto in una festa sfrenata senza alcun limite. Tre giorni di follia a base di sesso, alcol e chissà cosa, senza mai chiudere occhio grazie alla cocaina. Giuliani che a queste cose non è abituato ne rimane travolto. La moglie incolpa Maradona ma poi lo giustifica, il vero problema – spiega – è Ferlaino, che non ha mai fatto niente per impedire che accadesse tutto questo, che non ha protetto i giocatori e Maradona da se stesso e soprattutto dai loschi personaggi che hanno sempre girato indisturbati attorno allo spogliatoio.

2010. A sette anni di distanza «Libero» esce in edicola con un’intervista nella quale l’ex-soubrette delle trasmissioni sportive, l’ex-valletta di Mosca a L’Appello del martedì – che da anni lavora a mala pena in trasmissioni locali – ritratta tutto. O quasi. Conferma che Giuliano è morto di Aids e che ha contratto l’HIV per trasmissione sessuale a seguito di un tradimento di cui non ha voluto dare ulteriori spiegazioni. Confessione che, spiega nell’articolo, ha messo fine al loro matrimonio ma non all’amicizia profonda che li legava e all’amore per una bambina appena nata. Ma, spiegherà al giornalista di «Libero», la colpa non è stata del matrimonio di Diego, e Ferlaino non è in alcun modo responsabile di quello che è accaduto a suo marito.

Tratto da Portieri eroi di sventura di Fausto Bagattini